Recensione del libro da parte di Alessando Vizzino a questo indirizzo: http://www.alessandrovizzino.it/fra-bwaffete-noia/
immagine di copertina realizzata da Chiara Rogazzo!
Gocce di follia.
Capitolo 1
inizio
Il respiro è affannoso, pesante.
Apro la mano sinistra per mollare la presa dalla camicia di quest'uomo, ormai più simile ad un fantoccio senza vita che non ad una persona. Appena lo lascio andare la carcassa cade pesantemente al suolo. Posso osservarlo mentre si sdraia completamente a terra, in una smorfia curiosa e, perché no, ridicola.
Appoggio per un momento le mani sui ginocchi. Sul pavimento c'è una patina rossastra e appiccicosa che si estende ogni secondo che passa, in tutte le direzioni. Odio il sangue. È anche pericoloso, qualcuno potrebbe scivolare e farsi male cadendo.
Alzo lo sguardo e vedo tutto intorno persone che fuggono. Altre, morte, giacciono a terra con parti del corpo mancanti o, semplicemente, con interiora che fuoriescono da pertugi creati appositamente in svariati punti del corpo.
Mi alzo in piedi e lo sguardo mi cade su un particolare curioso. Uno dei cadaveri non ha la testa ma non ricordavo di avergliela tolta.
Forte.
Cerco il coltello da macellaio con cui ho fatto questo casino e lo trovo conficcato nella schiena di quella troia maleducata che mi ha fatto incazzare allo sportello. Lo sfilo e tiro un calcio al corpicino di quel maledetto moccioso petulante che non faceva altro che urlare e, già che ci sono, prendo a pedate nelle palle il corpo di suo padre.
Che razza di genitore fa venire su un bambino in quel modo?
Trovo la testa di quell'uomo, del "cavaliere senza testa", sopra il balcone. Gli occhi aperti, come ad osservare la magnificenza di quella situazione che gli si para davanti, in silenzio.
Un ottimo pubblico, oserei dire.
BEEP.
Il suono del tabellone che cambia numero mi riporta alla realtà.
Ancora due numeri e tocca a me.
Accanto a me un signore controlla il suo numerino. Ne avrà da aspettare ancora.
Più distante un bambino sta zompettando qua e là, parlando di tanto in tanto ad alta voce, con quel tono acuto tipico dei bambini. Semplicemente odioso.
Davanti a me un altra fila di seggiole, occupate da una vecchia signora vestita come una ragazzina che continua a sbuffare guardando l'orologio e a truccarsi in media ogni cinque minuti.
Che sia in ritardo per l'appuntamento dall'estetista?
Probabilmente dovrà gonfiarsi ancora di più quelle labbra da puttana incartapecorita.
Ha gli occhiali da sole, nonostante fuori piova, ed emana un terribile odore di profumo troppo abbondante e pelle marcia come se si stesse decomponendo e per fare in modo che nessuno se ne accorga si fosse tuffata in una vasca di profumo.
Accanto a lei un signore distinto che sta leggendo il giornale. Di tanto in tanto sorride, come leggesse qualcosa che gli provoca ilarità.
È forse l'unica persona qui dentro a cui rivolgerei parola.
Agli sportelli giovani e anziane "commesse" cercano di sbrigarsela il prima possibile per riuscire a liberare la sala e chiudere al più presto.
Solo una non ha capito come funziona e se ne sta lì a far incazzare chiunque abbia la sfortuna di finire di fronte a lei, accampando mille e più svariati motivi per far perdere tempo al malcapitato e rompendo letteralmente i coglioni con banalità come:
"Non si legge bene la firma"
"Non si vede bene la foto in questa carta d'identità"
"A cosa le serve questo foglio?"
Verrebbe da risponderle "Ma cosa cazzo te ne frega? stampami quel cazzo di merdoso foglio dei miei coglioni e vedi di trombare un po', almeno ti rilassi, vecchia stronza".
Ma tutto quello che puoi fare è solo ingoiare il rospo e sorridere falsamente, mostrandoti compiacente e sottomesso.
Almeno finché non ti scatterà la vena. Un giorno.
Odio queste mattinate perse a fare la fila alle poste.
Capitolo 2
BEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEP
Penso fra me e me che è inutile star qui a controllare incessantemente il tabellone, aspettando che finalmente sia il tuo turno e decido, quindi, di trovare il modo di distrarmi.
Comincio tirando fuori il cellulare dalla tasca. L'invenzione più inutile del mondo. Grazie a questo aggeggio chiunque può trovarti, ovunque ti trovi, ma soprattutto tutti si sentono in dovere di chiamarti. Ogni fottuto scocciatore che voglia venderti un set di pentole o che voglia informarti dell'ultima offerta di un gestore telefonico e quando ti va male capita anche che ti chiami il tuo direttore di banca per ricordarti che non hai soldi sul conto. Come se potessi dimenticarmelo, coglione.
Però poi, almeno a qualcosa serve. Per i giochi, ad esempio.
Tutti i cellulari hanno qualche gioco, fosse anche il più stupido del mondo, che può essere un valido espediente per perdere tre o quattro minuti quando, ad esempio, sei in coda per qualcosa.
Nessun gioco ha niente a che vedere con il buon vecchio snake, ma tant'è.
Dopo un minuto e mezzo chiudo il cellulare e lo rimetto in tasca. Quel giochino di merda è così noioso che invece di giocarci per passare il tempo preferisco passare il tempo per non giocarci.
Sento la porta automatica aprirsi e mi giro quasi istintivamente.
Ad entrare è un omettino sul metro e settanta, spalle curve, una bella piattaforma per elicotteri sulla nuca e gli occhialini nel taschino. Si guarda intorno, furtivo. Prende il numerino per quello che deve fare e va a sedersi. Ha una borsa con se che tiene ben stretta sotto il braccio. Quando si siede la porta sulle gambe stringendola sul petto e guardandosi intorno come se dovesse aspettarsi di essere derubato.
Sembra che dica:
“hey ragazzi! Ho una valigia piena di soldi, ma mi raccomando: non ditelo a nessuno”
Patetico. Probabilmente avrà da depositare qualche migliaio di euro sul conto. Quelli spiccioli che uno si tiene sotto il letto perché ha paura che in banca glieli rubino e che poi sceglie di portarceli perché ha paura che a casa glieli rubino.
Ma questo non ha senso, direte voi. E senza sapere la parte più bella!
Eh si, perché il tipo se ne va in giro con la borsa piena di soldi, rischiando di farsi ammazzare e/o derubare semplicemente perché non ha voglia di fare più viaggi con quantità minori di denaro.
E tutto questo perché?
Perché ha paura che, nel frattempo, glieli rubino!
Ah aha ha che stronzo.
Mentre penso a queste cose inizio a ridere da solo. La tipa che ho accanto si gira verso di me. Alzo la testa continuando a sorridere verso di lei e poi smetto improvvisamente di ridere, tornando serio.
Rimane perplessa per una frazione di secondo e poi si volta dalla parte opposta, quasi spaventata.
Ritorno a pensare all'omuncolo e mi torna in mente una frase del santone cinese, il “cosolama” che una volta ha detto qualcosa del tipo che le persone sono strane perché inseguono i soldi tutta la vita e sono gli stessi soldi che poi gli serviranno per curarsi..
no, aspetta, non era così. Non me lo ricordo, accidenti a quel
BEEP
Un altro numero. Un altra persona che se ne va, felice di essere finalmente fuori da un incubo. L'incubo della realtà.
Woa.
Forse è il caso che la smetta di pensare. O almeno di fare versi con la faccia in relazione a quello che penso, altrimenti va a finire che mi ricoverano.
Intanto, nella sala, continua ad entrare gente. Smetto di pensare quando mi passa davanti una donna con un profumo dolciastro, che potrebbe anche essere considerato molto buono, se non fosse che la scia lasciata dal suo collo imbevuto di quella roba si appiccica alla pelle delle persone vicine.
È mai possibile, dico io, che nel 2010 ci siano ancora persone che non sanno darsi il profumo?
Si prende la boccetta, si danno due spruzzate e si mette via, porca troia.
Prendere il profumo, togliere il tappo e rovesciarsi il contenuto addosso non è corretto.
Poi magari sarà anche colpa mia che odio il profumo dato in maniera eccessiva.
Che vi devo dire? Avrò il naso delicato.
Ma con chi sto parlando...?
Mi appoggio sulle gambe e porto la mano alla bocca, cercando di attenuare l'inalazione di quella specie di zucchero filante aereo.
Tossisco.
A volte penso veramente di essere morto e di essere all'inferno.
Voglio dire, io me lo immagino proprio così. Pieno di gente che non sa nemmeno perché è lì, a fissare il vuoto della propria esistenza mentre aspetta il proprio turno per essere torturata.
Uno ad uno, aspettando il fatidico beep di merda. Aspettando seduto su scomode sedie messe a casaccio ed una a ridosso dell'altra, in una stanza eccessivamente illuminata e calda. Si, calda perché, per un motivo che non ho mai capito, qua dentro va solo il riscaldamento. Mai che vada l'aria condizionata. Così, oltre all'odore pungente di profumi, di dopobarba del cazzo, di pannolini pieni di merda e di puzza di piedi a causa di quelli che se ne vanno in giro con sandali o simili, ti tocca anche sopportare il maledetto aroma di pelle cotta al vapore sudoriccio e l'unica cosa che puoi fare, oltre a startene in piedi per evitare che la spalla sudata di qualcuno ti si appiccichi addosso, è desiderare che parta l'antincendio.
BEEP
beep
beep
beep
beep
beep
beep
beep
beep
beep
beep
beep
beep
beep
beep
Sto impazzendo a forza di sentire questo suono. E mai che si muova la fila di numeri che è toccata a te. Di tutte le strisce riportate in quel cazzo di tabellone stai pure sicuro che beccherai quella che non si muove. Che poi è quella che scelgono tutti, porca zozza. Ci credo che non finisce mai. La capacità di far perdere la pazienza alle persone in coda è inversamente proporzionale alla efficenza degli sportelli. Non so bene cosa ho pensato ma credo sia come dire che mi sono sfracellato i coglioni.
E SMETTILA DI PARLARE DA SOLO CAZZO!
Dopo quest'ultimo pensiero decido che è il momento per una sigaretta. Tiro fuori dalla borsina il tabacco, cartina e filtro e ne preparo una. Mi distraggo per qualche minuto sfilacciando lentamente il tabacco e posandolo sapientemente dentro la cartina fino a pressarlo con le dita, energicamente, in modo che non rimangano spazi vuoti e sia uniforme.
Mentre premo energicamente con la lingua lungo il filo di colla per chiuderla butto un occhio sul tabellone e non riesco nemmeno ad immaginare la quantità di parolacce che potrei inventare in questo momento.
Mi avvio verso l'uscita con il passo sicuro di un condannato a morte. Appena uscito mi accendo la sigaretta e cerco un posticino ben riparato, da dove possa controllare anche quel maledetto tabellone.
Aspiro la sigaretta a pieni polmoni, concentrandomi sulla sensazione di calore che sento in gola, nel petto ed il leggero ruvido passare del fumo lungo i condotti d'areazione corporei. Gioco con lo schifo che fuoriesce dalla mia bocca creando una scia fumosa, densa e scolorita proprio come fuoriuscisse dalla ciminiera di una vecchia fabbrica facendomi tornare in mente, tra le altre cose, una vecchia canzone che parla di un vampiro e una centrale, intitolata proprio "il vampiro e la centrale". Canzone impossibile da trovare in giro, visto che non è mai stata pubblicata ma solo incisa.
Mentre “sorseggio” la mia sigaretta do un'altra occhiata alle persone dentro.
Non c'è niente di meglio che fissare gli altri senza farsi notare, quando hai da perdere tempo. Ti vengono in mente un sacco di cose e, se sei abbastanza bravo, puoi estraniarti per qualche secondo dalla realtà.
Un modo come un altro per dire che smetti di pensare al motivo per cui sei incazzato.
Il tipo in giacca e cravatta, per esempio. Sono sicuro che è un serial killer.
Perché andare in giro vestiti così altrimenti?
Che senso ha, se non quello di essere e/o apparire perfetto, pulito, scevro da ogni “peccato” rappresentato, si può dire, dallo sporco.
Come Pilato, che si lavava le mani per mondare il proprio senso di colpa che lo opprimeva così ora questo assassino si sente meglio solo se è perfetto, pulito, in ordine. Un desiderio di essere a posto, di avere tutto sotto controllo. Tipico dei killer, insomma. Quelli seri, ovvio.
Poi ci stà anche che sia solo un fottuto banchiere o un assicuratore o un imbroglione in generale, niente da dire.
Però ecco, parlando con il mio cervello credo che verrebbe fuori una cosa come questa:
plic..
plic..
capitolo 3
l'uomo con la cravatta
plic..
plic..
plic..
plic..
Le gocce cadono una ad una dalla punta del coltello e arrivano a terra, producendo un suono ritmico, quasi assordante nel silenzio della stanza.
La lama, ebbra di sangue, se ne sta immobile nella mia mano salda, puntata verso il basso. Il tavolo di legno è coperto da una sottile patina rossastra e appiccicosa. Solo due dei quattro lati sono riusciti a non sporcarsi. Fortuna che il tavolo è ricoperto da una tovaglia cerata, altrimenti chissà come sarebbe diventato.
Prendo fiato e guardo le mie mani. Sono interamente ricoperte di sangue, come parte del mio viso e il grembiule che ho indosso. Poi osservo il tavolo ed il lavoro finito. Non c'è che dire, un ottimo lavoro. Adesso ci sarà un po da ripulire tutto questo sangue ma non credo sarà più faticoso di ciò che ho appena fatto.
Appoggio il coltello sul tavolo, mi tolgo il camice e mi incammino verso il bagno, a passo lento. Il tipico passo di chi si è stancato parecchio a fare il suo lavoro.
Guardo il sangue scivolare via dalle mie mani, dai miei bracci, sotto l'incessante scrosciare dell'acqua. Cade sui miei arti superiori come una benedizione, cancellando via le colpe di cui sono macchiate, rappresentate dal sangue.
C'è molto sangue.
Lo vedo mentre mulinella verso lo scarico. Una perfetta sincronia di rosso e bianco.
Poi il sapone prende il sopravvento ed è solo bianco e bollicine.
Finisco di lavarmi le mani e poi mi chino verso il lavandino per lavarmi anche la faccia. un'energica sciacquata e poi appoggio le mani sul largo pianale di marmo. Alzo lo sguardo verso lo specchio e mi soffermo qualche secondo ad osservare i miei occhi chiari, quasi assenti in quello che invece si preannuncia come un fine giornata impegnativo.
Il problema sarà riuscire a sbarazzarmi di tutta questa carne. Speriamo che gli ospiti abbiano fame o sarò costretto a congelare quello che avanza. E mentre finisco di preparare ecco che entra mia moglie con uno straccio.
"Tieni, divertiti anche a pulire adesso.."
E sorride.
Ricambio il sorriso e mi affretto a pulire. Devo anche farmi una doccia o alla piccola, quando tornerà da scuola, verrà un colpo vedendomi così.
Ho appena finito di pensare ad una storia ed ecco che un nuovo soggetto mi si para avanti, pronto per essere scritturato dal mio subconscio.
È allo stesso tempo incredibile e obbrobrioso, stupendo e antiestetico, yng e yang, bianco e nero, poetico e cinico, sogno e realtà, qualcos'altro e niente. E poi basta perché ho finito i sinonimi.
Il protagonista è un ragazzo, credo, di media statura, magro ma non troppo, con i capelli semi lunghi, portati sulla faccia alla tipica moda che va tanto adesso fra i ragazzini frustrati. Il classico tipo che si ubriaca con un aperitivo insomma.
Ma questo non è importante.
Quello che mi colpisce di lui è l'abbigliamento che è, come dire, confuso, variopinto, un misto fra quelli che chiamano truzzi e quelli che chiamano emo. Ha la maglia larga, viola, le bretelline bianche con stelle giallo canarino disegnate sopra, le scarpe con la pianta larga, di quelle che usano i ragazzi per andare su quella cazzo di tavola con le ruote e i pantaloni verdi brillante, attillati.
Wow! Ragazzi se sono attillati!
Visto da dietro sembra una ragazza in perizoma.
Un laccio della scarpa è sciolto e va a sdraiarsi a fianco della scarpa, bagnandosi e sporcandosi ad ogni passo sempre di più, mentre il suo padrone cammina, incurante di tutto questo, sotto la pioggia.
Ecco, ci manca solo che faccia un filmino anche su un laccio di scarpa.
Ripartiamo da lui, che è meglio.
Lo vedo avvicinarsi a passo sicuro, al riparo dalla pioggia sotto il suo ombrellino nero a pois bianchi, con gli immancabili occhiali scuri indosso.
Occhiali scuri?!
Ci credo che cammina piano. Non è atteggiarsi, semplicemente non ci vede una mazza. Poi occhiali. Sarebbe più corretto definirli casco integrale o visiera.
Si, ecco!
Potrei fare una nuova marca di occhiali:
“inteVriera”
“gli occhiali che coprono anche i brufoli”
e poi un bel yeah gigante sulla scatola!
Ok, forse è il caso che la finisca e mi concentri.
Il personaggio, intanto, è entrato dentro e ha suscitato non poca ilarità nei presenti.
Stupidi figli di puttana che non hanno mai visto niente.
Ma gli altri ridono di voi quando vi vedono arrivare?
Ma che diavolo di mancanza di rispetto è?
Perché ci date questo esempio?
Se uno si veste in maniera diversa, per quanto ridicola sia, è obbligo prenderlo per il culo?
Non potreste fare come fa la maggior parte della gente e pensare “ ma come cazzo è vestito questo?” e lasciar correre?
Molti di voi non se lo ricordano, ma quando erano giovani se ne andavano in giro con dei fottuti fiori in testa e cantavano delle canzoni così pallose che in confronto lo zecchino d'oro sembra un concerto metal. E oltretutto molti non si lavavano. Questa moda di ora è ridicola, niente da dire, ma almeno sono puliti.
Asettici oserei dire.
Si, ok, fanno schifo uguale ma chi se ne importa.
Butto uno sguardo dentro per controllare il tabellone, inutilmente, visto che è sempre fermo al numero di prima.
Quanto odio questo posto. In compenso, però, nel distogliere lo sguardo dal tabellone mi capita di soffermarmi ad osservare un tizio seduto nella fila che guarda la strada. Questo mi permette di vedere chiaramente la sua faccia tesa, seria, con gli occhi spiritati occupati a guardare fuori, a fissare il vuoto della realtà che gli si prospetta davanti, immaginando chissà cosa e trovandosi chissà dove con il pensiero. C'è qualcosa di bello in tutto questo.
L'alienazione della propria mente, lasciare il corpo con l'immaginazione per ritrovarsi chissà dove, trasferirsi altrove semplicemente fissando qualcosa e non accorgersi che stiamo assumendo una faccia da pazzo fulminato, spaventando o facendo ridere chi ci sta intorno proprio per le caratteristiche che assumiamo e per i versi che, talvolta, facciamo.
Qualcuno potrebbe dire “povero pazzo” ma io dico “splendido pazzo”.
Capitolo 4
splendida pazzia
Parlando con un pazzo si capiscono molte cose.
La prima cosa che si capisce è che, guardando bene, i discorsi non sono poi tanto sballati e/o, comunque, c'è chi dice di peggio.
Una volta ho parlato con un pazzo e mi ha detto: "non vedo l'ora che il mondo finisca.." io, un po' per curiosità, un po' perché non avevo niente da fare, gli ho risposto domandando il perché di tale affermazione.
Lui mi ha risposto che non vede l'ora della fine del mondo perché almeno potrà smettere di lavorare e fare quello che vuole, preoccupandosi solamente di arrivare in fondo alla giornata ed ingegnandosi per aver salva la vita sua e delle persene a lui care. Entrati oramai nel discorso, gli ho replicato che basterebbe smettere di lavorare e andare a vivere in un isola deserta. Mi ha risposto che sono proprio fuori di testa.
Ha continuato a parlare, spiegando che la sua idea è quasi un utopia. Nel suo immaginario abbiamo un mondo alla "28 giorni dopo", in cui le persone non sono più quello che erano e c'è bisogno di darsi da fare per mantenersi vivi. Mi racconta quello che "ha visto". Si sveglia un giorno in cui si accorge che qualcosa sta cambiando, le persone non sono più quelle di un tempo e, fiutando il pericolo, decide di organizzare un rifugio per le persone a lui care. Inizia così a chiamare i sui familiari, i suoi amici, tutti quelli che conosce e dice loro di passare parola. Si ingegna per trovare un posto adatto alla sua idea di "salvatore della patria" che possa contenere più persone possibili e che abbia la possibilità di essere facilmente difendibile.
Mentre racconta lo osservo interessato. E' sorprende la sua capacità di astrazione dalla realtà. Inoltre adoro le storie di fantascienza.
Mi parla di un posto vicino: il centro commerciale.
Mi spiega come può diventare un ottimo rifugio, trovandosi nel mezzo ad una vasta area libera su 4 lati, enorme, pieno di viveri, recintato, solido e mi spiega che il suo piano prevede di bloccare tutte le uscite prima di entrarci. Poi si riprende, accorgendosi di aver corso un po' troppo e riparte dall'inizio.
Una volta chiamato tutti,dato disposizioni di non uscire per nessuno motivo e di chiudersi in casa, la sua idea prevede di impossessarsi di un mezzo atto a trasportare più persone contemporaneamente. "un pullman!"
dico, mentre tiro fuori un paio di sigarette e gliene offro una. "esatto!" replica lui, poi si accende la sigaretta e tira un paio di boccate prima di continuare.
Credo sia felice del mio interessamento.
O forse sta pensando che sono più pazzo di lui perché lo sto ascoltando.
Credo che non lo sapremo mai.
Dopo aver preso il pullman e aver capito come funziona la sua idea prevede il passare a prendere delle armi nelle armerie della zona. Dapprima partendo da casa con una buona dose di bastoni, coltelli e cose del genere, giusto in caso di pericolo immediato, e poi pistole, fucili e tutto quello che si può trovare in armeria.
Ovvio che dovrebbe essere chiusa e la vetrina andrebbe sfondata con la prima macchina trovata in giro. "naturalmente non sarei da solo", dice, "non sono un pazzo, chiamerei qualcuno di cui mi posso fidare e andrei insieme a lui così che in due ci guarderemmo le spalle" poi, una volta fatto "spesa", tornerebbe verso le persone che è riuscito ad avvertire prima del disastro, passandole a prendere una ad una, spiegando la situazione e distribuendo le armi secondo le capacità di ognuno. Una volta arrivati alla "base" la preoccupazione principale sarebbe quella di controllarla, nel caso qualcuna di quelle bestie si fosse introdotta dentro e ne avesse fatto una tana. Così, gli toccherebbe entrare insieme agli altri a controllare. Poca cosa, visto che lui è il leader. Una vota constatato che la via è libera farebbe scendere tutti e, come prima cosa, farebbe murare tutte le entrate principali.
Niente deve entrare se non è tirato su dal tetto.
Quindi si avvierebbe a controllare le uscite sul retro ed in un secondo tempo le bloccherebbe con muletti (dentro) e tir (fuori, parcheggiandoli davanti la porta). Poi cercherebbe le scale per salire sul tetto.
Una volta lì sopra disporrebbe delle persone a controllare tutto intorno e imporrebbe loro di sparare a qualsiasi cosa si muova. "è così che inizia la mia nuova vita.. niente regole, se non quelle dettate dalla morale. niente limitazioni, niente problemi, se non quello di rimanere in vita, niente tv, niente calcio, niente discoteca, niente politica, niente estetista, niente di niente.."
Chiude così il suo racconto, ma io non mi ritengo soddisfatto. Sarà anche pazzo ma mi deve spiegare alcune cose. Così gli chiedo: "ma come farebbero tutte quelle persone a stare li dentro? come farebbero a lavarsi, a cucinare, a dormire? a coesistere? chi deciderebbe cosa e quanto mangiare?"
Mi guarda incuriosito. Poi fa una pausa, si guarda intorno e riprende a spiegare.
Mi dice che farebbe dei lavori dentro il supermercato. L'idea è quella di spostare tutto, togliere ogni cosa dagli scaffali, smontarli o spostarli e creare la zona notte, facendo dei mini appartamenti e creando una zona "cucine" dove mettere dei fornelli a gas. Poi farebbe costruire dei forni a legna sul tetto e risolverebbe così il problema del dormire e del mangiare. Poi, per ovviare ad altri problemi, creerebbe delle regole. Chi non lavora non mangia. Gli chiedo come farebbe a decidere chi è che lavora e chi no. Mi spiega che "pagherebbe" con moneta chi lavora: una giornata di lavoro= due monete che equivarrebbero a due pasti.
Perché creerebbe un organizzazione del tipo che chi lavora riceve in cambio due monete a fine giornata e ogni moneta equivarrebbe ad un pasto. Da considerare che alle cucine metterebbe un balcone separatorio per evitare confusione.
Gli chiedo cosa succederebbe se qualcuno si lamentasse. Mi risponde che proverebbe a spiegare che: o così o caos e, di conseguenza, morte.
Gli chiedo cosa succederebbe se qualcuno facesse del male a qualcun altro, se succedessero, insomma, dei disordini lì dentro.
Si ferma a pensare e guarda dritto davanti a se. Poi mi dice che lo ucciderebbe con le sue mani. Continuando a spiegare che nessuno dovrebbe permettersi di fare del male a qualcun altro lì dentro. In quanto autoproclamatosi capo indiscusso è suo dovere preservare l'integrità delle persone che ha preso sotto la sua custodia. Non vuole dettare legge, solo avere il controllo della sicurezza ed organizzare al meglio ogni cosa. Se qualcuno volesse prendere il suo posto, dice, basterebbe dirglielo. Sa che nessuno avrebbe la lucidità tale per far fronte a tutti i problemi che verrebbero fuori.
"Perché?" gli chiedo.
Mi risponde che ci pensa da sempre. Ogni notte, ogni giorno, ogni volta che entra in quel supermercato si guarda intorno e immagina come sistemare determinate cose. Immagina le persone indaffarate a mettere in ordine, immagina i muri di mattoni alle entrare, immagina la gente sul tetto , fucili alla mano.
Continua a parlare spiegando come ovvierebbe al problema del bagno. Andrebbe con i suoi "guerrieri" a ripulire dalle bestie immonde la piscina comunale e porterebbe tutte le persone a fare il bagno lì, dopo averla resa sicura. Tutti potrebbero crearsi il lavoro che vogliono, secondo le proprie capacità, chi lo desidera potrebbe entrare a far parte della schiera di persone che imbracciano un arma e che, ogni giorno, vanno alla ricerca di altre persone da salvare o di viveri in generale. Va bene qualsiasi cosa, spiega, basta che nessuno stia con le mani in mano, se non per riposarsi dopo una giornata di lavoro. Anche perché sennò morirebbe di fame, visto che non riceverebbe monete da scambiare con un pranzo o con una cena.
"Mah.."replico. "Cosa?", mi chiede, voltandosi. Rispondo niente e chiedo come mai pensa a tutto questo. Mi dice che quello che tiene in vita una persona sono i suoi sogni. "C'è chi desidera arrivare in cima alla piramide, chi desidera una bella casa, chi un bel lavoro e si da da fare per tutto questo.
Io sogno la fine del mondo e mi ingegno per questo, mantenendo in vita il mio cervello e me stesso, aspettando il momento in cui tutto finirà."
"E se non finirà mai?", domando. "Allora avrò vissuto senza realizzare il mio sogno. Ma morirò comunque dopo di te", risponde.
Domando perché ma non ricevo risposta. Sono arrivati gli infermieri.
Devo andarmene.
Saluto il mio amico, mentre esce dal cancello e si avvia verso casa. E' una brava persona, anche se fa discorsi così strani a volte che non lo si capisce quasi. Adesso prendo le medicine e me ne vado a letto, a sognare con la speranza che quello che mi ha raccontato il mio amico non mi faccia venire gli incubi.
Mi ha impressionato.
Fuori è davvero pieno di matti.
Credo proprio che dovrei appuntarmi queste storie. Non si sa mai, potrei sempre ricavarne qualcosa, magari un buon libro.
Si, diamine. Come se a qualcuno potesse interessare una serie di storie da mezza pagina senza un collegamento.
Ma porca paletta, ma quando sta a me?!
Non ne posso più!
E mentre penso a questo mi stacco dalla colonna a cui ero appoggiato, sospirando.
Faccio due passi avanti e indietro, tenendo sott'occhio il tabellone dei numeri in caso arrivi il mio turno. Sarebbe molto disdicevole se, per non essere arrivato in tempo, passassero avanti costringendomi a dar fuoco a questo posto.
Certo è che potrei anche aspettare dentro, ma chi cavolo ha voglia di stare rinchiuso in una stanza piena di gente quando fuori c'è un così bel sole?
Soprattutto quando fuori non ci sono bambini che urlano, persone che tossiscono in maniera nauseabonda evidenziando un marciume polmonare degno di ricovero ospedaliero e puzza. Si, puzza. O, se preferite, odori, profumi e deodoranti che si mischiano insieme creando un irrimediabile, orribile, indicibile: puzza!
Inoltre c'è anche da considerare il fattore “amici improvvisati”, cioè quando chi hai vicino fa di tutto per attaccare bottone anziché fare come me che parlo da solo e mi faccio i miei viaggi allucinati mentre fisso una mattonella, talvolta anche cercando di dialogare con chi vorrebbe semplicemente starsene per conto suo. I peggiori sono quelli che vorrebbero addirittura parlare di politica. Ma cazzo, mi conosci da trenta secondi netti e già pensi di poter parlare di un argomento così delicato come la politica con me, che non sai nemmeno di che colore ho gli occhi perché li tengo chiusi facendo finta di dormire per vedere se rinunci nel tuo intento di interagire, senza dover per forza dirti in faccia di non rompermi le scatole e invece NIENTE, te sei lì, che mi guardi, che gesticoli, che mi parli, nonostante i miei mugugni nel risponderti, il mio sguardo vacuo che cerca una via di uscita, una scusa per allontanarsi o per cambiare discorso.
Ed ecco che quando tutto sembra impossibile da evitare ti ritrovi ad ovviare al problema nel modo più consono: immaginandoti un carosello che gira e gira e gira e gira in continuazione, con una litania di sottofondo sempre uguale.
Puoi anche provare a partecipare attivamente alla discussione fra lui e te (non fra te e lui, ricorda!) ma tanto finirà che litigate se avete idee o opinioni diverse oppure che parlerà fino a farti sanguinare le orecchie.
Lo ammetto, il carosello è un rimedio da persone chiuse in se stesse, talvolta egoiste o, quantomeno, poco educate nei confronti degli altri che vorrebbero solo scambiare due parole con voi, ma è dannatamente efficace. E poi, scusate, ho chiesto io di rivolgermi la parola?
È colpa mia se in quel momento mi girano talmente le palle da aver voglia solo di andarmene a casa a giocare alla play, anziché dover stare lì a perdere tempo e poi dover tornare a lavoro?
Non dovrebbe essere così la vita, cazzo. Gli unici momenti che hai per pensare solo a divertirti sono quando sei piccolo o quando sei vecchio ma, nel primo caso, non hai la possibilità per divertirti perché sei ovviamente senza soldi e perché tutto ti è precluso a causa della piccola età mentre, nel secondo caso, sei talvolta anche qui senza soldi e poi tutto ti è precluso a causa dell'età.
No, aspetta..
Cavolo, vista così è proprio una vita schifosa. O mamma, quanto me la meno. Deh, la vita è una palla, ma d'altronde ormai ci siamo, godiamocela.
Ma con chi parlo?
Capitolo 5
l'albero
Camminava da solo, nella strada davanti casa illuminata dai lampioni.
Da lontano l'eco dell'abbaiare di un cane, delle tv accese dei vicini.
Era uscito solo per fumare una sigaretta e a pensare. A pensare alla sua vita, a quello che lo circondava ogni giorno.
Riflettendo, passo dopo passo, avanti e indietro, si era ritrovato a fissare il vecchio albero che da sempre faceva parte di quel piccolo quartiere.
Si era appena messo a pensare, osservandolo, che da quando se ne ricordava quell'albero era sempre stato lì, immutabile nel tempo, non ancora stanco della sua vita.
Lo osservò giusto il tempo di considerarlo, oramai, come un vicino di casa, benevolo, poco interessato ai fatti che si verificano ogni giorno intorno a lui e, senza quasi rendersene conto, gli uscirono dalla bocca queste parole:
"Ancora qui, eh vecchio mio?!"
E fin qui niente di strano.
Capita che una persona, almeno una volta nella sua vita, parli con un vivente impossibilitato a rispondergli.
Se non che, ebbe questa risposta:
"eh si, d'altronde, dove vuoi che vada?
L'uomo alzò lo sguardo verso l'albero, con aria assente e un po' sorpresa, aspirò una boccata dalla sigaretta ed esclamò semplicemente:
"eh.."
L'albero, se mi scusate il gioco di parole, non fece una piega e domandò all'uomo come mai non fosse poi così sorpreso di interloquire con un albero e, come risposta, ottenne queste semplici parole:
"perché probabilmente ho fuso il mio cervello e, se anche non fosse, io sono un Italiano. Con tutto quello che accade nel mio paese ogni giorno, e che sento dire, un albero che risponde alle mie domande non mi spaventa più di tanto.
E l'albero non parlò più all'uomo, che si diresse verso casa dopo aver gettato via il mozzicone della sua sigaretta, ormai finita.
Dopo quest'ultimo viaggio nei meandri della mia mente bacata decido che è il caso di smettere di fissare insistentemente questo povero pioppo, o quello che è, e di tornare dentro a godermi il crogiolo di rumori, odori e sensazioni che affollano la stanza. Non sia mai che riesca a perdermi qualcosa di interessante come, chessò, il tabellone che si fulmina o che spara numeri a caso, un ladro che entra per rubare la pensione agli anziani o cose così.
Forte.
Un ladro che entra e inizia a sbraitare con un trincetto in mano o, al limite, con una pistola giocattolo. Già mi immagino la scena.
Lui che entra urlando a squarciagola, due vecchiette che svengono, una donna che urla.. no, è un uomo. Le cassiere che rimangono pietrificate tranne una che inizia a correre su e giù gridando “accorruomo!
all'aggressione”, i bambini che smettono di frignare e si ciucciano i diti osservando la scena, io che inizio a piangere e mi prostro innanzi ai piedi del ladro implorandolo di lasciarmi andare e poi
BAM!
Un pugno nelle palle, mentre con la mano destra gli tengo bloccato il braccio armato, poi mi alzo di scatto per prenderlo a pugni nella gola, in faccia, nella schiena. Ovunque mi capiti. Per poi ritrovarlo a terra, con la faccia fra le mani a cercare di coprirsi mentre lo prendo a calci.
Cazzo di eroe.
E poi immagino che a quel punto tutti i presenti troverebbero il coraggio di avvicinarsi e fare gli eroi anche loro, magari pestandolo.
Quello sarebbe l'inizio della fine. Inizierei a scalciare e a tirare pugni per non fare avvicinare nessuno urlando “Che cazzo volete voialtri? Tornate nei vostri angoli a tremare come pulcini infreddoliti e fatevi i cazzi vostri come avete fatto fino ad ora, vigliacchi bastardi!
Facile picchiare uno a terra!”.
E poi boh. Non se lo consegnerei alla polizia. Il problema è che poi in galera ci finirei io per averlo pestato. Inoltre ci sono le telecamere e non avrei scusanti, nemmeno e soprattutto se lo lasciassi andare.
Capace diventerei famoso.
Te lo immagini i giornalisti arrivare a corsa per riempirmi di domande idiote, avanzando ipotesi stupide su come può essere andata dando anche peso al racconto di una farda che abita qua davanti, che era a fare la doccia ma è uscita di corsa appena ha visto le telecamere per dire la sua e godersi la gloria effimera di due minuti di carriera televisiva.
Famoso!
Riesci ad immaginare che rottura di palle?
Per una cazzata del genere, poi.
Mah..
Con quest'ultimo pensiero torno a vagare nel mio cervello immaginandomi vestito come un esploratore, con tanto di cappello color sabbia, torcia e l'immancabile frusta.
Mi trovo all'interno di un vecchio castello.. no! Niente castello, sono all'interno di una piramide o qualcosa del genere. Sto attraversando un lungo corridoio buio, illuminato a tratti dalla luce della mia torcia. L'odore di stantìo, di chiuso, è asfissiante. Le pareti sono lisce, con delle lineari intercapedini che corrono lungo tutto il tragitto, sia verticalmente che orizzontalmente, evidenziando i mattoni con cui sono costruite.
Devo fare attenzione a dove metto i piedi o rischio di far scattare qualche trappola. Si, perché ricordo a tutti che anche se una trappola è vecchia di 2000 anni funziona sempre. Non si costruiscono più le cose come una volta.
Punto la torcia contro la parete, in fondo al corridoio, e osservo attentamente. C'è qualcosa che luccica. Mi avvicino per osservarlo meglio ed eventualmente impossessarmene ma non appena lo tocco faccio scattare un meccanismo di difesa.
"È una trappola!" grido a me stesso.
Prendo l'oggetto ed inizio a correre a grandi falcate, tornando da dove sono venuto mentre dietro di me sta scatenandosi il finimondo. Mentre corro non posso fare a meno di notare gli enormi mattoni staccarsi dalle pareti e cadere rovinosamente a terra. Non oso girarmi per vedere cosa sta succedendo e non ho intenzione di perdere tempo ad immaginarmelo. Preferisco risparmiare energie da convogliare alle mie gambe per correre più veloce. Più veloce!
Ecco l'uscita! Vedo la luce chiara del giorno che cerca di entrare prepotentemente dentro il tunnel.
Più veloce!
"Più VELOCEEEEEE!"
Grido, lanciandomi con un ultimo sforzo verso l'uscita, atterrando sull'erba davanti all'ingresso. Subito mi copro la testa con i bracci, chiudendomi su me stesso, mentre mi arrivando addosso polvere, piccoli ciottoli ed una noce di cocco. Mi rialzo quando tutto sembra essere finito, dandomi delle pacche sui vestiti per togliermi la polvere di dosso.
Tolgo dalla tasca il piccolo oggetto trovato dentro il santuario. In cuor mio spero si tratti di qualcosa di veramente importante o avrò rischiato la vita inutilmente.
Lo osservo per qualche secondo, sembra una specie di contenitore di ferro. Lo apro, ruotando il tappo, e tiro fuori un plico di fogli scritti.
"Ma che...?"
Mi siedo sull'erba, con le gambe incrociate, è leggo qualche riga. È una storia ambientata nei giorni nostri, con protagonista un ragazzo che fa un lungo monologo sulla situazione del suo paese.
Rimango perplesso per qualche secondo, poi mi rendo conto che l'unica cosa rimasta da fare è leggerla. Dedico quindi di sistemare le poche cose che mi sono trascinato dietro, accendo un fuoco con l'intento di cucinarmi qualcosa e mi metto comodo, a leggere questa storia.
Si intitola "famous".
Capitolo 6
famous
Quella che sto per raccontarvi è la mia storia. Non vi dirò perché ma vi basti sapere che sono diventato famoso e come succede tutte le volte il gioco del successo mi ha colpito incessantemente fin dal primo giorno in cui la mia schifosa faccia è finita su un giornale.
Quello che mi ha portato ad essere quello che sono è difficile da spiegare. Tagliando corto possiamo dire che sono arrivato ad una conclusione, condivisa tra l'altro da molti, e cioè che la maleducazione è direttamente proporzionale alla quantità di soldi contenuti nel portafoglio.
Questo non è certo il movente che mi ha spinto a comportarmi così, ma diciamo che è il concetto principale.
Non ho mai potuto sopportare la maleducazione ed è soprattutto a questi livelli che riesce ad essere più marcata, quando invece dovrebbe essere il contrario.
Una volta chi era famoso era una persona degna di essere considerata tale. Era un Signore, appunto.
Adesso chiunque può diventare famoso servendosi, più che della bravura nel saper fare qualcosa di utile, del culo.
Tanto per capirsi una volta si diceva che per diventare famosi servivano anni ed anni di gavetta, di esperienze, di saper parlare, cantare, recitare, sorridere e soprattutto leggere, tanto è che si usava la famosa frase popolare “devo farmi il culo”. Frase che ancora oggi è in auge ma non per benemeriti speciali da attribuire alla schiera di falsi dei che compaiono in ogni dove, no. Semplicemente questa frase è ancora largamente usata per indicare che, adesso, chi è famoso si è letteralmente fatto il culo. O, per essere ancora più chiari, se lo è fatto fare.
Oramai uomo o donna non ha importanza. L'importante è che tu ti conceda.
E non devi nemmeno preoccuparti di passare male, visto che siamo nel 3° millennio e siamo più aperti, più intelligenti, meno analfabeti, insomma: siamo ITAGLIANI!
E poi, via, ultimamente la chiesa ha pubblicamente chiesto scusa a Galileo Galilei riconoscendo che le sue teorie secondo cui la terra gira intorno al sole, e non viceversa, non erano poi così sbagliate. Segno, questo, che la mentalità è completamente cambiata, rispetto al medioevo.
Basta con queste persone vecchie, serie e che sanno lavorare. È molto meglio vedere in televisione un bel paio di puppe rifatte che strabordano da un vestitino stretto o qualche culo perizomato di ragazze che si piegano a 90° di continuo e si contorcono simulando rapporti sessuali a mezz'aria.
Basta con opinioni di persone che hanno degli ideali, che pensano da sole o che vogliono rendere interessante il programma. Mettici uno che non sa fare un cazzo nulla, una che ride per delle puttanate, gente che fa delle battute stile “perché una gallina attraversa la strada? Per andare dall'altra parte!!” e tutti giù a ridere. Presentatrici goffe che inciampano e non sanno simulare nemmeno la tristezza e che, provandoci, fanno la stessa faccia che ho io quando sono stitico, presentatori presi a casaccio da reality e via dicendo.
Questa è la televisione del terzo millennio.
Così deve essere.
E questo per quanto riguarda la tv in generale. Per quanto concerne i telegiornali via con gente presa a caso e mandata con un microfono in mano a rompere le palle alla gente, a fare domande stile “come si sente?” a una madre a cui hanno bruciato vivo il figlio per combattere la noia.
Potrei continuare per ore ma preferisco fermarmi qui e tornare a parlare di me.
Come vi stavo dicendo non sopporto la maleducazione ed è proprio per questo motivo che mi offro come redentore per tutte quelle persone immeritevoli di fama, soldi e/o potere generico.
Vi starete chiedendo cosa significa, immagino. Ebbene, detta in parole povere, io uccido senza possibilità di ripensamenti tutte quelle persone che con modi illeciti o scorciatoie, come fare pompini al capo, sono arrivate al successo.
Senza pietà, senza dubbi, senza paure, mi prodigo in questa crociata che non ha altro senso se non farmi meritare un posto all'inferno, accanto all'unico essere che ha peccato in ogni cosa ma non certo per ipocrisia.
Preparati Lucifero, sto arrivando.
“STOOOP!
BUONA LA QUARTA, AVANTI CON LA PROSSIMA SCENA”
“forza ragazzi, 5 minuti di pausa. Andate a prepararvi che si continua”.
“tutto bene regista?”
“tutto perfetto, ragazzo mio. Ottima teatralità, mi hai fatto venire i brividi. Ora vai a prepararti che si gira la prossima scena.
Ah, paolo!
Ricordati di chiamare la mamma, voleva sapere devo hai messo le chiavi della macchina”.
Esco dal sogno e torno alla realtà, con l'unico pensiero che una cosa del genere difficilmente potrebbero mai passarmela.
Di sicuro verrebbe considerata come politicamente scorretta, che nessuno sa cosa diavolo significhi ma tutti lo dicono, o comunque sarebbe un ottima storia per raccogliere cesti di denunce o di sassate in generale.
Che palle.. come direbbe ciro: non si po' dì niente!
Comunque non è un problema. Tanto dubito che qualcuno potrebbe mai prendere anche solo lontanamente in considerazione l'idea di leggere e, soprattutto, pubblicare un coso, un qualcosa del genere. Non riesco nemmeno a definirlo.
Forse, magari, in previsione di qualcosa potrei segnarmi qualche appunto e vedere cosa viene fuori.
Il problema è che non mi ricordo niente di quello che ho pensato fino ad ora.
Non sono nemmeno sicuro da cosa siano scaturite queste storielle.
Forse, se smettessi di pensare come se mi trovassi di fronte a qualcuno, potrei riuscire a smetterla di immaginarmele.
Si.. E poi che faccio? Guardo il tabellone fino allo sfinimento?!
No, no, fammi tornare nel mio mondo almeno perdo qualche minuto con una nuova storiella su.. vediamo, cosa potrei immaginare di diverso?
Ci sono!
Capitolo 7
il rifugio
Lui è qui, lo sento.
È qui intorno e mi sta osservando o, quantomeno, sta cercando di capire dove sono per valutare la sua prossima mossa.
Credo che ce l'abbia con me. sono sicuro che gli piacerebbe sentire il mio respiro per scoprire dove mi trovo e stare più tranquillo, ma ho imparato presto a non fare il benché minimo rumore e aspettare.
Si tratta solo di aspettare.
Alla fine uno dei due cederà e l'altro potrà finalmente fare quello che deve fare.
Da parte mia posso dire di non avere nessuna fretta. Spesso mi trovo in queste situazioni, in cui devo cercare di nascondermi per fare in modo di non essere catturato o, peggio, ucciso.
Non c'è limite alla barbarie umana. Non c'è limite alla sofferenza.
Tutto quello che faccio è starmene per i fatti miei, cibarmi di quello che capita e costruire rifugi improvvisati con quello che trovo in giro, cercando di creare meno problemi possibili.
Ovvio che, per quanto stia attento, qualcosa di sbagliato possa farlo anche io.
Nessuno è perfetto.
Ma che per delle piccole bagatelle rischi di venire ucciso mi sembra eccessivo.
Inoltre, come se già l'umana follia non fosse sufficiente, devo essere accorto onde evitare grane da parte di gatti randagi o altri animali, che sembra ce l'abbiano tutti con me. È dura la vita per uno del mio stampo.
E dire che ho visto alcuni essere trattati da pari o, perlomeno, essere lasciati in pace e, talvolta, ho visto persone dar loro del cibo. In alcuni casi non necessariamente per essere tenuti a distanza quanto, piuttosto, per umana carità e gioia di condividere quel dolce dono che è la vita propria e degli altri esseri viventi.
Eppure, come per contrappasso, esistono invece persone felici di far del male a chi non ha possibilità né interesse a difendersi e a far del male agli altri, se non necessariamente costretti.
Ammetto che per nostra stessa natura siamo costretti ad eliminare molti dei rapporti umani in quanto, diciamo, repellenti a causa del nostro odore e delle nostre fattezze ma credo che questo non giustifichi delle cacce indiscriminate nei nostri confronti.
Si sta avvicinando.
Deve essersi stancato di aspettare.
Credo mi abbia sentito.
Non posso più stare qui.
Lo vedo!
Corro!
Corro più veloce che posso e cerco di guardarmi intorno per trovare un possibile rifugio.
Cerco di infilarmi dappertutto per fuggire.
Mi passa accanto una scarpa.
Deve essersela tolta per cercare di colpirmi.
Sento dietro a me il sordo rumore di un bastone che colpisce a terra e capisco che è molto vicino e che sta cercando di colpirmi.
Per mia fortuna non ha una buona mira.
Corro.
Ho il cuore che sta per esplodere.
Giro l'angolo e trovo una donna che inizia ad urlare. Mi spaventa così tanto che torno indietro e, intanto, lui va a sbattere contro di lei.
Si riprende, ma ormai è troppo tardi.
Sono di nuovo nascosto e gli ci vorrà un po per ritrovarmi.
Devo stare attento a non fare errori, questa volta.
Ed intanto, dal mio rifugio, ascolto la frase che ho sentito più spesso in vita mia:
"Ti ucciderò, maledetto topastro".
Si, oddio, come storia non è proprio il massimo ma può funzionare. Poi chissà, magari a qualcuno piacerà.
Fammi prendere due appunti anche di questa, poi quando arrivo a casa le studio per bene tutte quante. O magari le lascio lì a macerare, insieme a quella che sto scrivendo.
Non ricordo neanche dove sono arrivato. Vediamo..
ah, si! Al punto in cui lui vive insieme ai suoi parenti. Devo decidere come continuarla, magari mettendoci qualche omicidio in mezzo, giusto per ravvivare l'attenzione. Potrei far morire anche il resto della famiglia, così non se ne parla più. Però da chi li faccio uccidere?
Da Matteo o da coso, (come era il nome..) da Luigi?
Boh. Ora vediamo.
Potrei cominciare un altro libro, magari che parla di qualcuno di diverso da un ragazzetto dei nostri tempi con il pallino della vendetta. Vediamo..
Un serial killer che uccide per un oscuro motivo che verrà svelato alla fine?
Naa.. troppo banale.. Anche se, studiato bene, potrebbe dare delle soddisfazioni. Con un titolo azzeccato, magari, tipo “le memorie dell'uomo nero” o qualcosa del genere.
Oppure, ancora meglio, potrei variare con il repertorio e scrivere di qualcos'altro. Per esempio il soggetto principale potrebbe essere un ragazzo alto, muscoloso, bello come il sole e forte come un toro. Si, mi piace. Vediamo, cosa potrei fargli capitare di spiacevole?
Ce l'ho:
una mattina viene arrestato perché è stato ritrovato il corpo di una ragazza con la testa staccata di netto dal corpo. È stato lui? Non è stato lui? Boh, quello si guarda poi. Intanto fammi buttare giù l'idea e qualche riga, giusto per avere un riferimento e poi si costruisce la storia. Anzi, fammi buttare giù anche il finale così so come costruire la storia.
Vediamo.. come potrebbe finire.. magari con lui che
“Scusi..”
Alzo lo sguardo, dimenticandomi completamente quello a cui stavo pensando non appena la vedo.
Una visione celestiale, qualcosa di indescrivibile, un raggio di sole in un anfratto tetro, che rischiara la mia buia indifferenza causatami da questo orripilante ricettacolo di anime. Si, insomma, una bella topa.
“Si?” le rispondo.
“È libero questo posto?”
“Certo, prego si accomodi”
“Ah, grazie!”
“Grazie a lei, per due motivi. Il primo è che si è dimostrata una ragazza ben educata ed il secondo è che ha reso la mia mattinata più interessante”
“Oh, come è galante.”
“Vorrei dimostrarglielo ulteriormente, magari invitandola fuori a cena. Che ne dice?”
“Dico che va bene”
“Mentre aspettiamo il nostro turno, che ne dice per uscire per un caffè?”
“E se perdiamo il posto?” mi risponde.
“Vorrà dire che avrò il piacere di passare altro tempo con lei” le rispondo.
Usciamo da quel crogiolo di anime perdute e già ci sentiamo meglio tutti e due. Come un vero gentlemen le porgo il braccio, a cui lei si accosta volentieri, e facciamo quattro passi nel parco vicino. Mentre siamo insieme perdo la cognizione del tempo e dello spazio, soprattutto grazie alla sua voce melodiosa, che risuona nella mia testa come un motivetto dolce e fa da accompagnamento al suono ritmico dei nostri passi lenti, senza fretta, di chi vorrebbe tutto il tempo del mondo per quel momento particolare.
A metà giornata ci ritroviamo sdraiati sull'erba. Lei ha la testa appoggiata sul mio braccio e il sole ci ricopre amorevolmente.
È quella che potremmo definire la giornata perfetta per starsene accoccolati su un prato.
Mentre stiamo dando vita alle nuvole che ci sovrastano, complice la nostra immaginazione, ci scappa da ridere per una mia battuta. Lei si volta verso di me, sorridendo. È così bella.
Ci avviciniamo entrambi, lentamente e socchiudendo gli occhi, fino a
BEEP!
Alzo lo sguardo verso il tabellone. Non finirà mai questa mattinata.
E per colpa di quel maledetto suono adesso mi tocca anche fare i conti con la realtà, proprio ora che avevo trovato “il viaggio” giusto per rilassarmi e perdere qualche minuto.
La ragazza che mi ha chiesto se il posto vicino a me fosse libero non ha perso tempo a sedersi e ficcarsi le cuffie di quel coso maledetto, una specie di cellulare, arma d'ordinanza di ogni sociopatico menefreghista che non vuol fare i conti con il mondo e che trova più conveniente rifugiarsi nel suono. Ormai fanno di tutto. Telefonano, scattano foto, inviano messaggi, vanno su internet e tante altre cazzate inutili. Voglio dire, di per se il cellulare è una rottura perché permette a tutti di trovarti, anche a chi non vuoi che ti trovi, se poi ci aggiungi che costa più della metà di uno stipendio di un operaio medio direi che di motivi per non comprarlo ce ne sono tanti.
Ma si sa, è la moda. Almeno ora uno può permettersi di comprare un cellulare del genere al proprio figlio e risparmiarsi i soldi del pc.
Mah..
L'altro giorno mi ricordo di mia zia che parlava di un amico dei suoi bambini. Diciamo che ha 12 anni e, diciamo pure, un cazzo di cellulare ultimo modello, di quelli che, per quello che costano, dovrebbero farti anche felice a letto. Ora, voglio dire, ma CHE DIAVOLO SE NE FA UN BAMBINO DI UN CELLULARE DA MILLANTA EURI?
Ok, sono calmo. Sono calmo, mi sto calmando. Calma il respiro, ti stanno osservando, hai le gote rosse e gli occhi spalancati. Rilassati, calmo. Fermo.
Calmo.
Ho detto calmo.
Capitolo 8
paranoia
Una macchina parcheggia a lato della strada. Il guidatore sta preparando una sigaretta, quando un uomo che si trova a camminare sul marciapiede si volta e riconosce nel guidatore un suo vecchio amico. A questo punto si avvicina per salutarlo.
“oh, caro. Come va?”
“oh, Vincé, ciao tutto bene. Te?”
“tutto bene, tutto bene. Dove vai?”
“Da nessuna parte, sono qui in giro con
oh! stai zitto un attimo?!”
Vedendo il suo amico Michele girarsi di scatto ed urlare al sedile posteriore Vincenzo rimane per un secondo spaesato e da fuori cerca di notare se dietro ci sia un passeggero che non è riuscito ad intravedere quando si è avvicinato alla macchina. Ma non vede nessuno.
“Scusa, eh” continuo a parlare Michele “ma proprio non lo sopporto quando mi interrompe mentre saluto un vecchio amico.”
“Certo.. certo non ti preoccupare. Sei sicuro che vada tutto bene?”
“si si, perché?”
“No.. così.. senti ma il lavoro come va?”
E rimangono a parlare per alcuni minuti. Alla fine Michele decide di scendere dalla macchina per fumare una sigaretta, insieme al suo amico Vincenzo.
“te invece, come te la passi?” domanda Michele.
“ma, sai, per ora mi dedico alle solite cose, sto cercando di portare avanti un progetto che”
“Oddio, scusa un attimo. Non lo sopporto più.
Cosa vuoi? Che c'è?
Eh?!
ah, ok..”
“Cosa è successo?” domanda Vincenzo, a questo punto incuriosito dall'evidente problema del suo amico Michele.
“ma no, niente. Mi chiedeva se ho intenzione di rimanere qui per molto e
NO! NO, MALEDIZIONE, NO! Adesso ripartiamo, puoi aspettare cinque fottutissimi minuti?!” Michele ha all'improvviso uno sbotto di rabbia, ed inizia ad urlare contro il finestrino posteriore della sua macchina. Vincenzo, che si ritrova ad assistere a qualcosa che esula dalla sua normalità, rimane spiazzato per qualche secondo. Poi prende la parola, con tono deciso.
“Ora che ha? Che gli è preso?” domanda a Michele.
“Ma che ti devo dire. Se ne sta lì a brontolare come se esistesse solo lui al mondo. Mai che possa concedermi due minuti di riposo. Devo stargli sempre vicino a sentire le sue lamentele.”
“Hai provato a lasciarlo a casa?”
“Certo, però poi mi annoio e, cosa peggiore, non mi sento tranquillo. Preferisco averlo sempre vicino, anche se è un grandissimo rompi..”
Prima che Michele possa concludere la frase si gira di scatto e fa per urlare qualcosa, subito imitato da Vincenzo che si accosta, insieme a Michele, al vetro della macchina ed urlano insieme.
“ZITTO!!!”
Solo allora Vincenzo si accorge di un particolare importante.
Perché gridare ad un finestrino chiuso? Come può una persona, finanche immaginaria, poter sentire da dentro la macchina con i finestrini chiusi, quello che ha da dirgli Michele che si trova all'esterno?
Certo, lui urla, e forse è questo il motivo per cui lo fa. Perché almeno la “persona” dentro può sentirlo. O forse che il finestrino è chiuso perché così può specchiarcisi?
Si, il particolare è proprio questo. Vincenzo se ne rende conto quando i due volti che si avvicinano al finestrino vengono prontamente riflessi, come in uno specchio, dal suddetto e mostrano tutta la loro rabbia inutile verso qualcosa che non esiste.
E all'improvviso Vincenzo si pone tante domande, chiedendosi soprattutto se il suo amico Michele sia semplicemente scemo o un geniale pazzo che gli ha svelato un'importante verità. Una verità a cui si arriva se si conosce quella vecchia storiella per cui se due persone si rivolgono l'una all'altra urlando è solo perché i loro cuori sono distanti. Quindi la domanda è: se una persona urla a se stessa cosa significa?
Che è sorda, che odia se stessa, che lo fa per riavvicinarsi al suo io interiore o per qualcosa di ancora più grande?
La risposta.. la risposta è la verità.
Forse che
BEEP
Alzo gli occhi da terra di scatto, come si mi riprendessi da una trance. Controllo il tabellone. Solo un numero. Un maledetto, unico, inutile numero. Mi alzo per sgranchire un po' le gambe e per prepararmi a correre allo sportello. Non sia mai che salto il turno. Potrei uccidere qualcuno.
capitolo 9
fine(?)
BEEP
Tocca a me. Mi avvicino allo sportello dove c'è quella maledetta odiata da tutti. Proprio lei. Sorrido e dico buongiorno. Mi risponde e mi chiede cosa voglio, senza nemmeno guardarmi in faccia.
“Oh, niente di che” le rispondo.
Dopodiché allungo le mani dietro la schiena, alzo la camicia con la mano sinistra e con la destra estraggo un cannone calibro 44.
La punto in faccia a quella stronza e premo il grilletto senza dire una parola.
Un colpo e la sua testa va in frantumi.
Il corpo si slancia all'indietro e va a schiantarsi a terra. Scavalco il balcone, incurante delle urla e delle persone che si agitano intorno a me. Un tizio si avvicina per fare l'eroe ed io gli sparo senza nemmeno curarmi di mirare o guardare dove esplodo il colpo, dopodiché mi avvicino alla donna e la guardo mentre è a terra.
Le punto la pistola contro.
Uno, due, tre, quattro, cinque colpi. Due al petto e tre nella pancia, senza badare a spese.
Che non si dica che sono tirchio.
Quello che ha provato a fermarmi è a terra, dolorante, ma credo se la caverà.
Faccio fuoco contro la vetrata. È ora di far entrare un po d'aria.
Un volta che il vetro si è disintegrato al suolo mi avvicino all'apertura ed esco.
Sento le sirene dei tutori dell'ordine.
Ci sono persone alle finestre, intorno, che stanno osservando quello che succede. Ma quanto ci mettono ad arrivare?
Per distrarmi sparo alle gomme delle macchine parcheggiate qua davanti.
Ecco che arriva la prima macchina della polizia.
Alzo il braccio e faccio fuoco su di loro. Colpisco il cofano, il radiatore e un fanale. La macchina blocca la sua folle corsa, facendo stridere le gomme e lasciando sull'asfalto due strisce nere. La parte migliore è la macchina che arriva dall'altro lato della strada. Faccio fuoco anche contro di loro e nel cercare di evitare di essere colpito il tipo alla guida sterza bruscamente creando un perfetto concatenarsi di eventi che se avessi voluto organizzarlo non sarebbe riuscito così bene.
La scena è questa:
il tizio arriva a folle velocità, mi vede sparare e sterza bruscamente, facendo finire la macchina contro un cancello, per poi ribaltarsi rovinosamente.
Cose che succedono quando si lancia una macchina in velocità su un marciapiede.
La concatenazione di eventi, però, è questa:
per conoscere la fine del manoscritto è possibile acquistare il libro in un qualsiasi punto Feltrinelli oppure direttamente dal sito "ilmiolibro.it".
inizio
Il respiro è affannoso, pesante.
Apro la mano sinistra per mollare la presa dalla camicia di quest'uomo, ormai più simile ad un fantoccio senza vita che non ad una persona. Appena lo lascio andare la carcassa cade pesantemente al suolo. Posso osservarlo mentre si sdraia completamente a terra, in una smorfia curiosa e, perché no, ridicola.
Appoggio per un momento le mani sui ginocchi. Sul pavimento c'è una patina rossastra e appiccicosa che si estende ogni secondo che passa, in tutte le direzioni. Odio il sangue. È anche pericoloso, qualcuno potrebbe scivolare e farsi male cadendo.
Alzo lo sguardo e vedo tutto intorno persone che fuggono. Altre, morte, giacciono a terra con parti del corpo mancanti o, semplicemente, con interiora che fuoriescono da pertugi creati appositamente in svariati punti del corpo.
Mi alzo in piedi e lo sguardo mi cade su un particolare curioso. Uno dei cadaveri non ha la testa ma non ricordavo di avergliela tolta.
Forte.
Cerco il coltello da macellaio con cui ho fatto questo casino e lo trovo conficcato nella schiena di quella troia maleducata che mi ha fatto incazzare allo sportello. Lo sfilo e tiro un calcio al corpicino di quel maledetto moccioso petulante che non faceva altro che urlare e, già che ci sono, prendo a pedate nelle palle il corpo di suo padre.
Che razza di genitore fa venire su un bambino in quel modo?
Trovo la testa di quell'uomo, del "cavaliere senza testa", sopra il balcone. Gli occhi aperti, come ad osservare la magnificenza di quella situazione che gli si para davanti, in silenzio.
Un ottimo pubblico, oserei dire.
BEEP.
Il suono del tabellone che cambia numero mi riporta alla realtà.
Ancora due numeri e tocca a me.
Accanto a me un signore controlla il suo numerino. Ne avrà da aspettare ancora.
Più distante un bambino sta zompettando qua e là, parlando di tanto in tanto ad alta voce, con quel tono acuto tipico dei bambini. Semplicemente odioso.
Davanti a me un altra fila di seggiole, occupate da una vecchia signora vestita come una ragazzina che continua a sbuffare guardando l'orologio e a truccarsi in media ogni cinque minuti.
Che sia in ritardo per l'appuntamento dall'estetista?
Probabilmente dovrà gonfiarsi ancora di più quelle labbra da puttana incartapecorita.
Ha gli occhiali da sole, nonostante fuori piova, ed emana un terribile odore di profumo troppo abbondante e pelle marcia come se si stesse decomponendo e per fare in modo che nessuno se ne accorga si fosse tuffata in una vasca di profumo.
Accanto a lei un signore distinto che sta leggendo il giornale. Di tanto in tanto sorride, come leggesse qualcosa che gli provoca ilarità.
È forse l'unica persona qui dentro a cui rivolgerei parola.
Agli sportelli giovani e anziane "commesse" cercano di sbrigarsela il prima possibile per riuscire a liberare la sala e chiudere al più presto.
Solo una non ha capito come funziona e se ne sta lì a far incazzare chiunque abbia la sfortuna di finire di fronte a lei, accampando mille e più svariati motivi per far perdere tempo al malcapitato e rompendo letteralmente i coglioni con banalità come:
"Non si legge bene la firma"
"Non si vede bene la foto in questa carta d'identità"
"A cosa le serve questo foglio?"
Verrebbe da risponderle "Ma cosa cazzo te ne frega? stampami quel cazzo di merdoso foglio dei miei coglioni e vedi di trombare un po', almeno ti rilassi, vecchia stronza".
Ma tutto quello che puoi fare è solo ingoiare il rospo e sorridere falsamente, mostrandoti compiacente e sottomesso.
Almeno finché non ti scatterà la vena. Un giorno.
Odio queste mattinate perse a fare la fila alle poste.
Capitolo 2
BEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEP
Penso fra me e me che è inutile star qui a controllare incessantemente il tabellone, aspettando che finalmente sia il tuo turno e decido, quindi, di trovare il modo di distrarmi.
Comincio tirando fuori il cellulare dalla tasca. L'invenzione più inutile del mondo. Grazie a questo aggeggio chiunque può trovarti, ovunque ti trovi, ma soprattutto tutti si sentono in dovere di chiamarti. Ogni fottuto scocciatore che voglia venderti un set di pentole o che voglia informarti dell'ultima offerta di un gestore telefonico e quando ti va male capita anche che ti chiami il tuo direttore di banca per ricordarti che non hai soldi sul conto. Come se potessi dimenticarmelo, coglione.
Però poi, almeno a qualcosa serve. Per i giochi, ad esempio.
Tutti i cellulari hanno qualche gioco, fosse anche il più stupido del mondo, che può essere un valido espediente per perdere tre o quattro minuti quando, ad esempio, sei in coda per qualcosa.
Nessun gioco ha niente a che vedere con il buon vecchio snake, ma tant'è.
Dopo un minuto e mezzo chiudo il cellulare e lo rimetto in tasca. Quel giochino di merda è così noioso che invece di giocarci per passare il tempo preferisco passare il tempo per non giocarci.
Sento la porta automatica aprirsi e mi giro quasi istintivamente.
Ad entrare è un omettino sul metro e settanta, spalle curve, una bella piattaforma per elicotteri sulla nuca e gli occhialini nel taschino. Si guarda intorno, furtivo. Prende il numerino per quello che deve fare e va a sedersi. Ha una borsa con se che tiene ben stretta sotto il braccio. Quando si siede la porta sulle gambe stringendola sul petto e guardandosi intorno come se dovesse aspettarsi di essere derubato.
Sembra che dica:
“hey ragazzi! Ho una valigia piena di soldi, ma mi raccomando: non ditelo a nessuno”
Patetico. Probabilmente avrà da depositare qualche migliaio di euro sul conto. Quelli spiccioli che uno si tiene sotto il letto perché ha paura che in banca glieli rubino e che poi sceglie di portarceli perché ha paura che a casa glieli rubino.
Ma questo non ha senso, direte voi. E senza sapere la parte più bella!
Eh si, perché il tipo se ne va in giro con la borsa piena di soldi, rischiando di farsi ammazzare e/o derubare semplicemente perché non ha voglia di fare più viaggi con quantità minori di denaro.
E tutto questo perché?
Perché ha paura che, nel frattempo, glieli rubino!
Ah aha ha che stronzo.
Mentre penso a queste cose inizio a ridere da solo. La tipa che ho accanto si gira verso di me. Alzo la testa continuando a sorridere verso di lei e poi smetto improvvisamente di ridere, tornando serio.
Rimane perplessa per una frazione di secondo e poi si volta dalla parte opposta, quasi spaventata.
Ritorno a pensare all'omuncolo e mi torna in mente una frase del santone cinese, il “cosolama” che una volta ha detto qualcosa del tipo che le persone sono strane perché inseguono i soldi tutta la vita e sono gli stessi soldi che poi gli serviranno per curarsi..
no, aspetta, non era così. Non me lo ricordo, accidenti a quel
BEEP
Un altro numero. Un altra persona che se ne va, felice di essere finalmente fuori da un incubo. L'incubo della realtà.
Woa.
Forse è il caso che la smetta di pensare. O almeno di fare versi con la faccia in relazione a quello che penso, altrimenti va a finire che mi ricoverano.
Intanto, nella sala, continua ad entrare gente. Smetto di pensare quando mi passa davanti una donna con un profumo dolciastro, che potrebbe anche essere considerato molto buono, se non fosse che la scia lasciata dal suo collo imbevuto di quella roba si appiccica alla pelle delle persone vicine.
È mai possibile, dico io, che nel 2010 ci siano ancora persone che non sanno darsi il profumo?
Si prende la boccetta, si danno due spruzzate e si mette via, porca troia.
Prendere il profumo, togliere il tappo e rovesciarsi il contenuto addosso non è corretto.
Poi magari sarà anche colpa mia che odio il profumo dato in maniera eccessiva.
Che vi devo dire? Avrò il naso delicato.
Ma con chi sto parlando...?
Mi appoggio sulle gambe e porto la mano alla bocca, cercando di attenuare l'inalazione di quella specie di zucchero filante aereo.
Tossisco.
A volte penso veramente di essere morto e di essere all'inferno.
Voglio dire, io me lo immagino proprio così. Pieno di gente che non sa nemmeno perché è lì, a fissare il vuoto della propria esistenza mentre aspetta il proprio turno per essere torturata.
Uno ad uno, aspettando il fatidico beep di merda. Aspettando seduto su scomode sedie messe a casaccio ed una a ridosso dell'altra, in una stanza eccessivamente illuminata e calda. Si, calda perché, per un motivo che non ho mai capito, qua dentro va solo il riscaldamento. Mai che vada l'aria condizionata. Così, oltre all'odore pungente di profumi, di dopobarba del cazzo, di pannolini pieni di merda e di puzza di piedi a causa di quelli che se ne vanno in giro con sandali o simili, ti tocca anche sopportare il maledetto aroma di pelle cotta al vapore sudoriccio e l'unica cosa che puoi fare, oltre a startene in piedi per evitare che la spalla sudata di qualcuno ti si appiccichi addosso, è desiderare che parta l'antincendio.
BEEP
beep
beep
beep
beep
beep
beep
beep
beep
beep
beep
beep
beep
beep
beep
Sto impazzendo a forza di sentire questo suono. E mai che si muova la fila di numeri che è toccata a te. Di tutte le strisce riportate in quel cazzo di tabellone stai pure sicuro che beccherai quella che non si muove. Che poi è quella che scelgono tutti, porca zozza. Ci credo che non finisce mai. La capacità di far perdere la pazienza alle persone in coda è inversamente proporzionale alla efficenza degli sportelli. Non so bene cosa ho pensato ma credo sia come dire che mi sono sfracellato i coglioni.
E SMETTILA DI PARLARE DA SOLO CAZZO!
Dopo quest'ultimo pensiero decido che è il momento per una sigaretta. Tiro fuori dalla borsina il tabacco, cartina e filtro e ne preparo una. Mi distraggo per qualche minuto sfilacciando lentamente il tabacco e posandolo sapientemente dentro la cartina fino a pressarlo con le dita, energicamente, in modo che non rimangano spazi vuoti e sia uniforme.
Mentre premo energicamente con la lingua lungo il filo di colla per chiuderla butto un occhio sul tabellone e non riesco nemmeno ad immaginare la quantità di parolacce che potrei inventare in questo momento.
Mi avvio verso l'uscita con il passo sicuro di un condannato a morte. Appena uscito mi accendo la sigaretta e cerco un posticino ben riparato, da dove possa controllare anche quel maledetto tabellone.
Aspiro la sigaretta a pieni polmoni, concentrandomi sulla sensazione di calore che sento in gola, nel petto ed il leggero ruvido passare del fumo lungo i condotti d'areazione corporei. Gioco con lo schifo che fuoriesce dalla mia bocca creando una scia fumosa, densa e scolorita proprio come fuoriuscisse dalla ciminiera di una vecchia fabbrica facendomi tornare in mente, tra le altre cose, una vecchia canzone che parla di un vampiro e una centrale, intitolata proprio "il vampiro e la centrale". Canzone impossibile da trovare in giro, visto che non è mai stata pubblicata ma solo incisa.
Mentre “sorseggio” la mia sigaretta do un'altra occhiata alle persone dentro.
Non c'è niente di meglio che fissare gli altri senza farsi notare, quando hai da perdere tempo. Ti vengono in mente un sacco di cose e, se sei abbastanza bravo, puoi estraniarti per qualche secondo dalla realtà.
Un modo come un altro per dire che smetti di pensare al motivo per cui sei incazzato.
Il tipo in giacca e cravatta, per esempio. Sono sicuro che è un serial killer.
Perché andare in giro vestiti così altrimenti?
Che senso ha, se non quello di essere e/o apparire perfetto, pulito, scevro da ogni “peccato” rappresentato, si può dire, dallo sporco.
Come Pilato, che si lavava le mani per mondare il proprio senso di colpa che lo opprimeva così ora questo assassino si sente meglio solo se è perfetto, pulito, in ordine. Un desiderio di essere a posto, di avere tutto sotto controllo. Tipico dei killer, insomma. Quelli seri, ovvio.
Poi ci stà anche che sia solo un fottuto banchiere o un assicuratore o un imbroglione in generale, niente da dire.
Però ecco, parlando con il mio cervello credo che verrebbe fuori una cosa come questa:
plic..
plic..
capitolo 3
l'uomo con la cravatta
plic..
plic..
plic..
plic..
Le gocce cadono una ad una dalla punta del coltello e arrivano a terra, producendo un suono ritmico, quasi assordante nel silenzio della stanza.
La lama, ebbra di sangue, se ne sta immobile nella mia mano salda, puntata verso il basso. Il tavolo di legno è coperto da una sottile patina rossastra e appiccicosa. Solo due dei quattro lati sono riusciti a non sporcarsi. Fortuna che il tavolo è ricoperto da una tovaglia cerata, altrimenti chissà come sarebbe diventato.
Prendo fiato e guardo le mie mani. Sono interamente ricoperte di sangue, come parte del mio viso e il grembiule che ho indosso. Poi osservo il tavolo ed il lavoro finito. Non c'è che dire, un ottimo lavoro. Adesso ci sarà un po da ripulire tutto questo sangue ma non credo sarà più faticoso di ciò che ho appena fatto.
Appoggio il coltello sul tavolo, mi tolgo il camice e mi incammino verso il bagno, a passo lento. Il tipico passo di chi si è stancato parecchio a fare il suo lavoro.
Guardo il sangue scivolare via dalle mie mani, dai miei bracci, sotto l'incessante scrosciare dell'acqua. Cade sui miei arti superiori come una benedizione, cancellando via le colpe di cui sono macchiate, rappresentate dal sangue.
C'è molto sangue.
Lo vedo mentre mulinella verso lo scarico. Una perfetta sincronia di rosso e bianco.
Poi il sapone prende il sopravvento ed è solo bianco e bollicine.
Finisco di lavarmi le mani e poi mi chino verso il lavandino per lavarmi anche la faccia. un'energica sciacquata e poi appoggio le mani sul largo pianale di marmo. Alzo lo sguardo verso lo specchio e mi soffermo qualche secondo ad osservare i miei occhi chiari, quasi assenti in quello che invece si preannuncia come un fine giornata impegnativo.
Il problema sarà riuscire a sbarazzarmi di tutta questa carne. Speriamo che gli ospiti abbiano fame o sarò costretto a congelare quello che avanza. E mentre finisco di preparare ecco che entra mia moglie con uno straccio.
"Tieni, divertiti anche a pulire adesso.."
E sorride.
Ricambio il sorriso e mi affretto a pulire. Devo anche farmi una doccia o alla piccola, quando tornerà da scuola, verrà un colpo vedendomi così.
Ho appena finito di pensare ad una storia ed ecco che un nuovo soggetto mi si para avanti, pronto per essere scritturato dal mio subconscio.
È allo stesso tempo incredibile e obbrobrioso, stupendo e antiestetico, yng e yang, bianco e nero, poetico e cinico, sogno e realtà, qualcos'altro e niente. E poi basta perché ho finito i sinonimi.
Il protagonista è un ragazzo, credo, di media statura, magro ma non troppo, con i capelli semi lunghi, portati sulla faccia alla tipica moda che va tanto adesso fra i ragazzini frustrati. Il classico tipo che si ubriaca con un aperitivo insomma.
Ma questo non è importante.
Quello che mi colpisce di lui è l'abbigliamento che è, come dire, confuso, variopinto, un misto fra quelli che chiamano truzzi e quelli che chiamano emo. Ha la maglia larga, viola, le bretelline bianche con stelle giallo canarino disegnate sopra, le scarpe con la pianta larga, di quelle che usano i ragazzi per andare su quella cazzo di tavola con le ruote e i pantaloni verdi brillante, attillati.
Wow! Ragazzi se sono attillati!
Visto da dietro sembra una ragazza in perizoma.
Un laccio della scarpa è sciolto e va a sdraiarsi a fianco della scarpa, bagnandosi e sporcandosi ad ogni passo sempre di più, mentre il suo padrone cammina, incurante di tutto questo, sotto la pioggia.
Ecco, ci manca solo che faccia un filmino anche su un laccio di scarpa.
Ripartiamo da lui, che è meglio.
Lo vedo avvicinarsi a passo sicuro, al riparo dalla pioggia sotto il suo ombrellino nero a pois bianchi, con gli immancabili occhiali scuri indosso.
Occhiali scuri?!
Ci credo che cammina piano. Non è atteggiarsi, semplicemente non ci vede una mazza. Poi occhiali. Sarebbe più corretto definirli casco integrale o visiera.
Si, ecco!
Potrei fare una nuova marca di occhiali:
“inteVriera”
“gli occhiali che coprono anche i brufoli”
e poi un bel yeah gigante sulla scatola!
Ok, forse è il caso che la finisca e mi concentri.
Il personaggio, intanto, è entrato dentro e ha suscitato non poca ilarità nei presenti.
Stupidi figli di puttana che non hanno mai visto niente.
Ma gli altri ridono di voi quando vi vedono arrivare?
Ma che diavolo di mancanza di rispetto è?
Perché ci date questo esempio?
Se uno si veste in maniera diversa, per quanto ridicola sia, è obbligo prenderlo per il culo?
Non potreste fare come fa la maggior parte della gente e pensare “ ma come cazzo è vestito questo?” e lasciar correre?
Molti di voi non se lo ricordano, ma quando erano giovani se ne andavano in giro con dei fottuti fiori in testa e cantavano delle canzoni così pallose che in confronto lo zecchino d'oro sembra un concerto metal. E oltretutto molti non si lavavano. Questa moda di ora è ridicola, niente da dire, ma almeno sono puliti.
Asettici oserei dire.
Si, ok, fanno schifo uguale ma chi se ne importa.
Butto uno sguardo dentro per controllare il tabellone, inutilmente, visto che è sempre fermo al numero di prima.
Quanto odio questo posto. In compenso, però, nel distogliere lo sguardo dal tabellone mi capita di soffermarmi ad osservare un tizio seduto nella fila che guarda la strada. Questo mi permette di vedere chiaramente la sua faccia tesa, seria, con gli occhi spiritati occupati a guardare fuori, a fissare il vuoto della realtà che gli si prospetta davanti, immaginando chissà cosa e trovandosi chissà dove con il pensiero. C'è qualcosa di bello in tutto questo.
L'alienazione della propria mente, lasciare il corpo con l'immaginazione per ritrovarsi chissà dove, trasferirsi altrove semplicemente fissando qualcosa e non accorgersi che stiamo assumendo una faccia da pazzo fulminato, spaventando o facendo ridere chi ci sta intorno proprio per le caratteristiche che assumiamo e per i versi che, talvolta, facciamo.
Qualcuno potrebbe dire “povero pazzo” ma io dico “splendido pazzo”.
Capitolo 4
splendida pazzia
Parlando con un pazzo si capiscono molte cose.
La prima cosa che si capisce è che, guardando bene, i discorsi non sono poi tanto sballati e/o, comunque, c'è chi dice di peggio.
Una volta ho parlato con un pazzo e mi ha detto: "non vedo l'ora che il mondo finisca.." io, un po' per curiosità, un po' perché non avevo niente da fare, gli ho risposto domandando il perché di tale affermazione.
Lui mi ha risposto che non vede l'ora della fine del mondo perché almeno potrà smettere di lavorare e fare quello che vuole, preoccupandosi solamente di arrivare in fondo alla giornata ed ingegnandosi per aver salva la vita sua e delle persene a lui care. Entrati oramai nel discorso, gli ho replicato che basterebbe smettere di lavorare e andare a vivere in un isola deserta. Mi ha risposto che sono proprio fuori di testa.
Ha continuato a parlare, spiegando che la sua idea è quasi un utopia. Nel suo immaginario abbiamo un mondo alla "28 giorni dopo", in cui le persone non sono più quello che erano e c'è bisogno di darsi da fare per mantenersi vivi. Mi racconta quello che "ha visto". Si sveglia un giorno in cui si accorge che qualcosa sta cambiando, le persone non sono più quelle di un tempo e, fiutando il pericolo, decide di organizzare un rifugio per le persone a lui care. Inizia così a chiamare i sui familiari, i suoi amici, tutti quelli che conosce e dice loro di passare parola. Si ingegna per trovare un posto adatto alla sua idea di "salvatore della patria" che possa contenere più persone possibili e che abbia la possibilità di essere facilmente difendibile.
Mentre racconta lo osservo interessato. E' sorprende la sua capacità di astrazione dalla realtà. Inoltre adoro le storie di fantascienza.
Mi parla di un posto vicino: il centro commerciale.
Mi spiega come può diventare un ottimo rifugio, trovandosi nel mezzo ad una vasta area libera su 4 lati, enorme, pieno di viveri, recintato, solido e mi spiega che il suo piano prevede di bloccare tutte le uscite prima di entrarci. Poi si riprende, accorgendosi di aver corso un po' troppo e riparte dall'inizio.
Una volta chiamato tutti,dato disposizioni di non uscire per nessuno motivo e di chiudersi in casa, la sua idea prevede di impossessarsi di un mezzo atto a trasportare più persone contemporaneamente. "un pullman!"
dico, mentre tiro fuori un paio di sigarette e gliene offro una. "esatto!" replica lui, poi si accende la sigaretta e tira un paio di boccate prima di continuare.
Credo sia felice del mio interessamento.
O forse sta pensando che sono più pazzo di lui perché lo sto ascoltando.
Credo che non lo sapremo mai.
Dopo aver preso il pullman e aver capito come funziona la sua idea prevede il passare a prendere delle armi nelle armerie della zona. Dapprima partendo da casa con una buona dose di bastoni, coltelli e cose del genere, giusto in caso di pericolo immediato, e poi pistole, fucili e tutto quello che si può trovare in armeria.
Ovvio che dovrebbe essere chiusa e la vetrina andrebbe sfondata con la prima macchina trovata in giro. "naturalmente non sarei da solo", dice, "non sono un pazzo, chiamerei qualcuno di cui mi posso fidare e andrei insieme a lui così che in due ci guarderemmo le spalle" poi, una volta fatto "spesa", tornerebbe verso le persone che è riuscito ad avvertire prima del disastro, passandole a prendere una ad una, spiegando la situazione e distribuendo le armi secondo le capacità di ognuno. Una volta arrivati alla "base" la preoccupazione principale sarebbe quella di controllarla, nel caso qualcuna di quelle bestie si fosse introdotta dentro e ne avesse fatto una tana. Così, gli toccherebbe entrare insieme agli altri a controllare. Poca cosa, visto che lui è il leader. Una vota constatato che la via è libera farebbe scendere tutti e, come prima cosa, farebbe murare tutte le entrate principali.
Niente deve entrare se non è tirato su dal tetto.
Quindi si avvierebbe a controllare le uscite sul retro ed in un secondo tempo le bloccherebbe con muletti (dentro) e tir (fuori, parcheggiandoli davanti la porta). Poi cercherebbe le scale per salire sul tetto.
Una volta lì sopra disporrebbe delle persone a controllare tutto intorno e imporrebbe loro di sparare a qualsiasi cosa si muova. "è così che inizia la mia nuova vita.. niente regole, se non quelle dettate dalla morale. niente limitazioni, niente problemi, se non quello di rimanere in vita, niente tv, niente calcio, niente discoteca, niente politica, niente estetista, niente di niente.."
Chiude così il suo racconto, ma io non mi ritengo soddisfatto. Sarà anche pazzo ma mi deve spiegare alcune cose. Così gli chiedo: "ma come farebbero tutte quelle persone a stare li dentro? come farebbero a lavarsi, a cucinare, a dormire? a coesistere? chi deciderebbe cosa e quanto mangiare?"
Mi guarda incuriosito. Poi fa una pausa, si guarda intorno e riprende a spiegare.
Mi dice che farebbe dei lavori dentro il supermercato. L'idea è quella di spostare tutto, togliere ogni cosa dagli scaffali, smontarli o spostarli e creare la zona notte, facendo dei mini appartamenti e creando una zona "cucine" dove mettere dei fornelli a gas. Poi farebbe costruire dei forni a legna sul tetto e risolverebbe così il problema del dormire e del mangiare. Poi, per ovviare ad altri problemi, creerebbe delle regole. Chi non lavora non mangia. Gli chiedo come farebbe a decidere chi è che lavora e chi no. Mi spiega che "pagherebbe" con moneta chi lavora: una giornata di lavoro= due monete che equivarrebbero a due pasti.
Perché creerebbe un organizzazione del tipo che chi lavora riceve in cambio due monete a fine giornata e ogni moneta equivarrebbe ad un pasto. Da considerare che alle cucine metterebbe un balcone separatorio per evitare confusione.
Gli chiedo cosa succederebbe se qualcuno si lamentasse. Mi risponde che proverebbe a spiegare che: o così o caos e, di conseguenza, morte.
Gli chiedo cosa succederebbe se qualcuno facesse del male a qualcun altro, se succedessero, insomma, dei disordini lì dentro.
Si ferma a pensare e guarda dritto davanti a se. Poi mi dice che lo ucciderebbe con le sue mani. Continuando a spiegare che nessuno dovrebbe permettersi di fare del male a qualcun altro lì dentro. In quanto autoproclamatosi capo indiscusso è suo dovere preservare l'integrità delle persone che ha preso sotto la sua custodia. Non vuole dettare legge, solo avere il controllo della sicurezza ed organizzare al meglio ogni cosa. Se qualcuno volesse prendere il suo posto, dice, basterebbe dirglielo. Sa che nessuno avrebbe la lucidità tale per far fronte a tutti i problemi che verrebbero fuori.
"Perché?" gli chiedo.
Mi risponde che ci pensa da sempre. Ogni notte, ogni giorno, ogni volta che entra in quel supermercato si guarda intorno e immagina come sistemare determinate cose. Immagina le persone indaffarate a mettere in ordine, immagina i muri di mattoni alle entrare, immagina la gente sul tetto , fucili alla mano.
Continua a parlare spiegando come ovvierebbe al problema del bagno. Andrebbe con i suoi "guerrieri" a ripulire dalle bestie immonde la piscina comunale e porterebbe tutte le persone a fare il bagno lì, dopo averla resa sicura. Tutti potrebbero crearsi il lavoro che vogliono, secondo le proprie capacità, chi lo desidera potrebbe entrare a far parte della schiera di persone che imbracciano un arma e che, ogni giorno, vanno alla ricerca di altre persone da salvare o di viveri in generale. Va bene qualsiasi cosa, spiega, basta che nessuno stia con le mani in mano, se non per riposarsi dopo una giornata di lavoro. Anche perché sennò morirebbe di fame, visto che non riceverebbe monete da scambiare con un pranzo o con una cena.
"Mah.."replico. "Cosa?", mi chiede, voltandosi. Rispondo niente e chiedo come mai pensa a tutto questo. Mi dice che quello che tiene in vita una persona sono i suoi sogni. "C'è chi desidera arrivare in cima alla piramide, chi desidera una bella casa, chi un bel lavoro e si da da fare per tutto questo.
Io sogno la fine del mondo e mi ingegno per questo, mantenendo in vita il mio cervello e me stesso, aspettando il momento in cui tutto finirà."
"E se non finirà mai?", domando. "Allora avrò vissuto senza realizzare il mio sogno. Ma morirò comunque dopo di te", risponde.
Domando perché ma non ricevo risposta. Sono arrivati gli infermieri.
Devo andarmene.
Saluto il mio amico, mentre esce dal cancello e si avvia verso casa. E' una brava persona, anche se fa discorsi così strani a volte che non lo si capisce quasi. Adesso prendo le medicine e me ne vado a letto, a sognare con la speranza che quello che mi ha raccontato il mio amico non mi faccia venire gli incubi.
Mi ha impressionato.
Fuori è davvero pieno di matti.
Credo proprio che dovrei appuntarmi queste storie. Non si sa mai, potrei sempre ricavarne qualcosa, magari un buon libro.
Si, diamine. Come se a qualcuno potesse interessare una serie di storie da mezza pagina senza un collegamento.
Ma porca paletta, ma quando sta a me?!
Non ne posso più!
E mentre penso a questo mi stacco dalla colonna a cui ero appoggiato, sospirando.
Faccio due passi avanti e indietro, tenendo sott'occhio il tabellone dei numeri in caso arrivi il mio turno. Sarebbe molto disdicevole se, per non essere arrivato in tempo, passassero avanti costringendomi a dar fuoco a questo posto.
Certo è che potrei anche aspettare dentro, ma chi cavolo ha voglia di stare rinchiuso in una stanza piena di gente quando fuori c'è un così bel sole?
Soprattutto quando fuori non ci sono bambini che urlano, persone che tossiscono in maniera nauseabonda evidenziando un marciume polmonare degno di ricovero ospedaliero e puzza. Si, puzza. O, se preferite, odori, profumi e deodoranti che si mischiano insieme creando un irrimediabile, orribile, indicibile: puzza!
Inoltre c'è anche da considerare il fattore “amici improvvisati”, cioè quando chi hai vicino fa di tutto per attaccare bottone anziché fare come me che parlo da solo e mi faccio i miei viaggi allucinati mentre fisso una mattonella, talvolta anche cercando di dialogare con chi vorrebbe semplicemente starsene per conto suo. I peggiori sono quelli che vorrebbero addirittura parlare di politica. Ma cazzo, mi conosci da trenta secondi netti e già pensi di poter parlare di un argomento così delicato come la politica con me, che non sai nemmeno di che colore ho gli occhi perché li tengo chiusi facendo finta di dormire per vedere se rinunci nel tuo intento di interagire, senza dover per forza dirti in faccia di non rompermi le scatole e invece NIENTE, te sei lì, che mi guardi, che gesticoli, che mi parli, nonostante i miei mugugni nel risponderti, il mio sguardo vacuo che cerca una via di uscita, una scusa per allontanarsi o per cambiare discorso.
Ed ecco che quando tutto sembra impossibile da evitare ti ritrovi ad ovviare al problema nel modo più consono: immaginandoti un carosello che gira e gira e gira e gira in continuazione, con una litania di sottofondo sempre uguale.
Puoi anche provare a partecipare attivamente alla discussione fra lui e te (non fra te e lui, ricorda!) ma tanto finirà che litigate se avete idee o opinioni diverse oppure che parlerà fino a farti sanguinare le orecchie.
Lo ammetto, il carosello è un rimedio da persone chiuse in se stesse, talvolta egoiste o, quantomeno, poco educate nei confronti degli altri che vorrebbero solo scambiare due parole con voi, ma è dannatamente efficace. E poi, scusate, ho chiesto io di rivolgermi la parola?
È colpa mia se in quel momento mi girano talmente le palle da aver voglia solo di andarmene a casa a giocare alla play, anziché dover stare lì a perdere tempo e poi dover tornare a lavoro?
Non dovrebbe essere così la vita, cazzo. Gli unici momenti che hai per pensare solo a divertirti sono quando sei piccolo o quando sei vecchio ma, nel primo caso, non hai la possibilità per divertirti perché sei ovviamente senza soldi e perché tutto ti è precluso a causa della piccola età mentre, nel secondo caso, sei talvolta anche qui senza soldi e poi tutto ti è precluso a causa dell'età.
No, aspetta..
Cavolo, vista così è proprio una vita schifosa. O mamma, quanto me la meno. Deh, la vita è una palla, ma d'altronde ormai ci siamo, godiamocela.
Ma con chi parlo?
Capitolo 5
l'albero
Camminava da solo, nella strada davanti casa illuminata dai lampioni.
Da lontano l'eco dell'abbaiare di un cane, delle tv accese dei vicini.
Era uscito solo per fumare una sigaretta e a pensare. A pensare alla sua vita, a quello che lo circondava ogni giorno.
Riflettendo, passo dopo passo, avanti e indietro, si era ritrovato a fissare il vecchio albero che da sempre faceva parte di quel piccolo quartiere.
Si era appena messo a pensare, osservandolo, che da quando se ne ricordava quell'albero era sempre stato lì, immutabile nel tempo, non ancora stanco della sua vita.
Lo osservò giusto il tempo di considerarlo, oramai, come un vicino di casa, benevolo, poco interessato ai fatti che si verificano ogni giorno intorno a lui e, senza quasi rendersene conto, gli uscirono dalla bocca queste parole:
"Ancora qui, eh vecchio mio?!"
E fin qui niente di strano.
Capita che una persona, almeno una volta nella sua vita, parli con un vivente impossibilitato a rispondergli.
Se non che, ebbe questa risposta:
"eh si, d'altronde, dove vuoi che vada?
L'uomo alzò lo sguardo verso l'albero, con aria assente e un po' sorpresa, aspirò una boccata dalla sigaretta ed esclamò semplicemente:
"eh.."
L'albero, se mi scusate il gioco di parole, non fece una piega e domandò all'uomo come mai non fosse poi così sorpreso di interloquire con un albero e, come risposta, ottenne queste semplici parole:
"perché probabilmente ho fuso il mio cervello e, se anche non fosse, io sono un Italiano. Con tutto quello che accade nel mio paese ogni giorno, e che sento dire, un albero che risponde alle mie domande non mi spaventa più di tanto.
E l'albero non parlò più all'uomo, che si diresse verso casa dopo aver gettato via il mozzicone della sua sigaretta, ormai finita.
Dopo quest'ultimo viaggio nei meandri della mia mente bacata decido che è il caso di smettere di fissare insistentemente questo povero pioppo, o quello che è, e di tornare dentro a godermi il crogiolo di rumori, odori e sensazioni che affollano la stanza. Non sia mai che riesca a perdermi qualcosa di interessante come, chessò, il tabellone che si fulmina o che spara numeri a caso, un ladro che entra per rubare la pensione agli anziani o cose così.
Forte.
Un ladro che entra e inizia a sbraitare con un trincetto in mano o, al limite, con una pistola giocattolo. Già mi immagino la scena.
Lui che entra urlando a squarciagola, due vecchiette che svengono, una donna che urla.. no, è un uomo. Le cassiere che rimangono pietrificate tranne una che inizia a correre su e giù gridando “accorruomo!
all'aggressione”, i bambini che smettono di frignare e si ciucciano i diti osservando la scena, io che inizio a piangere e mi prostro innanzi ai piedi del ladro implorandolo di lasciarmi andare e poi
BAM!
Un pugno nelle palle, mentre con la mano destra gli tengo bloccato il braccio armato, poi mi alzo di scatto per prenderlo a pugni nella gola, in faccia, nella schiena. Ovunque mi capiti. Per poi ritrovarlo a terra, con la faccia fra le mani a cercare di coprirsi mentre lo prendo a calci.
Cazzo di eroe.
E poi immagino che a quel punto tutti i presenti troverebbero il coraggio di avvicinarsi e fare gli eroi anche loro, magari pestandolo.
Quello sarebbe l'inizio della fine. Inizierei a scalciare e a tirare pugni per non fare avvicinare nessuno urlando “Che cazzo volete voialtri? Tornate nei vostri angoli a tremare come pulcini infreddoliti e fatevi i cazzi vostri come avete fatto fino ad ora, vigliacchi bastardi!
Facile picchiare uno a terra!”.
E poi boh. Non se lo consegnerei alla polizia. Il problema è che poi in galera ci finirei io per averlo pestato. Inoltre ci sono le telecamere e non avrei scusanti, nemmeno e soprattutto se lo lasciassi andare.
Capace diventerei famoso.
Te lo immagini i giornalisti arrivare a corsa per riempirmi di domande idiote, avanzando ipotesi stupide su come può essere andata dando anche peso al racconto di una farda che abita qua davanti, che era a fare la doccia ma è uscita di corsa appena ha visto le telecamere per dire la sua e godersi la gloria effimera di due minuti di carriera televisiva.
Famoso!
Riesci ad immaginare che rottura di palle?
Per una cazzata del genere, poi.
Mah..
Con quest'ultimo pensiero torno a vagare nel mio cervello immaginandomi vestito come un esploratore, con tanto di cappello color sabbia, torcia e l'immancabile frusta.
Mi trovo all'interno di un vecchio castello.. no! Niente castello, sono all'interno di una piramide o qualcosa del genere. Sto attraversando un lungo corridoio buio, illuminato a tratti dalla luce della mia torcia. L'odore di stantìo, di chiuso, è asfissiante. Le pareti sono lisce, con delle lineari intercapedini che corrono lungo tutto il tragitto, sia verticalmente che orizzontalmente, evidenziando i mattoni con cui sono costruite.
Devo fare attenzione a dove metto i piedi o rischio di far scattare qualche trappola. Si, perché ricordo a tutti che anche se una trappola è vecchia di 2000 anni funziona sempre. Non si costruiscono più le cose come una volta.
Punto la torcia contro la parete, in fondo al corridoio, e osservo attentamente. C'è qualcosa che luccica. Mi avvicino per osservarlo meglio ed eventualmente impossessarmene ma non appena lo tocco faccio scattare un meccanismo di difesa.
"È una trappola!" grido a me stesso.
Prendo l'oggetto ed inizio a correre a grandi falcate, tornando da dove sono venuto mentre dietro di me sta scatenandosi il finimondo. Mentre corro non posso fare a meno di notare gli enormi mattoni staccarsi dalle pareti e cadere rovinosamente a terra. Non oso girarmi per vedere cosa sta succedendo e non ho intenzione di perdere tempo ad immaginarmelo. Preferisco risparmiare energie da convogliare alle mie gambe per correre più veloce. Più veloce!
Ecco l'uscita! Vedo la luce chiara del giorno che cerca di entrare prepotentemente dentro il tunnel.
Più veloce!
"Più VELOCEEEEEE!"
Grido, lanciandomi con un ultimo sforzo verso l'uscita, atterrando sull'erba davanti all'ingresso. Subito mi copro la testa con i bracci, chiudendomi su me stesso, mentre mi arrivando addosso polvere, piccoli ciottoli ed una noce di cocco. Mi rialzo quando tutto sembra essere finito, dandomi delle pacche sui vestiti per togliermi la polvere di dosso.
Tolgo dalla tasca il piccolo oggetto trovato dentro il santuario. In cuor mio spero si tratti di qualcosa di veramente importante o avrò rischiato la vita inutilmente.
Lo osservo per qualche secondo, sembra una specie di contenitore di ferro. Lo apro, ruotando il tappo, e tiro fuori un plico di fogli scritti.
"Ma che...?"
Mi siedo sull'erba, con le gambe incrociate, è leggo qualche riga. È una storia ambientata nei giorni nostri, con protagonista un ragazzo che fa un lungo monologo sulla situazione del suo paese.
Rimango perplesso per qualche secondo, poi mi rendo conto che l'unica cosa rimasta da fare è leggerla. Dedico quindi di sistemare le poche cose che mi sono trascinato dietro, accendo un fuoco con l'intento di cucinarmi qualcosa e mi metto comodo, a leggere questa storia.
Si intitola "famous".
Capitolo 6
famous
Quella che sto per raccontarvi è la mia storia. Non vi dirò perché ma vi basti sapere che sono diventato famoso e come succede tutte le volte il gioco del successo mi ha colpito incessantemente fin dal primo giorno in cui la mia schifosa faccia è finita su un giornale.
Quello che mi ha portato ad essere quello che sono è difficile da spiegare. Tagliando corto possiamo dire che sono arrivato ad una conclusione, condivisa tra l'altro da molti, e cioè che la maleducazione è direttamente proporzionale alla quantità di soldi contenuti nel portafoglio.
Questo non è certo il movente che mi ha spinto a comportarmi così, ma diciamo che è il concetto principale.
Non ho mai potuto sopportare la maleducazione ed è soprattutto a questi livelli che riesce ad essere più marcata, quando invece dovrebbe essere il contrario.
Una volta chi era famoso era una persona degna di essere considerata tale. Era un Signore, appunto.
Adesso chiunque può diventare famoso servendosi, più che della bravura nel saper fare qualcosa di utile, del culo.
Tanto per capirsi una volta si diceva che per diventare famosi servivano anni ed anni di gavetta, di esperienze, di saper parlare, cantare, recitare, sorridere e soprattutto leggere, tanto è che si usava la famosa frase popolare “devo farmi il culo”. Frase che ancora oggi è in auge ma non per benemeriti speciali da attribuire alla schiera di falsi dei che compaiono in ogni dove, no. Semplicemente questa frase è ancora largamente usata per indicare che, adesso, chi è famoso si è letteralmente fatto il culo. O, per essere ancora più chiari, se lo è fatto fare.
Oramai uomo o donna non ha importanza. L'importante è che tu ti conceda.
E non devi nemmeno preoccuparti di passare male, visto che siamo nel 3° millennio e siamo più aperti, più intelligenti, meno analfabeti, insomma: siamo ITAGLIANI!
E poi, via, ultimamente la chiesa ha pubblicamente chiesto scusa a Galileo Galilei riconoscendo che le sue teorie secondo cui la terra gira intorno al sole, e non viceversa, non erano poi così sbagliate. Segno, questo, che la mentalità è completamente cambiata, rispetto al medioevo.
Basta con queste persone vecchie, serie e che sanno lavorare. È molto meglio vedere in televisione un bel paio di puppe rifatte che strabordano da un vestitino stretto o qualche culo perizomato di ragazze che si piegano a 90° di continuo e si contorcono simulando rapporti sessuali a mezz'aria.
Basta con opinioni di persone che hanno degli ideali, che pensano da sole o che vogliono rendere interessante il programma. Mettici uno che non sa fare un cazzo nulla, una che ride per delle puttanate, gente che fa delle battute stile “perché una gallina attraversa la strada? Per andare dall'altra parte!!” e tutti giù a ridere. Presentatrici goffe che inciampano e non sanno simulare nemmeno la tristezza e che, provandoci, fanno la stessa faccia che ho io quando sono stitico, presentatori presi a casaccio da reality e via dicendo.
Questa è la televisione del terzo millennio.
Così deve essere.
E questo per quanto riguarda la tv in generale. Per quanto concerne i telegiornali via con gente presa a caso e mandata con un microfono in mano a rompere le palle alla gente, a fare domande stile “come si sente?” a una madre a cui hanno bruciato vivo il figlio per combattere la noia.
Potrei continuare per ore ma preferisco fermarmi qui e tornare a parlare di me.
Come vi stavo dicendo non sopporto la maleducazione ed è proprio per questo motivo che mi offro come redentore per tutte quelle persone immeritevoli di fama, soldi e/o potere generico.
Vi starete chiedendo cosa significa, immagino. Ebbene, detta in parole povere, io uccido senza possibilità di ripensamenti tutte quelle persone che con modi illeciti o scorciatoie, come fare pompini al capo, sono arrivate al successo.
Senza pietà, senza dubbi, senza paure, mi prodigo in questa crociata che non ha altro senso se non farmi meritare un posto all'inferno, accanto all'unico essere che ha peccato in ogni cosa ma non certo per ipocrisia.
Preparati Lucifero, sto arrivando.
“STOOOP!
BUONA LA QUARTA, AVANTI CON LA PROSSIMA SCENA”
“forza ragazzi, 5 minuti di pausa. Andate a prepararvi che si continua”.
“tutto bene regista?”
“tutto perfetto, ragazzo mio. Ottima teatralità, mi hai fatto venire i brividi. Ora vai a prepararti che si gira la prossima scena.
Ah, paolo!
Ricordati di chiamare la mamma, voleva sapere devo hai messo le chiavi della macchina”.
Esco dal sogno e torno alla realtà, con l'unico pensiero che una cosa del genere difficilmente potrebbero mai passarmela.
Di sicuro verrebbe considerata come politicamente scorretta, che nessuno sa cosa diavolo significhi ma tutti lo dicono, o comunque sarebbe un ottima storia per raccogliere cesti di denunce o di sassate in generale.
Che palle.. come direbbe ciro: non si po' dì niente!
Comunque non è un problema. Tanto dubito che qualcuno potrebbe mai prendere anche solo lontanamente in considerazione l'idea di leggere e, soprattutto, pubblicare un coso, un qualcosa del genere. Non riesco nemmeno a definirlo.
Forse, magari, in previsione di qualcosa potrei segnarmi qualche appunto e vedere cosa viene fuori.
Il problema è che non mi ricordo niente di quello che ho pensato fino ad ora.
Non sono nemmeno sicuro da cosa siano scaturite queste storielle.
Forse, se smettessi di pensare come se mi trovassi di fronte a qualcuno, potrei riuscire a smetterla di immaginarmele.
Si.. E poi che faccio? Guardo il tabellone fino allo sfinimento?!
No, no, fammi tornare nel mio mondo almeno perdo qualche minuto con una nuova storiella su.. vediamo, cosa potrei immaginare di diverso?
Ci sono!
Capitolo 7
il rifugio
Lui è qui, lo sento.
È qui intorno e mi sta osservando o, quantomeno, sta cercando di capire dove sono per valutare la sua prossima mossa.
Credo che ce l'abbia con me. sono sicuro che gli piacerebbe sentire il mio respiro per scoprire dove mi trovo e stare più tranquillo, ma ho imparato presto a non fare il benché minimo rumore e aspettare.
Si tratta solo di aspettare.
Alla fine uno dei due cederà e l'altro potrà finalmente fare quello che deve fare.
Da parte mia posso dire di non avere nessuna fretta. Spesso mi trovo in queste situazioni, in cui devo cercare di nascondermi per fare in modo di non essere catturato o, peggio, ucciso.
Non c'è limite alla barbarie umana. Non c'è limite alla sofferenza.
Tutto quello che faccio è starmene per i fatti miei, cibarmi di quello che capita e costruire rifugi improvvisati con quello che trovo in giro, cercando di creare meno problemi possibili.
Ovvio che, per quanto stia attento, qualcosa di sbagliato possa farlo anche io.
Nessuno è perfetto.
Ma che per delle piccole bagatelle rischi di venire ucciso mi sembra eccessivo.
Inoltre, come se già l'umana follia non fosse sufficiente, devo essere accorto onde evitare grane da parte di gatti randagi o altri animali, che sembra ce l'abbiano tutti con me. È dura la vita per uno del mio stampo.
E dire che ho visto alcuni essere trattati da pari o, perlomeno, essere lasciati in pace e, talvolta, ho visto persone dar loro del cibo. In alcuni casi non necessariamente per essere tenuti a distanza quanto, piuttosto, per umana carità e gioia di condividere quel dolce dono che è la vita propria e degli altri esseri viventi.
Eppure, come per contrappasso, esistono invece persone felici di far del male a chi non ha possibilità né interesse a difendersi e a far del male agli altri, se non necessariamente costretti.
Ammetto che per nostra stessa natura siamo costretti ad eliminare molti dei rapporti umani in quanto, diciamo, repellenti a causa del nostro odore e delle nostre fattezze ma credo che questo non giustifichi delle cacce indiscriminate nei nostri confronti.
Si sta avvicinando.
Deve essersi stancato di aspettare.
Credo mi abbia sentito.
Non posso più stare qui.
Lo vedo!
Corro!
Corro più veloce che posso e cerco di guardarmi intorno per trovare un possibile rifugio.
Cerco di infilarmi dappertutto per fuggire.
Mi passa accanto una scarpa.
Deve essersela tolta per cercare di colpirmi.
Sento dietro a me il sordo rumore di un bastone che colpisce a terra e capisco che è molto vicino e che sta cercando di colpirmi.
Per mia fortuna non ha una buona mira.
Corro.
Ho il cuore che sta per esplodere.
Giro l'angolo e trovo una donna che inizia ad urlare. Mi spaventa così tanto che torno indietro e, intanto, lui va a sbattere contro di lei.
Si riprende, ma ormai è troppo tardi.
Sono di nuovo nascosto e gli ci vorrà un po per ritrovarmi.
Devo stare attento a non fare errori, questa volta.
Ed intanto, dal mio rifugio, ascolto la frase che ho sentito più spesso in vita mia:
"Ti ucciderò, maledetto topastro".
Si, oddio, come storia non è proprio il massimo ma può funzionare. Poi chissà, magari a qualcuno piacerà.
Fammi prendere due appunti anche di questa, poi quando arrivo a casa le studio per bene tutte quante. O magari le lascio lì a macerare, insieme a quella che sto scrivendo.
Non ricordo neanche dove sono arrivato. Vediamo..
ah, si! Al punto in cui lui vive insieme ai suoi parenti. Devo decidere come continuarla, magari mettendoci qualche omicidio in mezzo, giusto per ravvivare l'attenzione. Potrei far morire anche il resto della famiglia, così non se ne parla più. Però da chi li faccio uccidere?
Da Matteo o da coso, (come era il nome..) da Luigi?
Boh. Ora vediamo.
Potrei cominciare un altro libro, magari che parla di qualcuno di diverso da un ragazzetto dei nostri tempi con il pallino della vendetta. Vediamo..
Un serial killer che uccide per un oscuro motivo che verrà svelato alla fine?
Naa.. troppo banale.. Anche se, studiato bene, potrebbe dare delle soddisfazioni. Con un titolo azzeccato, magari, tipo “le memorie dell'uomo nero” o qualcosa del genere.
Oppure, ancora meglio, potrei variare con il repertorio e scrivere di qualcos'altro. Per esempio il soggetto principale potrebbe essere un ragazzo alto, muscoloso, bello come il sole e forte come un toro. Si, mi piace. Vediamo, cosa potrei fargli capitare di spiacevole?
Ce l'ho:
una mattina viene arrestato perché è stato ritrovato il corpo di una ragazza con la testa staccata di netto dal corpo. È stato lui? Non è stato lui? Boh, quello si guarda poi. Intanto fammi buttare giù l'idea e qualche riga, giusto per avere un riferimento e poi si costruisce la storia. Anzi, fammi buttare giù anche il finale così so come costruire la storia.
Vediamo.. come potrebbe finire.. magari con lui che
“Scusi..”
Alzo lo sguardo, dimenticandomi completamente quello a cui stavo pensando non appena la vedo.
Una visione celestiale, qualcosa di indescrivibile, un raggio di sole in un anfratto tetro, che rischiara la mia buia indifferenza causatami da questo orripilante ricettacolo di anime. Si, insomma, una bella topa.
“Si?” le rispondo.
“È libero questo posto?”
“Certo, prego si accomodi”
“Ah, grazie!”
“Grazie a lei, per due motivi. Il primo è che si è dimostrata una ragazza ben educata ed il secondo è che ha reso la mia mattinata più interessante”
“Oh, come è galante.”
“Vorrei dimostrarglielo ulteriormente, magari invitandola fuori a cena. Che ne dice?”
“Dico che va bene”
“Mentre aspettiamo il nostro turno, che ne dice per uscire per un caffè?”
“E se perdiamo il posto?” mi risponde.
“Vorrà dire che avrò il piacere di passare altro tempo con lei” le rispondo.
Usciamo da quel crogiolo di anime perdute e già ci sentiamo meglio tutti e due. Come un vero gentlemen le porgo il braccio, a cui lei si accosta volentieri, e facciamo quattro passi nel parco vicino. Mentre siamo insieme perdo la cognizione del tempo e dello spazio, soprattutto grazie alla sua voce melodiosa, che risuona nella mia testa come un motivetto dolce e fa da accompagnamento al suono ritmico dei nostri passi lenti, senza fretta, di chi vorrebbe tutto il tempo del mondo per quel momento particolare.
A metà giornata ci ritroviamo sdraiati sull'erba. Lei ha la testa appoggiata sul mio braccio e il sole ci ricopre amorevolmente.
È quella che potremmo definire la giornata perfetta per starsene accoccolati su un prato.
Mentre stiamo dando vita alle nuvole che ci sovrastano, complice la nostra immaginazione, ci scappa da ridere per una mia battuta. Lei si volta verso di me, sorridendo. È così bella.
Ci avviciniamo entrambi, lentamente e socchiudendo gli occhi, fino a
BEEP!
Alzo lo sguardo verso il tabellone. Non finirà mai questa mattinata.
E per colpa di quel maledetto suono adesso mi tocca anche fare i conti con la realtà, proprio ora che avevo trovato “il viaggio” giusto per rilassarmi e perdere qualche minuto.
La ragazza che mi ha chiesto se il posto vicino a me fosse libero non ha perso tempo a sedersi e ficcarsi le cuffie di quel coso maledetto, una specie di cellulare, arma d'ordinanza di ogni sociopatico menefreghista che non vuol fare i conti con il mondo e che trova più conveniente rifugiarsi nel suono. Ormai fanno di tutto. Telefonano, scattano foto, inviano messaggi, vanno su internet e tante altre cazzate inutili. Voglio dire, di per se il cellulare è una rottura perché permette a tutti di trovarti, anche a chi non vuoi che ti trovi, se poi ci aggiungi che costa più della metà di uno stipendio di un operaio medio direi che di motivi per non comprarlo ce ne sono tanti.
Ma si sa, è la moda. Almeno ora uno può permettersi di comprare un cellulare del genere al proprio figlio e risparmiarsi i soldi del pc.
Mah..
L'altro giorno mi ricordo di mia zia che parlava di un amico dei suoi bambini. Diciamo che ha 12 anni e, diciamo pure, un cazzo di cellulare ultimo modello, di quelli che, per quello che costano, dovrebbero farti anche felice a letto. Ora, voglio dire, ma CHE DIAVOLO SE NE FA UN BAMBINO DI UN CELLULARE DA MILLANTA EURI?
Ok, sono calmo. Sono calmo, mi sto calmando. Calma il respiro, ti stanno osservando, hai le gote rosse e gli occhi spalancati. Rilassati, calmo. Fermo.
Calmo.
Ho detto calmo.
Capitolo 8
paranoia
Una macchina parcheggia a lato della strada. Il guidatore sta preparando una sigaretta, quando un uomo che si trova a camminare sul marciapiede si volta e riconosce nel guidatore un suo vecchio amico. A questo punto si avvicina per salutarlo.
“oh, caro. Come va?”
“oh, Vincé, ciao tutto bene. Te?”
“tutto bene, tutto bene. Dove vai?”
“Da nessuna parte, sono qui in giro con
oh! stai zitto un attimo?!”
Vedendo il suo amico Michele girarsi di scatto ed urlare al sedile posteriore Vincenzo rimane per un secondo spaesato e da fuori cerca di notare se dietro ci sia un passeggero che non è riuscito ad intravedere quando si è avvicinato alla macchina. Ma non vede nessuno.
“Scusa, eh” continuo a parlare Michele “ma proprio non lo sopporto quando mi interrompe mentre saluto un vecchio amico.”
“Certo.. certo non ti preoccupare. Sei sicuro che vada tutto bene?”
“si si, perché?”
“No.. così.. senti ma il lavoro come va?”
E rimangono a parlare per alcuni minuti. Alla fine Michele decide di scendere dalla macchina per fumare una sigaretta, insieme al suo amico Vincenzo.
“te invece, come te la passi?” domanda Michele.
“ma, sai, per ora mi dedico alle solite cose, sto cercando di portare avanti un progetto che”
“Oddio, scusa un attimo. Non lo sopporto più.
Cosa vuoi? Che c'è?
Eh?!
ah, ok..”
“Cosa è successo?” domanda Vincenzo, a questo punto incuriosito dall'evidente problema del suo amico Michele.
“ma no, niente. Mi chiedeva se ho intenzione di rimanere qui per molto e
NO! NO, MALEDIZIONE, NO! Adesso ripartiamo, puoi aspettare cinque fottutissimi minuti?!” Michele ha all'improvviso uno sbotto di rabbia, ed inizia ad urlare contro il finestrino posteriore della sua macchina. Vincenzo, che si ritrova ad assistere a qualcosa che esula dalla sua normalità, rimane spiazzato per qualche secondo. Poi prende la parola, con tono deciso.
“Ora che ha? Che gli è preso?” domanda a Michele.
“Ma che ti devo dire. Se ne sta lì a brontolare come se esistesse solo lui al mondo. Mai che possa concedermi due minuti di riposo. Devo stargli sempre vicino a sentire le sue lamentele.”
“Hai provato a lasciarlo a casa?”
“Certo, però poi mi annoio e, cosa peggiore, non mi sento tranquillo. Preferisco averlo sempre vicino, anche se è un grandissimo rompi..”
Prima che Michele possa concludere la frase si gira di scatto e fa per urlare qualcosa, subito imitato da Vincenzo che si accosta, insieme a Michele, al vetro della macchina ed urlano insieme.
“ZITTO!!!”
Solo allora Vincenzo si accorge di un particolare importante.
Perché gridare ad un finestrino chiuso? Come può una persona, finanche immaginaria, poter sentire da dentro la macchina con i finestrini chiusi, quello che ha da dirgli Michele che si trova all'esterno?
Certo, lui urla, e forse è questo il motivo per cui lo fa. Perché almeno la “persona” dentro può sentirlo. O forse che il finestrino è chiuso perché così può specchiarcisi?
Si, il particolare è proprio questo. Vincenzo se ne rende conto quando i due volti che si avvicinano al finestrino vengono prontamente riflessi, come in uno specchio, dal suddetto e mostrano tutta la loro rabbia inutile verso qualcosa che non esiste.
E all'improvviso Vincenzo si pone tante domande, chiedendosi soprattutto se il suo amico Michele sia semplicemente scemo o un geniale pazzo che gli ha svelato un'importante verità. Una verità a cui si arriva se si conosce quella vecchia storiella per cui se due persone si rivolgono l'una all'altra urlando è solo perché i loro cuori sono distanti. Quindi la domanda è: se una persona urla a se stessa cosa significa?
Che è sorda, che odia se stessa, che lo fa per riavvicinarsi al suo io interiore o per qualcosa di ancora più grande?
La risposta.. la risposta è la verità.
Forse che
BEEP
Alzo gli occhi da terra di scatto, come si mi riprendessi da una trance. Controllo il tabellone. Solo un numero. Un maledetto, unico, inutile numero. Mi alzo per sgranchire un po' le gambe e per prepararmi a correre allo sportello. Non sia mai che salto il turno. Potrei uccidere qualcuno.
capitolo 9
fine(?)
BEEP
Tocca a me. Mi avvicino allo sportello dove c'è quella maledetta odiata da tutti. Proprio lei. Sorrido e dico buongiorno. Mi risponde e mi chiede cosa voglio, senza nemmeno guardarmi in faccia.
“Oh, niente di che” le rispondo.
Dopodiché allungo le mani dietro la schiena, alzo la camicia con la mano sinistra e con la destra estraggo un cannone calibro 44.
La punto in faccia a quella stronza e premo il grilletto senza dire una parola.
Un colpo e la sua testa va in frantumi.
Il corpo si slancia all'indietro e va a schiantarsi a terra. Scavalco il balcone, incurante delle urla e delle persone che si agitano intorno a me. Un tizio si avvicina per fare l'eroe ed io gli sparo senza nemmeno curarmi di mirare o guardare dove esplodo il colpo, dopodiché mi avvicino alla donna e la guardo mentre è a terra.
Le punto la pistola contro.
Uno, due, tre, quattro, cinque colpi. Due al petto e tre nella pancia, senza badare a spese.
Che non si dica che sono tirchio.
Quello che ha provato a fermarmi è a terra, dolorante, ma credo se la caverà.
Faccio fuoco contro la vetrata. È ora di far entrare un po d'aria.
Un volta che il vetro si è disintegrato al suolo mi avvicino all'apertura ed esco.
Sento le sirene dei tutori dell'ordine.
Ci sono persone alle finestre, intorno, che stanno osservando quello che succede. Ma quanto ci mettono ad arrivare?
Per distrarmi sparo alle gomme delle macchine parcheggiate qua davanti.
Ecco che arriva la prima macchina della polizia.
Alzo il braccio e faccio fuoco su di loro. Colpisco il cofano, il radiatore e un fanale. La macchina blocca la sua folle corsa, facendo stridere le gomme e lasciando sull'asfalto due strisce nere. La parte migliore è la macchina che arriva dall'altro lato della strada. Faccio fuoco anche contro di loro e nel cercare di evitare di essere colpito il tipo alla guida sterza bruscamente creando un perfetto concatenarsi di eventi che se avessi voluto organizzarlo non sarebbe riuscito così bene.
La scena è questa:
il tizio arriva a folle velocità, mi vede sparare e sterza bruscamente, facendo finire la macchina contro un cancello, per poi ribaltarsi rovinosamente.
Cose che succedono quando si lancia una macchina in velocità su un marciapiede.
La concatenazione di eventi, però, è questa:
per conoscere la fine del manoscritto è possibile acquistare il libro in un qualsiasi punto Feltrinelli oppure direttamente dal sito "ilmiolibro.it".