piedi nudi.
Capitolo 1
piedi nudi.
Cammina a piedi nudi nella sabbia, un passo dopo l'altro, lentamente.
È una fresca mattina d'estate. Il sole ha iniziato da poco a farsi spazio nelle tenebre, rischiarando ogni cosa.
Il mare è un'immensa distesa di acqua, appena illuminata dai raggi del sole, che si apre davanti alla figura barcollante che resta immobile di fronte ad essa, fermando il suo cammino dove finisce la schiuma. Piedi piccoli, che affondano nella sabbia, fermi, immobili mentre resta lì, ad osservare quel deserto bagnato. Mi incuriosisce a tal punto da spingermi a fare qualche passo verso di lei. Mentre mi avvicino non posso fare a meno di notare il liquido che le cola dalle mani, goccia dopo goccia, e che le ricopre i bracci fino all'altezza dei gomiti, in modo non proprio uniforme. Indossa un vestito bianco da sera, che la copre fino ai ginocchi, ma non uno di quei vestiti tubolari, stretti, che mettono in risalto i fianchi sculettanti di qualche farda in cerca di compagnia, no. Di quelli larghi, che per certi versi ricordano i camicioni da notte estivi, solo molto più sexy e con cui puoi permetterti di uscire.
I capelli neri e mossi le scendono lungo la schiena e a tratti ondeggiano sotto la debole spinta del venticello mattutino. Hanno un qualcosa di ipnotico. Faccio fatica a camminare. I miei piedi affondano pesantemente nella sabbia, dandomi una piacevole sensazione di freschezza. Oddio. Dove l'ho già sentita questa? Maledetto alcool, non riesco a mettere a fuoco nemmeno quello che penso.
Mi fermo a pochi passi da lei.
Il liquido che le cola dalle mani è rossastro e sembra quasi che abbia infilato le mani dentro un capirosca, o come diavolo si dice, alla fragola, però mi sembra troppo denso. Che abbia infilato le mani dentro un cocomero?
E mentre i miei pensieri si concentrano per qualche istante su una piantagione di pomodori (il motivo non lo saprò mai) ecco che lei si volta. Cerco di riprendere conoscenza e di togliermi l'espressione da ebete, giusto in tempo per trovarmi faccia a faccia con lei, che semplicemente si volta per osservarmi. Ha degli occhi chiari bellissimi. Abbasso lo sguardo e cerco di mettere a fuoco quello che vedo. Non ci sono dubbi, ha le mani imbrattate di sangue, che gocciola ancora, dando un piacevole colorito alla sabbia che riesce a raggiungere. Lo trovo ubriacamente poetico. Alzo lo sguardo verso il suo viso, ci guardiamo negli occhi per qualche secondo, poi mi tolgo la giacca e le copro le spalle.
Abbassa lo sguardo, sulle mie mani, poi torna ad osservare il mare. Mi metto di fianco a lei, con le mani in tasca, e le faccio compagnia. Guardiamo l'orizzonte per alcuni minuti. La sensazione è piacevole, la calma indescrivibile. Muovo le dita dei piedi. È bello starsene a piedi nudi, specialmente sulla sabbia. Non a mezzogiorno, certo, ma quando è fresca si sta da dio. Socchiudo gli occhi e faccio un respiro profondo con il naso. L'odore di salmastro mi riempie i polmoni. Adesso ci starebbe bene una bella birra fresca, per togliere quella sgradevole sensazione di colla dalla bocca. O è nella gola? Non ne sono tanto sicuro, non ricordo nemmeno perché sono uscito.
Per un attimo penso di voltarmi a guardare indietro, per fare mente locale su dove sono, perché e quanto è distante il locale da dove sono uscito ma poi guardo di fronte a me e vedo i primi raggi dorati del sole giocare con le onde e penso "chissenefrega..".
La ragazza è sempre qui, ferma, a guardare in un vuoto ipotetico. Confesso che vorrei baciarla. Maledetto pazzo sessuomane, non riesci proprio a pensare ad altro.
Sorrido silenziosamente, per poi tornare subito serio e chiudere gli occhi.
"ti piace il mare?" mi chiede.
Apro gli occhi di scatto e tiro su la testa "chi..? cosa?". Ho la bocca impastata, le parole mi escono a fatica e confuse.
Lei mi guarda seria. Ora ha gli occhi più accesi, prima sembravano spenti, poi sorride, prima quasi incredula, poi come fosse veramente felice.
"ma stavi dormendo?" mi chiede.
"no, no.. io.. ecco, riflettevo! Si, stavo.. guardavo il mare e mi sono ritrovato a riflettere intensamente". Le rispondo.
"capisco.." mi risponde. Poi fa un respiro profondo e continua "grazie.."
"per cosa?" le chiedo.
"beh, sono una sconosciuta, in mezzo alla spiaggia, con la mani piene di sangue e lo sguardo fisso nel vuoto. Tu ti sei avvicinato e senza fare domande ti sei preso cura di me offrendomi la tua giacca e standomi vicina. Grazie, davvero.."
"figurati, nessun problema. Vuoi.. vuoi che andiamo adesso?".
"si, forse è meglio.." e mentre mi risponde si avvicina all'acqua per poi chinarsi e lavarsi le mani. Le sfrega lentamente, passandosele anche sugli avambracci.
Una volta finito si asciuga al vestito e si dirige verso di me dando un ultimo sguardo al mare.
"Puoi darmi un passaggio?" mi chiede.
"certo, nessun problema." le rispondo.
Iniziamo a camminare fianco a fianco verso la strada. Dopo qualche passo mi si avvicina e appoggia la testa sulla mia spalla, mettendo il suo braccio intorno al mio. Potremmo sembrare una coppia di fidanzatini, agli occhi di chi ci vede.
Arriviati di fronte alla strada nessuno dei due ricorda dove ha lasciato le scarpe, quindi ci avviamo verso la macchina così come siamo, scalzi, senza farci tanti problemi.
Montiamo in macchina e partiamo. Seguo le sue indicazioni e la porto davanti casa sua. Sono le 7 di mattina.
"grazie per tutto. Buonanotte.." si avvicina e mi bacia sulla guancia. La saluto a mia volta.
Chiude la portiera e la vedo allontanarsi. Non posso fare a meno di continuare a pensare alla domanda che avrei tanto voluto farle ma non ho avuto il coraggio. Adesso rimarrò con il dubbio. Non saprò mai come si chiama.
Capitolo 2
solo
Mi sveglio dopo pranzo.
Dalla cucina arriva un accozzaglia di suoni acuti e voci sommesse. È stato quello a svegliarmi, oltre al buon odore di qualcosa cucinato con amore. Allungo la mano sul comodino per prendere il telefono ma solo dopo aver tastato a fondo ogni angolo mi rendo conto che non è dove pensavo e decido di lasciar perdere. Lo troverò più tardi.
Mi alzo dal letto mezzo intontito cercando di capire se è per i rumori di piatti sbattuti o per le schifezze che ho bevuto la sera prima. Stupido. Sono uno stupido.
Inforco le pantofole di duffy duck (modello "legione straniera") e mi alzo in piedi.
La mia immagine viene riflessa dallo specchio dell'armadio, sapientemente lasciato aperto. Mi si prospetta davanti una specie di personaggio da cartone animato con indosso una maglietta xxxl bianca, un paio di pantaloncini larghi, adatti per giocare a basket, e un paio di pantofole a dir poco imbarazzanti.
Cammino strusciando i piedi fino alla finestra con l'intento di aprirla per far entrare un po' di sole e darmi un energica svegliata. O meglio, l'idea è quella ma in realtà appena sollevo il rotolante mi rendo conto che fuori è caldissimo, quindi so già che non aprirò mai la finestra. Inoltre la luce del sole, improvvisa, mi rende cieco per qualche secondo. Giusto il tempo che serve per voltarmi, sbattere il piede contro la gamba del letto, imprecare pesantemente, prendermi il piede fra le mani lasciandomi cadere di lato sopra al letto, rimbalzare come una pallina e finire per terra
Rimando immobile per paura che possa succedere qualcos'altro. Stranamente nessuno mi ha sentito o, almeno, mi pare di capire così visto che rimango a terra per alcuni minuti e non accade niente. Non appena sono abbastanza lucido da non rischiare di uccidermi con una camera da letto mi alzo da terra e vado in bagno a lavarmi il viso per riprendermi completamente. Mentre sono li mi guardo allo specchio.
"Dì, lo sai che scemo forte?" dico guardandomi negli occhi. Poi mi asciugo.
Quando entro in cucina lo spettacolo non è dei migliori. È tutto in disordine e sporco. Solo ora mi rendo conto che le voci sono dei vicini e il profumo che sentivo è solo un invenzione del mio naso.
Per non rischiare di lasciare senza lavoro gli altri bastardi, che se ne sono andati senza di me, faccio in modo di fargli ritrovare tutto come hanno lasciato, aggiungendo un leggero tocco personale.
Dopo colazione mi preparo per uscire. Immaginando di ritrovare gli altri in spiaggia metto su il costume e prendo il telo. Ripongo le pantofole, prendo le infradito e mi avvio.
Esco di casa, mi incammino e appena fuori dal cancello lo riapro, apro la porta di casa e prendo la crema antisole. Esco di nuovo borbottando e mi incammino verso il mare. È una bella giornata. Tanto bella da farmi dimenticare la voglia di vendicarmi con gli altri. Inspiro a pieni polmoni, in questa giornata così tranquilla e mi sento in pace con il mondo. Oddio, forse troppo tranquilla. Detto in termini drammaturgici: non c'è una sega. Ma dove sono tutti?
Direi però che, essendo le ore dopo pranzo, è anche normale che non ci sia nessuno in giro. Cammino fino verso la spiaggia, guardandomi in giro senza scorgere il più piccolo segno di vita.
Arrivo a destinazione e mi guardo intorno. Non c'è che dire, un bellissimo paesaggio. Peccato che manchi un particolare importante: le persone.
Ok la spiaggia libera, ma qui stiamo esagerando. E poi non confondiamo, la spiaggia libera è un eufenismo, in realtà si dovrebbe chiamare spiaggia affollata. E poi cosa diavolo è un eufenismo?
Mentre mi guardo intorno, continuando a camminare, inizio a preoccuparmi. Tutto è possibile, certo, ma che non riesca a trovare un essere vivente, possibilmente su due zampe, in una spiaggia a luglio mi pare alquanto improbabile. A meno di non essere nel deserto, certo.
Il caldo non è insopportabile, quindi non la desolatezza non è imputabile a lui. Il vento non c'è, ma va bene così e l'acqua è al suo posto, quindi non c'è stato uno tsunami. Guerre nucleari nemmeno, visto che è tutto intatto.
Cammino per la spiaggia e dopo un po' decido di smetterla. Mi fermo, sistemo il telo, mi tolgo infradito e maglietta e do un ultima occhiata intorno. Sono quasi tentato di andare a bagnarmi i piedi, ma ci ripenso non appena guardo il mare. Non so perché ma mi da un profondo senso di inquietudine e decido di lasciar perdere. Mi siedo sopra al telo.
Rimango alcuni minuti a fissare il vuoto e poi mi rendo conto di una cosa a cui fino ad ora non avevo dato peso. La sabbia.
Non mi da nessuna sensazione. Ne prendo una manciata e la lascio scivolare fra le dita. Non provo niente. È come non ci fosse niente che cola dalla mia mano.
Allungo i piedi e li sistemo sopra la sabbia. Niente.
Prendo di nuovo una manciata di sabbia e la osservo attentamente. È sabbia, senza alcun dubbio. Vedo i granellini colorati, piccolissimi, uno accanto all'altro a formare una piccola montagna sulla mia mano. Avvicino il palmo della mano e la rovescio in bocca. Inizialmente provo disgusto, ma poi niente. Non ha sapore, non mi infastidisce.
Ok, ho capito, sono morto.
Sento abbaiare. Mi alzo di scatto e vado incontro a quello che immagino essere un cane. Se c'è un cane ci sarà anche un padrone. Non questa volta, visto che trovo solo il cane. Un cane grande, nero, che mi guarda incuriosito. Non so se essere spaventato o felice.
Mi si avvicina, lasciandosi accarezzare. È un bel cane, curato, adulto ed educato.
Passo con lui parte della giornata, finché non andiamo tutti e due a sdraiarci all'ombra, dopo esserci dissetati ad una fontana.
Accarezzo il suo manto lucido fino a stancarmi il braccio. Se non fosse stato per lui probabilmente sarei impazzito. Chiudo gli occhi per rilassarmi e quando li riapro è sparito. Alzo la testa e lo vedo dirigersi verso il mare. Mi alzo per seguirlo. Ora che sono in compagnia un bel bagno è d'obbligo. Lo vedo correre sulla battigia, abbaiando alle onde che si sdraiano sulla sabbia. Sorrido.
Faccio per entrare in acqua ma non appena la tocco con il piede la giornata diventa grigia, come se stesse per piovere. Il cane guaisce, mentre dal mare si solleva un onda che sembra avercela con lui. Mi precipito senza pensarci su di lui, nel tentativo di spingerlo via. Ci riesco, ma l'onda prende me, in pieno, trascinandomi in mare. Faccio in tempo ad uscire dall'acqua per vedere il cane che scappa. Sorrido. "sei salvo.." dico.
Poi un onda mi spinge sott'acqua.
Fluttuo nell'acqua salata, abbandonando il mio corpo ad essa. Fuori è tornato il sole, o almeno mi pare di capire così, visto che qua sotto è tutto rischiarato. Lentamente il poco ossigeno rimasto nei polmoni defluisce dal mio corpo, creando un curioso gioco di bollicine intorno a me. A pensarci bene non sarebbe neanche tanto male vivere qua sotto, se non fosse che sei costretto a morire, visto che non puoi respirarci. Mi piacerebbe molto un bel loft in una conchiglia da paguro.
E con quest'ultimo pensiero chiudo gli occhi.
Capitolo 3
una vecchia conoscenza
Apro gli occhi.
Sono nel letto. Mi rigiro fra le coperte, pensando al sogno che ho appena fatto e che adesso non ricordo già più.
Doveva essere bello però, visto che mi sento benissimo.
Mi alzo, inforcando le mie pantofole preferite, le comodissime nonché imbarazzanti duffy, e mi avvio verso la cucina per scoprire che gli altri hanno lasciato tutto in disordine e se ne sono andati senza di me.
Quando li trovo si fa i conti.
Impreco pesantemente mentre metto sul fuoco un pentolino con dentro dell'acqua. Poi esco in giardino, prendo il grosso cestino della spazzatura e lo sistemo vicino al tavolo. Mi guardo intorno per fare mente locale, dopodiché inizio a spingerci dentro ogni cosa, vuoi che si spazzatura, vuoi che siano piatti, bicchieri, posate o cibo.
Che si fottano, io butto via tutto. Probabilmente la prossima volta sprecheranno due minuti delle loro miserabili vite per rigovernare.
Una volta che ho "ripulito" la cucina spingo con forza le ultime cose dentro al sacchetto e lo chiudo. Trascino al suo posto il cestino, do una pulita al tavolino con uno strofinaccio e mi finalmente mi siedo a fare colazione. Non c'è niente di meglio di un tea bollente e qualche biscotto per iniziare bene la giornata.
Nonostante la dormita e tutto il resto sono ancora abbastanza intontito. Rischio per un paio di volte di finire con la faccia nella tazza. Mi alzo da tavola e mi avvicino al lavandino per sciaquarmi il viso nel tentativo di svegliarmi. Ora mi sento meglio.
Torno seduto, prendo la tazza fra le mani e faccio per bere un sorso di tea ma le mani bagnate me la fanno scivolare e si rovescia sul tavolino. Il tea bollente mi cade addosso, impreco e mi lancio indietro istintivamente, anche per cercare di non "godermi" tutta l'acqua della tazza, ma le gambe della sedia si bloccano in una intersezione delle mattonelle. La sedia, complice lo slancio, si impenna pericolosamente. Io, che in questo momento ho la capacità di equilibrio di un uovo, intuisco già cosa sta per succedere. Sento il vuoto dietro di me e la pericolosa attrazione della mia schiena verso il suolo. È come una premonizione. Il tempo sembra fermarsi mentre io mi rendo conto che la sedia sta lentamente inclinandosi all'indietro. Cerco di ristabilire l'equilibrio alzando le gambe ma ottengo solo di rinviare il tavolino e catapultare la tazza contro la parete. Tocco terra insieme ai biscotti, solo che io faccio molto più rumore e quindi non si sente lo scricchiolio della pasta frolla. Detto fra noi, comunque, dei biscotti non me ne importa niente.
Rimango a terra a valutare la situazione. In tre secondi netti, forse meno, ho fatto più casino di quello che c'era prima.
Rotolo verso destra e inizio a gattonare piano piano, per riprendermi, maledicendo il creato, l'universo e i postumi della sbornia.
Non appena ci riesco mi alzo in piedi, tenendomi i fianchi con le mani. Sono indeciso se piangere o ridere. Lascio perdere e mi preparo per uscire, senza preoccuparmi minimamente di rimettere in ordine.
Pensavo che dopo un volo del genere mi sarei giocato la giornata ed invece eccomi qua a camminare per strada, quasi sorridendo. Il marciapiede è illuminato dal sole e il riverbero mi impedisce quasi di mettere a fuoco le cose, tuttavia non mi lamento anche, e soprattutto, perché se mi sento così è solo colpa mia che mi sono alzato tardi.
Quello che mi costa più fatica è scansare tutte le buche ed evitare quei fastidiosi sassolini di catrame vecchio. Mi finiscono tutti nelle infradito.
Mi fermo all'ombra, a bere ad una fontanina. Una ragazza mi passa accanto con il suo cane, una specie di volpino con le gambe corte. Lo trovo simpatico.
La confusione è fastidiosa. Troppe macchine, troppe persone che camminano in tutte le direzioni visto che è ora di pranzo e tutti, o quasi, stanno tornando a casa o si stanno dirigendo al bar più vicino. Fortuna che io ho appena mangiato. Si, insomma, diciamo che ci ho provato.
Mentre cammino l'odore di salmastro mi invade, a tratti, le narici. Mi piace questo odore, anche se preferisco quello di bosco. Inoltre, per arrivare al mare, devo incamminarmi un una pinetina tipica dove l'odore di sale si mischia a quello di pino e la cosa è a dir poco inebriante. Gli altri giorni. Oggi questo mescolare di odori mi crea disagio, fastidio, malessere o per dirla tutta mi fa vomitare.
Annaspo nella piccola pineta e arrivo dunque in spiaggia.
"ecco il mare.." dico a me stesso. Do un occhiata stile vedetta del deserto per vedere se riesco a trovare i miei amici ma niente da fare. Mi incammino, quindi, e vado a cercare un posto dove sistemarmi. Come prima cosa però mi avvicino all'acqua per bagnarmi i piedi. Non appena la tocco un brivido freddo mi passa lungo la schiena attivando il mio corpo ed il mio cervello istantaneamente. È una bella sensazione. Ad ogni onda è come se il mio corpo ricevesse una piccola scarica elettrica, leggerissima, quel tanto che basta per farti star bene e che finisce subito. L'acqua gioca a raggiungermi i piedi per qualche minuto, poi faccio marcia indietro e mi avvio verso la sabbia asciutta, anche per evitare di essere bagnato da quei ragazzini che stanno giocando a riva. Dopo mi toccherebbe ucciderli.
Faccio qualche passo e mi guardo intorno. Ragazzi, ragazze(!), una coppia anziana e niente bambini. Ottimo. Sistemo il telo e la mia roba, apro il piccolo ombrello che mi sono portato dietro, anche se non ricordo di averlo preso, e mi sdraio sulla comoda sabbia bollente.
Chiudo gli occhi e inizio a godermi un po' di sole, fregandomene degli altri e di quello che è successo stamattina. Passano alcuni minuti e inizio ad avere caldo, quindi mi alzo e vado di nuovo a bagnarmi i piedi per rinfrescarmi. Mentre cammino noto un paio di ragazze in topless e i miei pensieri vanno, inizialmente, a concentrarsi su quei seni abbronzati e sostanziosi, causando anche un imbarazzante lievitazione del costume (abracadabra effect!), dopodiché, tornato al telo e sdraiatomi sulla pancia, inizio a valutare la situazione da un punto di vista filosofico partendo dal presupposto che una cosa come questa non dovrebbe necessariamente causare imbarazzo o sgomento, come invece accade. Però, considerando come tutto quello che facciamo il frutto delle nostre esperienze, se ci insegnano che far vedere il seno è sbagliato e immorale una persona crescerà con questa convinzione e, istintivamente, per lui sarà sempre così anche a fronte di una analisi di questo tipo. Non sono sicuro di cosa ho detto, ma sono altrettanto sicuro che per un oggettivo ed atavico bisogno istintivo le donne non sono portate ad essere attratte da un uomo con un grosso pene per una soddisfazione fisiologica (per quanto questo sia vero) ma piuttosto per una soddisfazione istintiva. Come è noto, infatti, avendo a disposizione un pene più lungo è più probabile che avvenga la fecondazione e da qui l'attrazione istintiva per un recondito istinto di sopravvivenza e di riproduzione della specie. Più o meno è lo stesso motivo per cui un uomo è attratto dei seni prosperosi. E non lo dico io, lo dice la scienza.
E mentre il pensiero mi si focalizza su una nuvola a forma di nuvola mi alzo a sedere.
Rimango per un momento perplesso, davanti a quello che mi si prospetta. Niente.
Il vuoto assoluto, la spiaggia libera come il deserto ad agosto, il mare placido e tristemente abbandonato a se stesso. Mi guardo intorno. Una leggera brezza mi smuove i capelli.
Davanti a me, di fronte al mare, c'è una figura che conosco. La ragazza della sera prima. Cioè, di stamattina. Si, insomma, di ieri notte. Vabbé ci siamo capiti.
Mi ero già dimenticato di lei. Non mi sembra vero di averla reincontrata. Dimentico completamente del fatto che tutti sono spariti mi alzo in piedi e faccio per avvicinarmi. Questa volta ha indosso un semplice costume colorato e non pare sia in catalessi. Si volta mentre mi sto avvicinando e si incammina verso di me, tranquillamente.
"Ciao!" La saluto.
"Hey, come va?" Mi chiede.
"Tutto bene.. si, credo si possa dire così." Le rispondo. "Come è che anche tu hai scelto questa spiaggia?".
"Non lo so, devi dirmelo tu" mi risponde.
Sorrido. "No, scusa, ma come sarebbe. Mica ti ho costretta a venire qua".
"Non certo a parole" mi risponde.
"Non credo di capire". Le dico.
"Capirai, non preoccuparti. Ora però devo andare, salutami.." un tuono copre la sua voce. Mi abbasso istintivamente e guardo il cielo. Quando riabbasso lo sguardo anche lei è sparita.
"Deve essere una specie di gioco nuovo.. tipo the game solo molto più complesso." dico a me stesso.
Poi valuto l'idea che qualcuno possa essersi nascosto sotto la sabbia, alla moda dei predoni (?) e inizio a scavare buche qua e la, con le mani, finché i bracci non iniziano a farmi male. Mi fermo a riposare e inizio a sentir ribollire il sangue. Grido con quanta forza ho nella voce. Sento il petto vibrare ed i muscoli contrarsi. Mi alzo e corro verso il mare, ma non riesco a raggiungerlo quindi corro più veloce anche se non è facile, essendo nella sabbia. I piedi affondano ad ogni falcata costringendomi ad un dispendio di energie non indifferente e spesso cado a causa di quelle buchette che si formano normalmente nella sabbia. Dopo l'ennesima caduta mi fermo a riprendere fiato.
Mi volto per vedere quanta strada ho fatto e con grande sgomento mi rendo conto di essere vicinissimo alla piccola pineta. Torno a guardare verso il mare e vedo che si trova a pochi metri. È come se per tutto questo tempo avessi corso sul posto. Sento delle voci in lontananza. Mi alzo in piedi e mi guardo intorno ma non scorgo nessuno.
Un altro tuono. Un fulmine colpisce la pineta, causando un piccolo incendio che divampa in un muro di fuoco dopo pochi secondi. Doveva essere ben secca.
Guardo le fiamme di fronte a me e non posso fare a meno di pensare che è un bellissimo barbecue e che ho una fame da lupi. Inizio a camminare, come se niente fosse, verso un baracchino in mezzo alla spiaggia. Il muro di fuoco illumina i miei passi e, in caso di troppo caldo, posso sempre lanciarmi in acqua, ammesso che riesca a raggiungerla.
Mi avvicino a quel chiosco costruito proprio in mezzo alla spiaggia con un misto di tavole di legno, ferro e mattoni. Non è un ristorante ma di sicuro potrò trovare qualche panino. Probabilmente si, ma non lo saprò mai visto che, tanto per cambiare, non c'è nessuno.
Provo a chiamare qualcuno, a battere sul balcone e poi faccio il giro della baracca. Se chi lo ha fatto non era completamente scemo avrà previsto anche un entrata.
La trovo. La osservo per qualche secondo, ha qualcosa di strano. Come dire, la trovo singolare ecco. Allungo la mano sulla maniglia, la spingo verso il basso ed entro.
La porta fa un rumore strano, come di legno che si piega, un incrocio fra scricchiolio e il fischio di un merlo. Il pavimento è di cemento grezzo. Chi lo ha fatto non si è preso la briga di sistemarlo a dovere e nemmeno di coprirlo con delle mattonelle. Faccio qualche passo dentro.
È buio pesto, qui.
Chiudo la porta alle mie spalle.
"Clack"
Capitolo 4
onda
TUHM!
Apro gli occhi di scatto, sentendo sbattere la porta d'ingresso.
Mi stropiccio gli occhi e mi porto a sedere sul letto.
"Ooh!" Grido.
Nessuna risposta. Quei maledetti sono appena andati via e mi hanno lasciato da solo. Tanto meglio, almeno faccio le cose con calma senza nessuno che mi rompe.
Mi alzo a sedere sul letto e prendo la testa fra le mani. Ho dei vaghi ricordi di quello che stavo sognando e quel poco non mi piace affatto. In ogni caso faccio in tempo a mettere i pantaloni e a dirigermi verso il bagno e già non ricordo più niente. Strofino i piedi verso la cucina e per prima cosa prendo una bottiglia d'acqua, la bevo fino a metà e dopo inizio a prepararmi una ricca colazione con pane da toast, salame spagnolo e sottilette. In fondo è anche ora di pranzo.
Dopo essermi rifocillato a dovere sistemo la mia roba sopra questa ordinatissima pila di piatti sporchi e butto le posate dentro una tazza, per poi dirigermi garzelloso verso la camera.
Tolgo i pantaloni e metto il costume, cerco le infradito per una buona mezz'ora dentro la stanza, poi mi ricordo di averle lasciate in giardino. Vado a prenderle e prendo anche il telo da mare, ormai asciutto, dallo stendino.
Sono stanco e un po' stordito. Stupido alcool.
Vado in bagno a lavarmi il viso per cercare di riprendermi e i denti per evitare il più a lungo possibile il dentista, poi prendo la mia roba ed esco dalla finestra (non ho le chiavi e quei balordi hanno chiuso a doppia mandata).
Per evitare che resti aperta ho tenuto il rotolante alzato con un bastone che tolgo non appena sono passato, facendolo scendere giù e chiudendo la finestra. Ok, non è proprio come sprangarla, ma almeno è chiusa.
Oggi è caldo. Il sole picchia su ogni cosa che tocca qui intorno come foglie, macchine, vetrate di negozi e qualsiasi altra cosa su cui riesca a riflettersi andando poi a disintegrare i miei occhi, già provati dalle mirabolanti avventure della sera prima. Già, la sera prima. Ho dei ricordi vaghi ma ricordo con lucidità (?) una ragazza strana che mi piaceva molto. Mi pare di averla trovata a fine serata.
Sento gridare. Sono gli altri che si sono fermati a comprare qualcosa da mangiare. Cammino verso di loro, attraversando la strada ed avendo cura, prima, di controllare che nessuna macchina stia per passare. Parliamo per qualche minuto cercando di unire i ricordi di tutti per creare un filo logico che riguardi le vicissitudini della sera prima, ridendo e scherzando su quanto siamo scemi e quanto ci siamo divertiti ma anche su quanto eravamo ubriachi, tanto che alcuni di noi si sono svegliati nei posti più disparati, come prati o macchine di altre persone. Mentre mi viene raccontato un aneddoto su due ragazze spinte in piscina e la fuga dai buttafuori sento una corrente fredda soffiarmi dietro la schiena. Vengo scosso da un brivido e mi volto per cercare di capire se Dottor Gelo ci stia attaccando o se, come è sicuro, il mio corpo stia lanciando dei chiari segnali di aiuto.
Ci dirigiamo tutti verso la spiaggia, passandoci continuamente il palloncino di gomma rosso mentre camminiamo senza omettere di far partecipare al nostro gioco anche macchine, alberi, cani e amicizie improvvisate. Solo quando arriviamo alla pinetina la smettiamo, ma solo per paura di perderlo o bucarlo, e riprendiamo subito una volta arrivati in spiaggia con grande gioia dei bagnanti vicino a noi.
Sistemiamo le nostre cose vicino al piccolo ombrellone verde e poi andiamo subito sulla battigia, l'unico posto adatto per giocare a pallone senza durare troppa fatica, dove diamo relativamente fastidio e dove possiamo rinfrescarsi immediatamente in caso di troppo caldo.
Tiro un calcio al pallone, che va a stamparsi in faccia ad una persona comodamente seduta su di una sdraio. Chiedo prontamente scusa, correndo verso la persona per andare a sincerarmi di non aver arrecato più danni del necessario ma quando arrivo di fronte a lei mi accorgo che si tratta di un fantoccio. Una specie di barbie, anzi, di Ken gigante. Un faccione di un biondo sorridente osserva il vuoto vicino a me con felice indifferenza. Rimango perplesso per qualche secondo sul da farsi e poi inizio a ridere, pensando a chi possa essere così stordito da portarsi dietro un simile attrezzo, in spiaggia. Mi volto, continuando a sorridere, per tornare a giocare e per riderne insieme agli altri ma appena alzo lo sguardo noto che qualcosa non va. O almeno credo, insomma, non so bene come definire questa situazione. Mi guardo intorno, la luce è tenue, come se fosse l'ora del tramonto ma so benissimo che non può essere così, visto che è mattina. Intorno, sulle sdraio o in spiaggia, ci sono solo manichini. Sembra un fiera della barbie, in scala 1:1. La spiaggia è disseminata di bambole giganti nelle pose più assurde. Sembra una grottesca rappresentazione di vita reale, una specie di plastico gigante, con tutti che sorridono felici e fissano il vuoto. Tutti con il fisico ed i capelli perfetti. Nessun suono, nessuno rumore, niente di niente.
Mi avvicino a quello che dovrebbe essere uno dei miei amici. È in piedi di fronte a me, con quel sorriso macabro stampato sulla faccia, le gambe dritte e perfettamente allineate con una leggera inclinazione verso l'esterno per farlo rimanere in equilibrio. Le braccia piegate a 90° sui gomiti, come a chiedere un abbraccio e le mani aperte, palmate, come a dire "ho preso un pesce di queste dimensioni!". Ripensandoci sarebbe un ottimo comodino, basterebbe appoggiare una tavola sopra i bracci per avere una spaziosa e comoda mensola.
Con quest'ultimo pensiero mi allontano di qualche passo e vado verso la battigia, almeno non devo preoccuparmi di faticare per camminare e posso avere una visuale completa della spiaggia. Osservo attentamente la scena che mi si prospetta davanti e non so se iniziare a piangere o ridere fino a morirne. Decido di ridere a denti stretti, con le lacrime che mi rigano il viso, in piedi di fronte a questo presepe vivente di barbie hawaii, fermi a ritrarre un fotogramma di vita quotidiana. Li odio, con tutto me stesso. Stringo i pugni e smetto di sorridere. Inspiro profondamente, gonfiando il petto il più possibile, con gli occhi chiusi e il viso rivolto verso il cielo, riuscendo a calmarmi.
Sento di nuovo il brivido sulla schiena ma in un modo più nitido. È come se qualcosa mi stesse toccando, lentamente, e devo dire che è sensazione piacevole ma allo stesso tempo non riesco a fare a meno di preoccuparmi. Di nuovo mi volto, con tutta calma, pur sapendo che non troverò nessun Dottor gelo dietro a me e che continuerò a dar la colpa alla mia propensione all'autodistruzione alcoolica. Mi guardo intorno: niente. Si, insomma, c'è il mare ovviamente. L'unica cosa viva oltre a me.
"Stupido vento.." Dico a me stesso.
Mi volto di nuovo verso la spiaggia.
"AH!" Grido, lanciandomi all'indietro e cadendo rovinosamente in mare.
Mi rialzo prontamente e, ancora in acqua, fisso la figura davanti a me. È di nuovo lei, quella ragazza di ieri sera. Mi guarda con un sorriso dolce di chi aspetta il buongiorno mattutino e se ne sta lì, ferma, con le mani davanti al corpo a sorreggere la borsa grande da spiaggia, il grande cappello di paglia e un sopracostume bianco trasparente. Faccio un passo verso di lei, allungando la mano verso il suo volto, con l'unico pensiero di sincerarmi che sia reale e che non sia completamente andato fuori di testa.
"Mi fai compagnia?" mi chiede.
"..." Apro la bocca. "Si! Si, certo.." Le rispondo.
"No. No, anzi, aspetta" Mi blocco mentre sto uscendo dall'acqua. Corro a prendere l'asciugamano e torno da lei.
"Dove vuoi andare? No, anzi, dove siamo? Perché è pieno di pupazzi, dove sono finiti tutti?" le chiedo. Sono agitato, ma allo stesso tempo riesco a mantenere una buona lucidità.
"Non lo so. Non posso sapere quello che non sai". Mi risponde.
".. In che senso? Cioè non sai cosa sta succedendo?"
"Io posso sapere solo quello che sai tu o che vuoi che io sappia".
Sorrido "Amica, a me l'alcool fa male ma anche a te non mi sembra che giovi più di tanto".
Mi asciugo i capelli e riprendo a parlare.
"Senti, cos'è, una candid camera? Uno scherzo di qualche tipo, ti sei messa d'accordo con quei ragazzi?"
"Quali ragazzi?" Mi chiede.
"Più o meno tutti questi ken giganti qui dietr.." Mi volto indicando la spiaggia. Non c'è niente. Solo sabbia. Rimango a bocca aperta, spaesato per qualche secondo. Il tempo di riprendermi e notare un bagliore rosso fuoco che illumina ogni cosa, proveniente dalle mie spalle. Giro la testa verso il mare e mi trovo ad osservare uno spettacolo della natura magicamente disastroso. Qualcosa è esploso all'orizzonte, vuoi che sia una bomba o un vulcano, e la detonazione ha creato una luce che si protrae tutto intorno per chilometri e chilometri. L'esplosione muove verso l'alto lapilli, fumo e cenere andando a creare il famoso "fungo". Un gigantesco fungo rossastro copre il sole e invece di preoccuparmi sono qui ad ammirare questo momento, come fosse qualcosa di assolutamente stupendo ed irripetibile. Dopo qualche minuto la luce si è affievolita e vedo l'acqua del mare ritirarsi verso l'interno. Cammino verso la riva, la ragazza non mi segue. La osservo per un momento e lei mi sorride, indicandomi il mare con lo sguardo. Mi volto a guardare a mia volta. Un onda gigantesca sta lentamente avvicinandosi alla spiaggia. Direi che una persona normale a questo punto proverebbe perlomeno a fuggire, correndo a perdifiato.
"A che serve.." Dico a me stesso. Poi, sorridendo, apro le braccia e mi fermo ad aspettare.
Il rumore si fa sempre più assordante mano mano che l'onda si avvicina, per non parlare della luce che ormai è quasi come se fosse notte. Osservo l'imponente ammasso di acqua avvicinarsi e sento l'adrenalina saturarmi i sensi. Riesco a sentire solo il rumore sordo, come quello di una cascata, dell'acqua che si avvicina e non posso fare a meno di tenere gli occhi completamente aperti.
BROOOOOOOM .. è sempre più vicina.
Noto un movimento con la coda dell'occhio e giro la testa, istintivamente. La ragazza ha deciso di avvicinarsi. Si sistema vicino a me e mi sorride. Poi allarga le braccia anche lei, in attesa, e tutti e due torniamo a guardare in faccia l'onda.
Una goccia mi cade sul viso.
Chiudo gli occhi.
Capitolo 5
velocità
Mi sveglio all'improvviso e mi alzo a sedere nel letto, tiro via le coperte, metto i piedi in terra, infilo i primi pantaloni che trovo e tolgo la maglietta del pigiama. Vado a torso nudo verso la finestra e la apro, poi tiro su il rotolante accecandomi per qualche secondo con la luce del sole che irrompe prepotentemente nella stanza, facendomi perdere il senso dell'equilibrio. Faccio un passo indietro andando a sbattere con il tallone nella gamba del letto e cadendo rovinosamente per terra. Mi rialzo subito in piedi imprecando mentre mi dirigo a piccoli passi verso il bagno a lavarmi il viso per uscire subito dopo e andare verso la cucina a prepararmi la colazione rendendomi anche conto di essere solo in casa. Gli altri sono sicuramente già usciti per andare in spiaggia senza degnarsi di aspettarmi o di avvertirmi. Bastardi.
Finito di fare colazione mi preparo, prendo la mia roba, mi avvio verso il mare ed appena esco da casa non posso fare a meno di iniziare a correre, lasciando cadere anche tutta la mia roba tranne il telo da mare e iniziando ad arrampicarmi su qualsiasi cosa trovi di raggiungibile. Poi l'idea balzana mi pungola il cervello e, dopo essere salito su di una macchina, prendo la rincorsa lanciandomi sopra al tetto di un piccolo garage che utilizzo come scalino per raggiungere il tetto della casa vicina e da li inizio una folle corsa saltando da casa a casa, arrampicandomi in quei punti che non riesco a raggiungere immediatamente e compiendo balzi da infarto su case più basse. La sensazione è meravigliosa, mi sento libero e l'adrenalina mi da la giusta dose di panico per non invogliarmi al suicidio o, detta in altri termini, so di essere un imbecille patentato ma cerco di stare attento a non cadere. Mentre corro guardo le persone sotto di me, fino quando qualcuno non si accorge delle mie evoluzioni ed inizia a gridare, ottenendo solo di perdere fiato ed i miei saluti più sentiti, tipo "ciao ciao" con la manina o tegole. Alcuni poliziotti ed altre persone cercano di raggiungermi per farmi desistere dal mio intento mentre mi sono fermato a riposare su di un tetto posto all'ombra di un palazzo. Li osservo mentre incespicano sulle scale e sul tetto, quando si trovano di fronte a me. Avrebbero potuto mandare qualcuno un po' più esperto di arrampicate sui tetti.
Il tipo più vicino mi parla ma non lo sto ad ascoltare per il semplice motivo che non mi interessa cosa ha da dirmi o chi sia e il perché voglia farmi perdere tempo. Sento distintamente i battiti del mio cuore, nient'altro e nient'altro voglio sentire. Senza curarmi di loro mi guardo intorno, con gli occhi aperti di un gatto che osserva la preda e, come lui, tendo i muscoli pronto a scattare, cosa che faccio non appena i tipi si trovano a due passi da me. Scatto sul posto rompendo una tegola con il mio peso e mi lancio sul palazzo di fronte, avendo come sottofondo le grida di quei sacchi di concime dietro di me, finendo in un terrazzo. Do un calcio alla porta ed entro in una cucina, continuando a correre per raggiungere l'ingresso e da lì le scale con cui salire sul tetto dove, una volta arrivato, prendo un antenna e lego alla meglio il telo sui pezzi di ferro per poi lanciarmi nel palazzo di fronte. O, almeno, l'idea è questa ma poi mi rendo conto che è il metodo più facile per diventare una sottiletta e quindi ripiego per una soluzione più semplice. Giro intorno al palazzo cercando il punto più vicino su cui atterrare e, una volta trovato, prendo i cavi del bucato da utilizzare come funi legandoli alla grondaia che, puntualmente, si spezza una volta arrivato a metà strada costringendomi ad una evoluzione tarzanesca nella giungla dei palazzi. Mi sento tanto spiderman ma senza gli effetti speciali. Lascio andare la cordicella e atterro su una rimessa in lamiera che cade a terra, smontandosi, non appena ci finisco sopra.
Devo ricominciare dall'inizio.
Rimango per qualche minuto sdraiato su questa lamina di ferro bollente scaldata a forza dal sole per osservare il cielo, poi mi rialzo e continuo a correre raggiungendo una piccola costruzione in muratura, di quelle utilizzate per i contatori, da cui posso di nuovo proiettarmi sui tetti, approfittando della casa vicina dove, però, mi blocco perché non ha appigli intorno. Le case sono troppo lontane e non ci sono nemmeno dai pali o dei muretti solidi da utilizzare. Scendo, dunque, e corro lentamente guardandomi intorno per scorgere un buon punto di inizio. Lo trovo ed inizio a correre velocemente verso di esso noncurante del fatto che devo attraversare e che rischio di finire sotto una macchina per un paio di volte. Arrivo di fronte ad una casa, mi arrampico sul cancello e cammino in equilibrio sul muretto asciugandomi il sudore sulla fronte e raggiungendo il tetto da cui mi lancio nella casa accanto. Prendo la rincorso e salto nella piccola palazzina vicina, riuscendo ad aggrapparmi al balcone (o non sarei qui a raccontarlo), mi tiro su e una volta sul tetto mi guardo intorno. Fermo, il vento mi accarezza, il sole mi rende quasi cieco ma in effetti è meglio se non guardo, visto che decido di correre verso la grondaia e lanciarmi, semplicemente. Finisco sull'albero qua davanti, facendomi male, molto male, e lo utilizzo come ponte per raggiungere un altro tetto su cui posso spaziare in libertà raggiungendo comodamente altre case e un terrazzo su cui trovo una tovaglia che utilizzo per creare di nuovo un deltaplano fatto in casa, utilizzando anche i bastoni del bucato e i fili. Finisco appena in tempo per sentire le urla dei miei "salvatori" che cercano ancora di prendermi. Uno di loro raggiunge il tetto appena in tempo per vedere me che lo saluto, lasciandomi cadere nel vuoto con il sorriso sulle labbra. L'effetto è quello di un paracadute grezzo che mi permette di planare lentamente verso il suolo per qualche secondo, prima di precipitare come un incudine quando i nodi iniziano a sciogliersi. Atterro rovinosamente su di un furgone bianco da trasporto, lascio andare quello che resta del paracadute (?) e scendo.
Mi riprendo quel tanto che basta, dunque, e parto di nuovo con la mia folle corsa avvicinandomi sempre di più verso quella scalinata che dovrebbe portarmi dritto fino a
"OHUUF!"
Qualcuno mi colpisce con violenza, sollevandomi da terra e placcandomi stile rugby. Finisco a terra e vengo subito immobilizzato da una decina di persone. Non capisco cosa possano volere da me, visto che non ho fatto del male a nessuno e che non mi sembra di aver chiesto aiuto o, insomma, non mi pare di aver rotto le scatole a nessuno.
Mi infastidiscono chiedendomi cosa mi sia saltato in testa, perché lo abbia fatto, se ho delle tendenze suicide e tante altre di quelle cose a cui non ho voglia ne tempo di rispondere perché ho interesse solo a correre, correre sempre più veloce, saltare, volare, urlare.
"Come ti chiami?" mi chiede uno di loro ed io di rimando lo guardo incuriosito perché questa è l'unica cosa che desta la mia attenzione verso di loro. "Già.. come mi chiamo?" rispondo.
Capitolo 6
noia
Apro gli occhi. Ho un leggero fiatone e il cuore che mi batte forte, come quando ti risvegli da un incubo. Mi occorre qualche secondo per rendermi conto che non sto più sognando e che mi trovo nella realtà. Mi alzo a sedere sul letto, poggiando i piedi in terra e prendendo la testa fra le mani. Mi accarezzo i capelli. Resto così per qualche secondo ed una volta ripreso mi avvio verso il bagno, vestendomi con le prime cose che trovo, camminando a piedi nudi sul parquet fresco. Ad ogni passo le piccole tavole di legno miagolano meccanicamente. È un suono che mi piace, considerando anche il fatto che la sensazione di lieve fresco che mi arriva dal pavimento è decisamente perfetta, per qualcuno che si è appena svegliato dopo una notte di bagordi. Tutto cambia quando esco di camera ed i miei piedi nudi incontrano le fredde mattonelle del corridoio, colpendo con forza i miei sensi e svegliando il mio cervello improvvisamente. Questo non è molto piacevole, ma tant'è.
Finito di esplecare i miei bisogni fisiologici mi avvio a fare colazione. Metto il caffè sul fuoco e accendo la radio. Stanno passando un pezzo dei Linea77 intitolato "il senso". Mi piacciono i "linea" , anche se è molto che non li ascolto e non ricordo nemmeno perché. Spesso mi limito ad ascoltare la musica, soprattutto se gli artisti sono stranieri, ma quando ascolto canzoni italiane mi piace esaminare ogni parola, ogni frase, a volte persino il titolo come nel caso di "rap lamento" di franchie.. no, franki.. no, fr.. aspetta.. frankie hi nrg! Lui.
Appoggio le mani sul tavolo, posizionandomi di fronte alla radio, in attesa che l'acqua si scaldi e ascolto con attenzione. Credo sia una delle ultime canzoni. Dopo due minuti la canzone è finita e stanno passando la pubblicità. Colpisco la radio con forza (odio la pubblicità idiota) e la spengo. Ho i brividi e qualche lacrima mi sta rigando il viso. Mi piace quando qualcuno riesce ad emozionarmi con una canzone, perché significa che ha veramente messo se stesso in quella musica. Dopo andrò a comprarmi il cd, in segno di ringraziamento.
Faccio colazione in tutta calma, pensando ad un sacco di cose che annoierebbero chiunque e che farebbero incazzare i pochi interessati all'argomento. Mi blocco a guardare il vuoto e sorseggio il tea.
Abbasso la tazza e vedo passare una ragazza, che torna indietro e mi sorride.
"Buongiorno.." mi dice.
"Buongiorno.. Gilla, giusto?" le chiedo.
Sorride e annuisce. Mi alzo e le servo del caffè in una tazzina, avendo cura anche di svuotare il frigo e la dispensa per fornirle un amabile differenziazione culinaria sia per quanto concerne i beveraggi che l'alimentazione solida. Mi fermo a riflettere per un momento su quello che ho appena pensato. In mano ho dei cereali. Perfetto, le ragazze adorano i cereali.
Mi ringrazia, avendo cura di sottolineare il fatto che sia ovviamente troppo per lei.
"Non preoccuparti. Tra qualche minuto arriveranno anche gli altri, non appena sentiranno l'odore del caffè." Già, il caffè. Io avevo messo il caffè sul fuoco ma ho bevuto del tea caldo.
"Ma come ho fatto..?" dico ad alta voce.
Gilla mi guarda incuriosita e mi domanda: "A fare cosa?"
"Ecco.." Poi inizio a ridere e continuo a parlare "praticamente io ricordo di aver messo il caffè sul fuoco, ma ho fatto colazione con il tea bollente. Niente, lasciamo perdere, sono fuso."
Ne ridiamo insieme e parliamo per qualche minuto, poi ci raggiungono un paio dei miei. Li lascio a riprendersi in cucina, saluto Gilla e mi avvio di nuovo verso il bagno per lavarmi denti, viso e poi torno in camera a cercare le ciabatte.
Dopo colazione usciamo. Io e Max decidiamo di andare a farci un giro in macchina, anche per andare a comprare qualcosa da mangiare, visto che in casa è quasi finito tutto.
Ci dirigiamo verso il vicino centro commerciale. Troviamo parcheggio quasi subito. Per fortuna è un giorno fra settimana, almeno non c'è molta confusione e possiamo fare le cose con calma. Inoltre dentro c'è un piacevole silenzio refrigerato, cosa impossibile da trovare, ad esempio, di domenica pomeriggio. Prendiamo un carrello, non tanto perché dobbiamo prendere molte cose ma perché almeno non dobbiamo faticare sorreggendo pesanti cestelli a mezz'aria o tenendo in braccio ogni cosa. E poi possiamo usare il carrello come "bob" lanciandoci nei corridoi degli scomparti, anche se dopo un paio di volte ci siamo già stufati e continuiamo semplicemente a fare la spesa, comprando quelli che sono i generi di prima necessità: birra, qualcosa per la colazione, altra birra e pane. Tanto pane, così possiamo farci panini per qualsiasi evenienza. Di solito compiamo il pane da toast, almeno si conserva per più giorni. La pasta ce la siamo portata da casa e anche qualche sugo semplice. Ogni tanto compriamo anche passata di pomodori o cose simili, ma non oggi.
Passiamo davanti al banco della carne. Tutte quelle belle fette rossastre mi fanno venire l'acquolina in bocca. Ho voglia di addentarle. Poi il freddo dei frigoriferi ed i vari aromi ci stordiscono lievemente, costringendoci ad andarcene il più velocemente possibile. Attraversiamo un corridoio pieno di patatine e snacks vari, per arrivare nella "terra di mezzo". Uno stramaledetto corridoio gigante che si biforca a destra e a sinistra negli scomparti più disparati. Questo è comodo, indubbiamente, ma quello che odio è che devi fare una scelta: o cerchi quello di cui hai bisogno o controlli di non andare a sbattere con chi esce. C'è anche una terza alternativa: camminare al rallentatore, ma noi non lo facciamo quasi mai. Anzi, è molto probabile il contrario, con le ovvie conseguenze.
La parte migliore è il pavimento, composto da mattonelline bianche e lisce come vetro. Una volta ci sono venuto con i pattini e devo dire che è un piacere scorrerci sopra, tranne quando devi frenare.
Andiamo alla cassa e ciarliamo del più e del meno finché non è il nostro turno. Usciamo e per prima cosa notiamo la marcata differenza di temperatura tra dentro e fuori. Poi che è nuvoloso.
Andiamo alla macchina e, una volta finito di caricare tutto, riprendiamo il nostro viaggio giornaliero verso l'ignoto, si fa per dire, di questa città.
La macchina corre sull'asfalto, sulle note di una canzone blues che stanno passando alla radio. Ignoro di chi sia o cosa stia dicendo ma adoro questo momento. Poi Max rovina tutto cambiando stazione. Ci offendiamo per qualche minuto, disquisendo amabilmente sui differenti gusti musicali, dopodiché ci fermiamo a far benzina.
Max scende ed io mi limito a rilassarmi guardandomi intorno, nel silenzio di questo caldo pomeriggio. L'occhio mi cade su di un avviso, messo appositamente sulla pompa della benzina.
"Hey.. hai letto qua?" gli chiedo.
"No, perché?" mi risponde.
"Con cosa fai benzina, con la carta o con gli spiccioli*?"
"Eheheh.."
"Che ridi?" gli chiedo, ridendo a mia volta.
"No, niente.. che hai detto?"
"Dicevo, qua dice che con la carta puoi mettere un minimo di 20 euro. La metti con la carta o con gli spiccioli?"
"Ehehhehehh.."
"Ma cosa ridi, scemo!" Gli dico, alzando la voce ma ridendo a mia volta, contagiato dalla sua risata. "Che hai visto?" E mi guardo intorno. "Insomma, li hai spiccioli o no?"
*spiccioli: modo di dire toscano per indicare la carta moneta e, allo stesso tempo, le monetine.
"Eheheheheheheheheheh.."
Lo mando a quel paese e accendo la radio.
"No, dai niente.." Mi risponde, mentre torna in macchina "Mi hai fatto ridere perché mi sono immaginato io che mettevo le monetine nel casottino del self service per fare benzina.."
"Ah.. ahahhahaha ora ho capito!".
Ridiamo insieme di questa cosa, dopo che finalmente ho capito cosa ci fosse di tanto divertente e torniamo verso casa.
Dopo qualche minuto di tragitto mi rivolgo a Max:
"Mi annoio.."
"Che si fa?" Mi chiede.
"Non lo so.. Cosa possiamo fare? Vabbé, intanto torniamo a casa a posare la roba, poi vediamo..".
Continuiamo il resto del viaggio in silenzio, ascoltando la radio e fumando sigarette. Io ho un piede fuori dal finestrino, Max è a petto nudo. Il paesaggio da queste parti è suggestivo. Ci sono solo campi intervallati da qualche casa o da fabbriche. L'odore di erba tagliata è marcato e, a tratti, si sente profumo di grigliate o di pizza. Immagino sia relativo al fatto che è ora di pranzo.
Butto la sigaretta e mi giro verso Max.
"Come è andata poi ieri sera? Ci siamo persi un po' di vista.." gli chiedo.
"Ah, tutto bene, è stata una bella serata. Considera che a un cerco punto sono spariti il cinto e scorza, li abbiamo ritrovati uno nel giardino davanti al locale che dormiva e uno a giro per la passeggiata che camminava."
"Ah ah ah come sarebbe, scusa? Che ci faceva in passeggiata?" gli domando, ridendo.
"Ma che ne so, era ubriaco marcio. Penso non sapesse nemmeno dove si trovava. Comunque niente, lo abbiamo caricato in macchina e si è addormentato quasi subito. Dentro invece ero con gli altri ma non è successo niente di che, le solite cose. Eravamo ubriachi, abbiamo baccagliato anche i buttafuori rischiando di prenderle come delle pignatte e credo di aver baciato un paio di ragazze.”
"Solo due, vecchio porco?" gli chiedo.
"Si, questa volta si. Non ero tanto in forma." Mi risponde, con l'aria di un uomo vissuto.
"Si, certo.. ma vai a letto.." Concludo, con tono ironico e rido insieme a lui della sua affermazione.
Torniamo a casa giusto in tempo per vedere gli altri che apparecchiano e scolano la pasta.
Scarichiamo la macchina tutti insieme e poi andiamo a sederci, avendo cura prima di recitare la preghiera di ringraziamento a...
Apro gli occhi, chiedendomi perché stiamo facendo la preghiera del pranzo. Sono seduto composto sulla sedia, vestito con una camicia larga giallognola, una cintura color mogano e dei pantaloni di ottima fattura, di quelli usati di solito per andare ai matrimoni. Ah, e dei mocassini dello stesso colore della cintura. Ho le mani incrociate e la testa china di chi sta ascoltando un prete. Alzo lo sguardo. La tavola è imbandita con molte cose da mangiare e da bere, il tutto guarnito con un servito da grandi occasioni. Ho idea che questi piatti costino più di un motorino. La tovaglia è finemente lavorata e ci sono delle posate vicino al piatto che credo di non aver mai visto in vita mia. Tutti intorno sono intenti a pregare, in silenzio, tenendosi piegati su se stessi e producendo un brusio strano, come un volo di mosche in lontananza. Sposto la sedia, alzandomi da tavolo, e faccio qualche passo. Provo a toccare con un dito uno di loro, a caso, visto che non riesco a riconoscere nessuno. Siamo tutti vestiti uguali, con lo stesso taglio dei capelli, con il riporto ma non riesco a vedere i loro volti. Non appena lo tocco la figura del ragazzo cade a terra, come svenuto o, ad essere più precisi, è come se di colpo gli si fossero scaricate le batterie, si fosse spento.
Mi avvicino e lo osservo. Ha la faccia sorridente di chi ti ascolta con interesse e gli occhi aperti di chi sta guardando un bellissimo dipinto. Una volta ho visto un quadro del Caravaggio, quello relativo a Battista, e avevo le stesso sguardo. Provo a sollevarlo ma è pesante, rilassato e sono sicuro che non respiri. Mi alzo lasciandolo a terra, continuando a fissare quel sorriso idiota che ha sulla faccia e cercando di capire di chi si tratta, senza però riuscirci.
Quando alzo di nuovo lo sguardo tutti i presenti adesso hanno smesso di pregare e hanno lo sguardo fisso davanti a loro. Faccio un piccolo scatto all'indietro per la sorpresa e rimango perplesso per qualche secondo, poi riprendo a camminare intorno al tavolo accompagnato dagli sguardi di tutti che si voltano ad osservarmi dopo che ho fatto il primo passo. I loro volti si muovono lentamente, seguendo con cura ogni mio spostamento, come se si aspettassero qualcosa.
Mi fermo a capotavola, sotto lo sguardo assente di questi macabri fantocci e dico loro la prima cosa che mi viene in mente reputandola adatta all'occasione: "amen.."
Smettono di fissarmi e tornano a osservare il vuoto di fronte a loro. Delle cameriere vestite da suore entrano nella stanza e iniziano a servire i presenti, come fosse un pranzo di gala. Solo ora mi rendo conto che anche la stanza è cambiata. I muri sono bianchi, con dei quadri vuoti attaccati alle pareti. La luce è abbagliante e, a tratti, soffusa mentre gli unici suoni udibili sono il rumore delle posate e dei carrellini del cibo. Gli altri iniziano a mangiare, all'unisono, sollevando ognuno il suo cucchiaio per bere quella zuppa di formaggio servita dalle suore cameriere. Una di loro si avvicina a me, spostandomi la sedia e invitandomi a sedere. Mi siedo e mi viene servita la zuppa.
Si allontana. Guardo la zuppa e mi manca l'aria. Allungo la mano sul colletto, allento la cravatta e tolgo i primi due bottoni. Tutti gli altri smettono di mangiare e si voltano di nuovo per guardarmi. Le cameriere scappano inorridite, come se fossi completamente nudo. Sorrido e mi alzo in piedi, tornando a camminare intorno al tavolo e facendo l'unica cosa sensata della giornata. Tocco ogni presente per "spegnerlo", almeno non devo preoccuparmi di essere osservato costantemente. Mi tolgo la giacca, che come per magia mi è comparsa quando mi sono alzato da tavolo, strappo la camicia lanciandola sul tavolo e sfondo la porta di cucina con una sedia. Almeno quella è rimasta uguale.
"Ho capito.." dico sottovoce.
Mi volto verso la sala da pranzo. È tornato tutto normale, fatta eccezione per il fatto che non c'è nessuno. Esco di casa e cammino fino alla spiaggia, pensando e ripensando a quello che è successo. Stranamente sono calmo, come non fosse la prima volta che mi succede e, anzi, mi sembra qualcosa di già visto, di ripetuto o, perché no, di normale routine quotidiana.
Salgo sulla collinetta che dà sulla spiaggia, in cima al boschetto, e guardo verso il mare. So per certo che qui troverò quello che sto cercando ed infatti eccola là. La ragazza è in fondo alla spiaggia, sulla battigia, intenta ad osservare il mare. Cammino fino a raggiungerla e mi metto di fianco a lei.
"Ciao.." La saluto.
Ricambia con un lieve cenno del capo, aggiungendoci un "Hey.."
Torniamo a guardare il mare per alcuni minuti, poi prendo la parola:
"Non è la prima volta che succede vero?"
"No.. purtroppo no.." Mi risponde.
"Da quanto tempo vado avanti così?"
"Da molto ormai, tanto che alcuni ti danno per spacciato.."
"I miei amici?"
Sorride e si volta a guardarmi.
"Quali amici?" mi domanda "Tu non hai amici.."
"Come sarebbe? E gli altri?"
"Appunto: gli altri. Quali altri? Chi sono? Come si chiamano? Tu non ne hai idea. Li chiami per soprannome e non riesci nemmeno a dar loro dei volti. Pensaci bene, sapresti descrivermeli?"
"Io.." rimango a bocca aperta, guardando in basso come si fa quando si cerca una risposta.
"Lascia perdere, non sforzarti. Tanto non servirebbe a niente. Non sei in grado nemmeno di capire dove sei, figuriamoci.."
"Che significa? Siamo al mare, in vacanza.." Le rispondo.
"In vacanza?" Mi chiede "Quale vacanza? Che giorno è oggi? Dove siamo di preciso?" Mi chiede, ma questa volta con durezza, come se ce l'avesse con me. Nei suoi occhi però non c'è odio, quanto piuttosto muta rassegnazione.
"Io.. io non.. non lo so.." Ammetto a me stesso, chinando il capo e sospirando. "Ma forse tu puoi aiutarmi. Chi sei, dove ci troviamo?"
Si volta a guardarmi negli occhi poi abbassa la sguardo, pensierosa. Annuisce.
"Si. Si, è ovvio che ti aiuterò. Non posso fare diversamente se è questo quello che vuoi."
"Non capisco quello che dici.." le rispondo.
"Capirai, come tutte le altre volte. E come tutte le altre volte prima o poi dovremo ricominciare dall'inizio. Ma ora lascia perdere, dobbiamo fare le cose con calma."
"E allora che faccio adesso?"
Mi guarda sorridendo benevolmente, si avvicina, mi bacia sulla guancia e dice semplicemente:
"Svegliati".
Capitolo 7
confusione
Apro gli occhi, con la faccia ancora sprofondata nel cuscino. Giro su me stesso e tiro via le coperte per portarmi a sedere sul letto, poggiando i piedi a terra. Mi occorre qualche secondo per fare mente locale, capire che sto bene, realizzare di indossare una lunga tunica e di trovarmi in ospedale. Non appena mi alzo in piedi la testa inizia a girarmi e sento il cuore battermi forte, come se avessi appena corso. Cado nel letto, svenuto, per una buona mezz'ora. Quando riprendo i sensi mi trovo di nuovo in camera mia, ma questa volta sono a casa e non al mare. So bene che si tratta di una mera illusione, ma preferisco questo alla realtà che mi si è prospettata poco prima.
Mi alzo e faccio un giro in quella che vedo come casa mia. È incredibile la particolarità delle cose, il modo in cui riesca a ricordare così bene. Quello che non capisco però è perché stia vivendo questo sogno ad occhi aperti.
"Posso dirtelo io, se credi.."
Sobbalzo e mi giro di scatto. Di nuovo lei.
"Hai deciso di farmi venire un infarto?" la domando, con aria spaventata.
"Ah ah, non farmi ridere.. non può succederti niente finché sei qui. Seguimi."
La seguo. Camminiamo per tutta la casa, a piedi nudi, fino ad uscire dalla porta principale.
"Cosa vedi?" mi chiede, mentre stiamo uscendo di casa.
Non so cosa rispondere e ovvio con un "Il giardino, te, la casa.."
"La tua casa?" mi chiede.
"Si.. come fai a saperlo?" le domando, rimanendo sorpreso.
"Te l'ho già detto, io so tutto quello che vuoi che io sappia."
"Ah si, giusto. Peccato che non ho idea di cosa significhi. Ora, io posso capire di essere un po' lento, ma te non è che mi dai poi quel grande aiuto, eh! Voglio dire, abbi pazienza, ma già sono chiaramente fuori di testa, se poi ti ci metti anche tu che invece di aiutarmi mi confondi ancora di più le idee va a finire che divento un cactus.."
"Cosa c'entrano i cactus?" mi domanda, con aria interrogativa e divertita.
"C'entrano sempre.. e comunque non hai risposto alla mia domanda."
"Quale domanda?"
"Non lo so.. non ricordo.." smetto di camminare e mi siedo a terra, sul prato. Ho il fiatone. "Non ci capisco più niente..credo di avere un po' di paura.."
"Non devi averne.. Sei insieme a me." Mi dice, interrompendo la mia scalata verso il panico. Si inginocchia davanti a me, prende la mia mano e mi regala un sorriso. Inspiro profondamente, riuscendo a calmarmi.
"Va meglio?" mi chiede.
"Si, si.. grazie. Scusa se rido ma è tutto così assurdo.."
Mi alzo in piedi e riprendiamo a camminare.
"Tu lavori qui?" le chiedo.
"Qui dove?"
"Qui, dove siamo adesso.."
"E dove sarebbe adesso?"
"Adesso.. cioè.. qui! Qui e adesso. Non è un ospedale questo?"
"No, questa è casa tua. Non riconosci il posto?" mi dice.
Mi blocco, guardo intorno a me, prendendo fiato con tutta calma e lancio un urlo guardando il cielo e stringendo i pugni vicino ai fianchi.
"Sono stanco..." dico, accasciandomi a terra. Lei mi guarda per qualche secondo, poi se ne va. L'erba è soffice, sento i fili solleticarmi la schiena facendosi carico del mio peso e l'odore della terra cotta dal sole.
Plic.
Plic.
Due gocce di pioggia cadono dal cielo, andando a colpire il mio viso. Le altre si spargono tutte intorno a me, andando a bagnare ogni cosa nel giro di qualche minuto. Le nuvole hanno rapidamente steso un velo nel cielo, coprendolo come una mamma che accudisce amorevolmente il proprio figlio.
Resto qua, sotto l'acqua incessante che ha iniziato a scendere lentamente dal cielo, respirando aria umida che profuma di erba bagnata, senza capire se ho gli occhi bagnati dalla pioggia o se, più semplicemente, sto piangendo. Tuttavia è piacevole.
Chiudo gli occhi.
Sento come un colpo venire da dentro e riapro gli occhi, solo per un istante, giusto il tempo di vedere una luce fortissima e alcune persone affannarsi su di me. So che questa è la realtà perché provo qualcosa che fino ad ora ho sentito come estraneo: il dolore. Un dolore atroce. Un momento di pura realistica follia in cui mi rendo conto di quello che mi aspetta una volta accettato di uscire dalla mia mente.
Chiudo gli occhi.
Capitolo 8
Restart
Mi sveglio dopo pranzo e non posso dire che l'inizio sia dei migliori. Ho in bocca uno strano sapore, come se avessi leccato un posacenere e avessi fatto i gargarismi con ammoniaca. Mi alzo a fatica dal letto, con la testa che mi ronza fastidiosamente e un leggero senso di disorientamento. Mi alzo in piedi e infilo i jeans, tolgo la maglietta, mi dirigo verso il bagno e tento di esplecare i bisogni fisiologici mattutini tipici. Si, insomma, devo pisciare.
La cosa brutta di una bella serata è che la pipì sembra non finire mai, tanto che si rischia di addormentarsi in piedi. Cosa che mi è appena successa. Mi sveglio dopo qualche secondo, grazie al fatto che me la sto facendo sui piedi. Inorridito e (molto) stordito alzo il piede e sposto l'altro, facendo i conti con un concetto chiamato gravità che mi fa scivolare finendo con i ginocchi sulla tazza. Ovviamente non è finita qui, ma lascio il tempo di capire bene la scena perché è tutta da raccontare. Una volta colpito la tazza con i ginocchi la testa mi si abbassa automaticamente e vado a colpire, con la fronte, il piccolo cassone dell'acqua dopodiché, complice il contraccolpo, mi lancio all'indietro tornando all'improvviso in piedi ma, ovviamente, con una scarsa propensione all'equilibrio che mi permette di prodigarmi in una evoluzione fantozziana all'interno della vasca posta appositamente dietro di me dalla dea bendata della sfiga. Ovviamente tirando dietro anche la tendina d'ordinanza, con il relativo bastone di ferro che la sorregge, il quale ovviamente mi va a colpire la testa.
"Ouch!"
Adesso sono dentro ad una vasca, seminudo e parzialmente ricoperto di pipì, con il telo della vasca addosso e pieno di lividi. Bene.
Lancio un grido mescolando rabbia e dolore. Poi mi alzo a fatica, imprecando come mai in vita mia. Tiro via la tendina e apro l'acqua della vasca, buttandoci dentro qualche sapone a caso. Mi rivesto alla meglio e zoppico verso la cucina, dopo essermi lavato bene le mani, per prendere qualcosa da mangiare al volo e torno subito in bagno. Entro nella vasca con i pantaloni (che non si dica che sono un tipo sporco) e mi rilasso nell'acqua calda e profumata sgranocchiando due biscotti. Sono ancora furioso e fisicamente dolorante per quello che mi è successo, ma il bagnetto sta ristabilendo la pace interiore e sta aiutando i miei muscoli a rilassarsi.
Esco dalla vasca per asciugarmi avendo cura, prima, di togliermi i pantaloni per metterli sullo stendino ad asciugare appena esco da qua.
Rimango per buona parte del pomeriggio in casa, insieme a Max e altri due, bighellonando davanti alla tv soprattutto per riprendermi dai lividi che ho sparso su tutto il corpo. Poi arriva la sera.
Esco di casa vestito bene, con la camicia e i pantaloni seri, di quelli utilizzati spesso nei matrimoni, per andare in uno dei tanti locali notturni alla moda e prendermi la mia quota di popolarità. In città non si può sopravvivere senza quota di popolarità, senza "esperienza visiva" o detta in termini comprensibili senza farsi conoscere e vedere in giro.
Arriviamo davanti l'entrata ridendo e scherzando, pronti per entrare con il proposito di basare la nostra esistenza su questa serata come ogni fottuto fine settimana. Odio tutto questo. Cammino a passi piccoli evitando il più possibile il contatto con tutte le persone che ci sono qua, voltando lo sguardo quando qualcuno mi guarda, soprattutto se è un maschio, per evitare di dover litigare per puttanate del tipo "mi hai guardato male" o perché secondo lui ho guardato la sua ragazza. Il mio unico desiderio in questo momento è quello di dar fuoco a tutto, di veder correre tutti in ogni direzione in piena crisi isterica. Sorrido. Poi mi rendo conto che sto pensando troppo a causa dell'alcool. Nel senso che ne ho poco in corpo.
Mi avvicino al balcone per ordinare da bere e me ne vado imprecando pesantemente quando lascio dieci euro sul balcone. Non ho mai capito perché le bevute costano così tanto ma sinceramente nemmeno mi interessa. Ne bevo una buona metà subito e la vista torna ad offuscarsi
Fischio per richiamare l'attenzione degli altri e insieme ci avviciniamo al bordo piscina dove io e Pennacchio litighiamo pesantemente. Il motivo non me lo ricordo ma finisce con noi che ci prendiamo a schiaffi e la sicurezza che ci sbatte fuori in malo modo. Ricordo bene come è andata. Tutto è iniziato per una spinta da parte sua ed io mi sono lanciato su di lui. Ci siamo presi a pugni per qualche minuto, con gli altri che provavano a dividerci ma che hanno smesso non appena hanno visto avvicinarsi i buttafuori.
"Fermo!" gli dico, voltando lo sguardo versi i due energumeni che stanno avvicinandosi.
Prendo un diretto in faccia. "Ahi! Ti avevo detto fermo, pezzo di.." e riprendiamo a colpirci.
"Scusa scusa scusa, hai ragione" mi dice e smettiamo di pestarci per alzarci.
I buttafuori si avvicinano mentre noi ci stiamo sistemando i vestiti e togliendo la polvere di dosso, con la faccia di chi ammette di aver toppato alla grande.
Poi ci voltiamo velocemente iniziando a correre a grande velocità verso la piscina. Se riusciamo a saltar dentro diventiamo degli idoli, avremo gli occhi di tutti puntati addosso e abbiamo qualche speranza di non essere pestati dai buttafuori. Se non riusciamo a raggiungerla siamo morti.
Quando mi risveglio sono su un prato, insieme al Penna. Sono dolorante, non mi sento molto bene e anche lui non sembra star meglio. Ne abbiamo prese tante, ma tante, come mai prima d'ora e come probabilmente mai ne prenderemo in vita nostra a meno che non ci venga in mente di andare a giocare a calcio fiorentino senza passare mai la palla.
Mi alzo da terra, a fatica, raddrizzo la schiena spingendo sui fianchi con le mani, cercando di riprendermi grazie all'aria fresca del mattino per poi piegarmi tenendo le mani sulle ginocchia, come a riprendere fiato.
"houff.."
Raddrizzo di nuovo la schiena e scuoto il Penna con il piede.
"Dai svegliati.."
Per tutta risposta ottengo un grugnito.
"Ok.. come preferisci".
Mi allontano di qualche passo, mentre lui continua a dormire sdraiato sul prato. Devo dire che nonostante tutto è comodo anche se forse è un po' troppo umido.
Trovo una fontana, che utilizzo come fosse un lavandino approfittandone per lavarmi il viso. Mi guardo intorno per cercare qualcosa che possa servire a quello che ho in mente.
"Eccoti!"
Torno dal Penna e gli rovescio addosso una bottiglietta piena di acqua della fontana. Il risveglio non è dei migliori ma è il più veloce e quello che c'è di buono è che non devo nemmeno preoccuparmi di una reazione visto come è ridotto. Come siamo ridotti.
Si alza da terra imprecando e insultandomi. Per tutta risposta gli rido in faccia lanciandogli addosso la bottiglietta ormai vuota.
"Ma dove l'hai trovata?" mi chiede.
"Cosa? La bottiglia? In quel cestino laggiù" Gli rispondo.
"Ah, ok.."
Camminiamo lentamente, godendo dell'aria del mattino. Ci fermiamo a fare colazione in un bar, dove ne approfittiamo anche per contare i denti che ci sono rimasti e controllare se abbiamo tutte le ossa intere. Ho un molare in meno ma per il resto sto bene.
Non abbiamo idea di dove siamo ne di che fine abbiamo fatto gli altri ma per il momento non ci diamo molto peso.
Sorseggio il caffè osservando le persone intorno. Non molte, a dire la verità, ma quanto bastano per farti innervosire. Tutti a guardarti, a controllare chi sei, da dove vieni, a cercare di capire come mai sei ridotto così, a domandarsi "sarà un drogato?" e via dicendo. Li odio, odio tutti, vorrei ucciderli uno ad uno strappandogli il cuore dal petto o mordendo la loro gola strappando via la giugulare, o come diavolo si chiama, per osservare il loro flebile alito di vita andarsene via lentamente mentre nella loro testa si spande la consapevolezza che tutto è finito.
Torno con gli occhi sul tavolo e guardo il Penna. È con gli occhi fissi a guardare il caffellatte. Probabilmente è svenuto.
Mi alzo e vado verso il bagno. Quando esco è sparito. Guardo intorno per cercarlo, poi però mi ricordo che devo ancora finire di mangiare quindi torno a sedere pensando che qualsiasi cosa possa essere successa prima o poi lo rivedrò o a casa o qui fuori, a fumare.
Osservo la tazza fumante di caffè. È sbiadita e smette quasi subito di fumare ma non è questo ad essere strano bensì il fatto che credevo di averlo finito. Sono più stordito di quello che pensavo.
"O forse non hai ancora capito.."
La voce entra nella mia testa prepotentemente, con la stessa dolcezza del rumore di un martello pneumatico alla domenica mattina. Inoltre è tanto inaspettata da farmi sobbalzare sulla sedia, scombussolando l'esile nirvana dei sensi che ero riuscito a raggiungere e riattivando tutti i vari dolori che ero riuscito a sopire.
Dopo qualche secondo riesco a calmarmi del tutto e a mettere a fuoco.
"Oh no.. di nuovo tu.." Dico, mentre porto i gomiti sul tavolo e sorreggo la testa con le mani.
"Hm..almeno ti ricordi chi sono. È positivo!" mi risponde.
"Dici? Ok, come vuoi però, ti prego, non parlare con quella voce squillante. Non sono molto in forma. E niente discorsi complicati, non è proprio il momento".
"Ok, come preferisci. Volevo solo farti rendere conto che puoi far smettere tutto questo quando vuoi".
"Si, lo so.. Basterebbe un aspirina, non è che ne hai una per caso?". Le chiedo.
"No, non hai capito. Parlo di tutto questo. Puoi fare quello che vuoi qua dentro, non ci arrivi?".
La guardo dritta negli occhi, con la testa appoggiata su una mano, semisdraiato sul tavolino.
"Beh.. proprio tutto no, non sono così famoso. Si, sono amico del gestore e potrei ballare il charleston sul balcone ma credo che dopo mi butterebbero fuori lo stesso. In ogni caso sicuramente non penso che possa"
"SMETTILA!" Mi interrompe bruscamente alzando la voce e battendo la mano sul tavolo. Un cucchiaino cade a terra, tintinnando rumorosamente nel silenzio attonito dei presenti. Ci sono alcuni secondi di quiete assoluta, poi riprende a parlare.
"Come è possibile che tu non capisca.. non ti sembra strano tutto questo? Guardati intorno, dove sei? Con chi? Perché sei qua e cosa stai facendo? Possibile che tu non te ne renda conto?"
Rimane in silenzio ad osservarmi con aria interrogativa mentre io, appoggiato allo schienale della sedia con le braccia distese sul tavolino, la guardo a bocca semiaperta con gli occhi di chi ha passato una "bella serata" e l'unica cosa a cui riesce a pensare è un letto comodo.
"Eeehh.." Un suono strano esce dalla mia bocca, come se il mio cervello si stesse sforzando per cercare di risponderle. Poi inizio a parlare:
"Senti.. io non lo so cosa vuoi da me ma ti ripeto che questo non è il momento. Se ti ho dato fastidio in qualche modo mi dispiace e cercherò di rimediare, dico davvero. Ma poi,scusa, ma chi diavolo sei? So che ci conosciamo, ricordo di averti già vista da qualche parte, ma non riesco a collegare dove è successo. Eri anche tu al Prime, stanotte? E comunque che significa dove siamo? In un bar!"
Appena finisco di parlare scuote la testa, abbassandola sul tavolo e portandosi le mani sugli occhi per poi strusciarle sul viso mentre alza la testa, con un espressione di rabbia mista a muta rassegnazione. Si guarda intorno mordendosi il labbro inferiore, forse cercando le parole giuste, mentre io la osservo con una faccia da ebete lobotomizzato.
"Sto iniziando a stancarmi di tutto questo.." mi dice.
Chiudo la bocca e cerco di concentrarmi domandandole "Tutto questo cosa? Di cosa stiamo parlando? Ti prego spiegamelo cercando di usare parole semplici.. molto semplici.."
Fissa gli occhi su di me. Ha la tipica espressione di pietà che ho visto negli occhi di alcuni baristi impegnati a servire trentacinque persone contemporaneamente.
"Non posso, te l'ho già detto. Non posso dire niente che tu non vuoi che dica. Sono costretta a parlarti così perché TU vuoi che sia così."
Apro la bocca come per dire qualcosa ma poi la richiudo per riflettere un momento. La guardo dritta negli occhi qualche secondo e poi inizio a parlare con voce profonda:
"Neo.. tu sei solo la proiezione mentale del tuo io digitale adattato a questo piano di esistenza irreale."
Rimango in silenzio mentre lei aggrotta le sopracciglia per poi alzarsi di scatto e colpirmi in faccia con uno schiaffo talmente forte da farmi perdere i sensi.
CIAF!!!
La sua mano si adagia non proprio dolcemente sulla mia guancia producendo un suono secco e pulito, come lo schiocco di una frusta. Faccio in tempo a vedere il braccio prendere la rincorsa e avvicinarsi a gran velocità verso di me.
Poi è solo buio.
Capitolo 9
Loop (inceppato)
Il suono della sveglia mi riporta prepotentemente alla realtà, facendo sobbalzare leggermente sul materasso. Allungo la mano sul comodino per prenderla a pugni e farla smettere, dopodiché tiro via le coperte e rotolo fino al bordo. Sposto le game lasciando che i piedi cadano dolcemente verso il suolo e mi alzo a sedere sul letto.
Mi alzo velocemente causandomi un capogiro che mi fa perdere l'equilibrio. Barcollo per alcuni secondi e poi cado in avanti contro l'armadio a muro, perdendo i sensi.
Il suono della sveglia mi riporta prepotentemente alla realtà, facendo sobbalzare leggermente sul materasso. Allungo la mano sul comodino per prenderla a pugni e farla smettere, dopodiché tiro via le coperte e rotolo fino al bordo. Sposto le game lasciando che i piedi cadano dolcemente verso il suolo e mi alzo a sedere sul letto.
Mi alzo velocemente causandomi un capogiro che mi fa perdere l'equilibrio. Barcollo per alcuni secondi e poi cado in avanti contro l'armadio a muro, perdendo i sensi.
Il suono della sveglia mi riporta prepotentemente alla realtà, facendo sobbalzare leggermente sul materasso. Allungo la mano sul comodino per prenderla a pugni e farla smettere, dopodiché tiro via le coperte e rotolo fino al bordo. Sposto le game lasciando che i piedi cadano dolcemente verso il suolo e mi alzo a sedere sul letto.
Mi alzo velocemente causandomi un capogiro che mi fa perdere l'equilibrio. Barcollo per alcuni secondi e poi cado in avanti contro l'armadio a muro, perdendo i sensi.
Il suono della sveglia mi riporta prepotentemente alla realtà, facendo sobbalzare leggermente sul materasso. Allungo la mano sul comodino per prenderla a pugni e farla smettere, dopodiché tiro via le coperte e rotolo fino al bordo. Sposto le game lasciando che i piedi cadano dolcemente verso il suolo e mi alzo a sedere sul letto.
Mi alzo velocemente causandomi un capogiro che mi fa perdere l'equilibrio. Barcollo per alcuni secondi e poi cado in avanti contro l'armadio a muro, perdendo i sensi.
Riapro gli occhi dopo una buona mezz'ora. Ho la testa dolorante e il braccio informicolito per averci dormito sopra. Cammino mezzo intontito verso la
Il suono della sveglia mi riporta prepotentemente alla realtà, facendo sobbalzare leggermente sul materasso. Allungo la mano sul comodino per prenderla a pugni e farla smettere, dopodiché tiro via le coperte e rotolo fino al bordo. Sposto le game lasciando che i piedi cadano dolcemente verso il suolo e mi alzo a sedere sul letto.
Mi alzo velocemente causandomi un capogiro che mi fa perdere l'equilibrio. Barcollo per alcuni secondi e poi cado in avanti contro l'armadio a muro, perdendo i sensi.
cucina e inizio a prepararmi la colazione, cercando anche di
Il suono della sveglia mi riporta prepotentemente alla realtà, facendo sobbalzare leggermente sul materasso. Allungo la mano sul comodino per prenderla a pugni e farla smettere, dopodiché tiro via le coperte e rotolo fino al bordo. Sposto le game lasciando che i piedi cadano dolcemente verso il suolo e mi alzo a sedere sul letto.
Mi alzo velocemente causandomi un capogiro che mi fa perdere l'equilibrio. Barcollo per alcuni secondi e poi cado in avanti contro l'armadio a muro, perdendo i sensi.
riprendermi e farmi passare il mal di testa.
Metto il caffè sul fuoco e vado in bagno a controllare di non essermi ferito, non si sa mai.
Il suono della sveglia mi riporta prepotentemente alla realtà, facendo sobbalzare leggermente sul materasso. Allungo la mano sul comodino per prenderla a pugni e farla smettere, dopodiché tiro via le coperte e rotolo fino al bordo. Sposto le game lasciando che i piedi cadano dolcemente verso il suolo e mi alzo a sedere sul letto.
Mi alzo velocemente causandomi un capogiro che mi fa perdere l'equilibrio. Barcollo per alcuni secondi e poi cado in avanti contro l'armadio a muro, perdendo i sensi.
Controllo accuratamente che non ci siano graffi, o peggio, di nessun genere o dimensione, dopodiché torno in cucina a rovistare nella dispensa in cerca di qualcosa da mettere sotto i
Il suono della sveglia mi riporta prepotentemente alla realtà, facendo sobbalzare leggermente sul materasso. Allungo la mano sul comodino per prenderla a pugni e farla smettere, dopodiché tiro via le coperte e rotolo fino al bordo. Sposto le game lasciando che i piedi cadano dolcemente verso il suolo e mi alzo a sedere sul letto.
Mi alzo velocemente causandomi un capogiro che mi fa perdere l'equilibrio. Barcollo per alcuni secondi e poi cado in avanti contro l'armadio a muro, perdendo i sensi.
denti.
Guardo la tazzina fumante appoggiata sul tavolo, masticando lentamente uno di quei panini morbidissimi "al latte" che ho sapientemente imbottito con crema di nocciole. C'è qualcosa che non
Il suono della sveglia mi riporta prepotentemente alla realtà, facendo sobbalzare leggermente sul materasso. Allungo la mano sul comodino per prenderla a pugni e farla smettere, dopodiché tiro via le coperte e rotolo fino al bordo. Sposto le game lasciando che i piedi cadano dolcemente verso il suolo e mi alzo a sedere sul letto.
Mi alzo velocemente causandomi un capogiro che mi fa perdere l'equilibrio. Barcollo per alcuni secondi e poi cado in avanti contro l'armadio a muro, perdendo i sensi.
va, in tutto questo. Qualcosa che non torna. Non è il normale stordimento post serata ma qualcosa di diverso, qualcosa che non riesco bene a mettere a fuoco (perdendo i sensi).
Scuoto la testa (perdendo i sensi) e appoggio le mani sul tavol(perdendo i sensi)o.
"Ma che diavolo.." Il suono della sveglia mi riporta prepotentemente alla realtà, facendo sobbalzare leggermente sul materasso. Allungo la mano sul comodino per prenderla a pugni e farla smettere, dopodiché tiro via le coperte e rotolo fino al bordo. Sposto le game lasciando che i piedi cadano dolcemente verso il suolo e mi alzo a sedere sul letto.
Mi alzo velocemente causandomi un capogiro che mi fa perdere l'equilibrio. Barcollo per alcuni secondi e poi cado in avanti contro l'armadio a muro, perdendo i sensi.
Bevo il caffè rimasto e sistemo le stoviglie nel lavandino. Cammino (perdendo i sensi) fino a..
fino a.. fino a.. fino a.. fino.. fiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii
Il fischio del bollitore mi sveglia bruscamente perdendo i sensi che mi alzo per spegnere il fuoco ma brucia. Il fuoco brucia. Aria, mi serve aria, sto sudando perché corro verso la finestra e mi tuffo in acqua.
Dove sono?
Perché?
Chi sono (perdendi o sinse) io?
Il suono della sveglia mi riporta prepotentemente alla realtà, facendo sobbalzare leggermente sul materasso. Allungo la mano sul comodino per prenderla a pugni e farla smettere, dopodiché tiro via le coperte e rotolo fino al bordo. Sposto le game lasciando che i piedi cadano dolcemente verso il suolo e mi alzo a sedere sul letto.
Mi alzo velocemente causandomi un capogiro che mi fa perdere l'equilibrio. Barcollo per alcuni secondi e poi cado in avanti contro l'armadio a muro, perdendo i sensi.
BAASTAAAA!
Urlo a gran voce facendo sparire tutto, ogni cosa, intorno a me. L'unica cosa che rimane è il nulla, un immenso stramaledetto nulla mi circonda cullandomi con il suo bianco candido accogliente e spaventoso allo stesso tempo. Chiudo gli occhi fluttuando come se mi trovassi sott'acqua e lasciandomi trasportare in una qualsiasi direzione che non so indicare.
Bip..
bip..
bip..
bip..
Un piccolo suono mi fa compagnia, tenendomi sveglio. È un suono familiare, che ho già sentito altre volte. Mi da sicurezza
bip.. bip.. bip..
Sorrido, pensando che forse questa vita non è poi così male (i senso perdendi).
Ti voglio bene piccola. No.. non è vero: ti amo.
Capitolo x
Sensation
Il mio cervello si attiva lentamente, dandomi il tempo di abituarmi all'idea di dove sono concentrandomi soprattutto sulla morbidezza del guanciale e il piano accogliente del materasso sotto di me che tocca ogni lembo di pelle lasciato scoperto, solleticandomi i sensi.
La luce, fioca, entra nella stanza dandomi l'idea che lo faccia cercando di non disturbare, lentamente, per svegliarmi con calma riscaldando le mie gambe poco a poco mano mano che si fa sempre più intensa ad ogni ora che passa.
Alzo leggermente le coperte facendo entrare un piccolo getto d'aria che accarezza tutto il corpo e mi rigiro nel letto, portando la schiena sulla parte fresca del letto che percepisco chiaramente non appena sosto lì sopra.
Prendo la coperta per spostarla. È soffice. Le mie dita affondano leggermente sul bordo del lenzuolo non appeno lo stringo per togliermelo di dosso. Mentre lo faccio la mia pelle viene accarezzata dalla leggera pressione che la coperta esercita sulle mie gambe, dopodiché poggio i piedi a terra facendo subito caso al nitido fresco che abbraccia la pianta dei miei arti inferiori causandomi anche un brivido lungo la schiena. Cammino verso la porta di camera, lentamente, portando i piedi uno avanti all'altro senza fretta e gustando quel piacevole fresco che viene dal pavimento prima che il mio corpo si abitui e ricominci a subire i nefasti effetti di una giornata calda e afosa. Arrivato davanti alla porta la osservo facendo caso alla patina plastificata che ricopre il finto legno di cui è composta e alle venature in cui si distinguono diverse tonalità di colori andando a creare un mosaico informe di strisce colorate. Mi avvicino per osservarla meglio, poggiando la mano sulla maniglia. Lo scricchiolio metallico della stessa mi riporta alla realtà ma quello cigoloso della porta rimanda la mia attenzione al finto legno di cui è composta. Ci giro intorno, uscendo dalla stanza e allontanandomi da essa camminando all'indietro finendo a sbattere contro il piccolo mobiletto che si trova in mezzo al corridoio. Inizialmente è solo una piccola pressione sulle natiche poi il rumore, secco, seguito dallo scrosciare affollato di cose che rotolano, sbattono, strusciano e rimbalzano in terra, seguito dal silenzio sordo tipico che si viene a creare dopo un momento di confusione. Rimango immobile fino al momento di massima tranquillità per poi voltarmi, raccogliere tutti gli oggetti, rimettere in ordine e andare verso la cucina, cercando di fare più attenzione.
Il silenzio che mi accompagna mi fa capire di essere solo, abbandonato a me stesso da tutti forse a seguito di qualcosa che ho fatto ma che nessuno mi fa notare impedendomi di migliorare o rimediare. Sento gli occhi inumidirsi cullati da una sensazione dolce e orribile di tristezza depressiva vanificata dal sopraggiungere di un biscotto al cioccolato e dalla ferrea convinzione che non sono stato abbandonato perché sono cattivo ma è cattivo chi mi ha lasciato da solo.
Che vadano a farsi fottere.
Spengo i fornelli, rovesciando il contenuto di moka e teiera nella spazzatura avendo cura di bucherellare prima il sacchetto con uno stecchino da denti.
Rido a piena voce agitando mani e braccia con l'intento di mimare il classico cattivo da cartone animato avviandomi soddisfatto verso il bagno intonando "vincerò" e godendo della mia infantile malvagità, tanto inutile quanto necessaria.
Dopo 15 minuti passati nel bagno a cantare, lavarmi i denti e fare pose plastiche davanti allo specchio studiando bene i movimenti da fare e assolutamente non fare per mascherare il sovrappeso torno in camera fischiettando. Mi fermo davanti alla porta che, a quanto ho capito, ha un potere ipnotico su di me. Rimango perplesso sul da farsi per qualche minuto, poi allungo una mano verso di essa. Le mie dita scivolano sulla patina che la ricopre producendo un fruscio caldo e, a tratti, dei piccoli fischi soprattutto quando decido di fare più pressione. Avvicino la faccia alla porta aggrottando le sopracciglia, chiedendomi che sapore potrà mai avere una porta. Un pensiero che mi accompagnerà per poco tempo, considerando che ho intenzione di scoprirlo subito.
Apro la bocca avvicinando la lingua a quella similtavola di un materiale scadente che ricorda vagamente il legno, ma solo per il colore, appoggiando le mani sugli infissi incastonati nella parete. La punta della mia lingua tocca la porta e sento chiaramente il gusto di niente arrivarmi al cervello dai recettori posti sulla mia lingua. La sposto strusciandola verso l'alto. Una sensazione di disgusto mi pervade facendomi rabbrividire. Scuoto la testa chiedendomi cosa diavolo sto facendo e subito dopo mi avvicino alla porta in modo passionale, come fosse una donna stupenda. Poggio le mie labbra su quella patina plasticosa sicuramente satura di sporco facendo anche pressione con le mani, come per abbracciarla, dimenticando che la porta è aperta. Si apre all'improvviso, sotto il peso del mio corpo, facendomi perdere l'equilibrio e cadere rovinosamente a terra capitombolando verso l'armadio che colpisco con, nell'ordine, testa, spalla, schiena, natiche, tallone e pianta del piede rigirandomi su me stesso in una capriola sul posto.
Torno in piedi dolorante iniziando a ridere al pensiero di essere stato "centrifugato" da una porta.
"Wow! Tu si che sai ballare dolcezza!" le dico.
Poi mi dirigo imprecando verso il bagno per farmi una doccia.
Mentre aspetto che l'acqua sia bollente poggio le mani sul lavandino, guardandomi allo specchio. Dopo poco tempo il vapore ricopre il vetro, complice anche il fatto che il bagno è senza finestre. Tolgo una striscia di condensa con la mano, giusto quello che serve per guardarmi negli occhi e dire a me stesso che vorrei cavalcarmi come una giumenta, dopodiché regolo la temperatura dell'acqua e vado sotto la doccia. La prima impressione è quella di essere pungolato da una miriade di bastoncini che appaiono e scompaiono ripetutamente provocando una leggera pressione su determinati punti della mia pelle a seconda di come mi muovo. Un abbraccio di calore mi stringe forte a se mentre l'inebriante vapore profumato dal sapone di cui sono cosparso mi stordisce benevolmente elevando i miei sensi ad un piano eterico superiore alla realtà. Proprio come quando mangi una patata arrosto croccante ma morbida, sapientemente condita e salata al punto giusto, con possibilmente del sughetto di arrosto colato sopra. I morsi della fame colpiscono la parte ombelicale del mio corpo costringendomi a cambiare il soggetto dei miei pensieri. Basta pensare alla patata! Troviamo qualcosa che non mi faccia venir fame.
Concentro la mia attenzione sui piedi, prima osservandoli mentre sono immersi nell'acqua bollente poi chiudendo gli occhi e alzando la testa verso il getto d'acqua. Lo scroscio uniforme delle gocce mi accarezza il collo creando in seguito dei piccoli rigoli d'acqua che attraversano la mia pelle a media velocità fino ad arrivare ai piedi, dove si fondono insieme a milioni di loro simili andando a creare un piccolo bacino di acqua calda che ricopre interamente i miei piedi. Tutto questo, unito al profumo incessante dei saponi da bagno, fa di me un perfetto esempio di relax. I miei nervi si distendono ed in alcuni momenti ho persino l'impressione di svenire, inebriato da questo momento di completo godimento trascendentale esente da futilità quali possano essere vile denaro, inutile sesso o volgarità simili. È qualcosa di magico che non tornerà tanto presto e ho deciso di godermelo fino in fondo.
"AAAAAAAAAAAAAAAAARRRRRGH!!!"
Un getto improvviso di acqua fredda mi colpisce alla schiena facendomi gridare come un pazzo. Sento urlare scusa fuori dal bagno. Impreco pesantemente e a gran voce reiterate volte maledicendo lui e la sua genia fino alla decima generazione. Esco dalla doccia furioso iniziando a calmarmi solo dopo essermi messo l'accappatoio. La stoffa tiepida mi accoglie nel suo lanoso e tenero abbraccio facendomi ricordare che non è bello arrabbiarsi per stupidaggini, anche se chi apre l'acqua quando qualcuno è sotto la doccia meriterebbe di essere ghigliottinato.
Accendo la ventola per far uscire il vapore e prendo un asciugamano con cui ripulisco lo specchio dalla condensa. Impiego qualche minuto per riuscire a toglierla dal vetro senza che si riformi immediatamente, come a prendermi in giro. Certo, se avessi un po' di cervello aprirei la porta per far defluire il vapore e ovviare al problema.
"Se l'avrebbi lo facessi.." Dico a me stesso, ridendo.
Stringo bene la cordicella intorno alla vita e sfilo le braccia dalle maniche, rimanendo a torso nudo, dopodiché prendo la schiuma da barba per radermi e darmi un aspetto presentabile. Premo sul tappo a pressione facendo fuoriuscire una dose eccessiva di schiuma. Il rumore è sibiloso e denso allo stesso tempo. La schiuma appare quasi magicamente sulla mia mano gonfiandosi a dismisura in pochi millesimi di secondo aumentando l'impatto visivo di quel candore bianco di cui è composta. Appoggio il barattolo e chiudo la schiuma nelle mie mani aprendole e chiudendole lentamente come se stessi suonando una fisarmonica. Le avvicino per un'ultima volta prima di accarezzarmi il viso cospargendolo di freschezza formato schiuma, avendo cura di massaggiare ogni parte che dovrò radermi onde evitare l'insorgere di quelle fastidiose irritazioni tipiche, soprattutto quando si ha una stramaledetta pelle sensibile come la mia.
Stupida pelle.
Pulisco le mani dalla schiuma in eccesso aprendo l'acqua calda, per portarmi avanti con il lavoro di restauro del mio viso. Prendo il rasoio dalla borsetta tieni tutto che mi porto sempre dietro quando vado in vacanza e lo passo sotto il getto del lavandino. Mi guardo allo specchio un ultima volta per controllare che la schiuma sia uniforme, ed anche per prendere le misure, quindi avvicino il rasoio alla guancia destra lisciando poco a poco la mia pelle ricoperta di dura, inspida, peluria. Ad ogni passata il sottile velo bianco sparisce lasciando dietro di se sottili strisce di rosa corporeo "sporcate" qua e là da puntini di nero barboso che spariscono alla seconda passata cedendo, infine, alle taglienti lame del rasoio che avanza incurante di tutto quello che trova sulla sua strada.
Passo lentamente il falciapeli sotto il mento godendo del leggero sfrigolio che sento, segno che uno ad uno cadono gli ultimi residui di un passato lontano che imperterrito continua a tornare cercando di darsi un contegno in tempi che ormai non richiedono la sua presenza. Una volta babbo mi ha insegnato che la barba, per essere ben fatta, deve essere eseguita pelo e contropelo ma non mi ha mai detto (ed io mi sono guardato bene dal chiederglielo) se devi rimettere la schiuma oppure no. Io ho sempre fatto il contropelo senza schiuma ed è sempre andata bene, quindi credo che continuerò a fare così, però ogni tornato torno a pensarci giusto per avere qualcosa a cui pensare di rilassante e starmene imbambolato davanti allo specchio mentre il mio corpo fa il resto per inerzia di movimenti ripetuti mille volte e quindi conosciuti. Ogni tanto mi alzo il mento con l'altra mano, proprio come fossi il barbiere di me stesso. Ci manca solo che mi discuta le notizie lette sul giornale. Un pensiero mi balena in testa: "Potrei leggermi una rivista. Hmm... No, meglio di no."
Una volta finito di radermi cospargo le mie mani di dopobarba fermandomi un secondo prima di metterlo sulla faccia per prendere un bel respiro profondo. So bene cosa succederà una volta che avrò toccato il mio viso con quel liquido incolore e voglio essere pronto.
Inspiro profondamente ed avvicino quasi di scatto le mani al volto, strusciandole non troppo velocemente, avendo cura di cospargermi ogni millimetro quadrato di pelle. La sensazione è quella di essere punto da una miriade di spilli mentre qualcuno ti tira la pelle della mascella da dietro la testa ed è tanto intensa quanto improvvisa. Poi smette, semplicemente.
Odio farmi la barba.
Appoggio le mani sul piano del lavandino. È freddo.
Il mio sguardo si focalizza sul piccolo rigagnolo che si è venuto a formare nello scarico dove le ultime rimanenze dell'acqua disegnano una piccola spirale intorno al tappo, appena rialzato quel tanto che basta per far defluire i residui di una battaglia vinta dal rasoio con l'aiuto del suo valido alleato: la schiuma.
Apro di nuovo il rubinetto per togliere quello che ancora permane nel lavandino avendo cura di restituire il candore alla piccola conca bianca per darle un bell'aspetto ed evitare rimproveri da parte degli altri.
Lavo le mani con il sapone per togliermi l'olioso sterile odore del dopobarba. La saponetta scivola fra le mie mani in un gioco di passaggi tra le dita in cui mi perdo con gli occhi seguendo i movimenti scivolosamente sinuosi di quella appendice artificiale che in questo momento ha una vita propria e sembra stare al gioco saponoso a cui è stata invitata, seppure contro la sua volontà.
Premo troppo forte e mi cade da sotto le mani, trovando un giaciglio temporaneo nel lavandino. Passo le mani sotto l'acqua e raccolgo la saponetta. La osservo.
Spinto dalla curiosità e da un irrefrenabile istinto suicida tiro fuori la lingua passandola su quella che credo sia la parte superiore della suddetta. La sensazione di disgusto raggiunge un nuovo livello sulla mia scala della schifosità non appena finisco il mio test e riporto la lingua in bocca ma quello che viene dopo è peggio. Deglutisco istintivamente e una parte di liquido composto da bava, acqua e sapone raggiunge la mia gola avendo cura, prima, di accarezzare buona parte dell'interno della bocca facendo impazzire ogni tipo di recettore che inizia ad inviare al mio cervello informazioni estremamente forti, pungenti, dannose. Questo, unito al fatto che la mia gola è in fiamme e al sapore di mandorle che sento ad ogni respiro che faccio, fanno di me un lama sputazzante. Passo almeno 5 minuti a bere acqua per lavarmi la bocca e a fare i gargarismi per togliermi dalla gola il sapore di sapone. Quando finalmente sono riuscito a togliermi dal naso le ultime bollicine di sapone guardo il mio riflesso nello specchio indicandomi.
"Ti rimane solo un ultima cosa da fare.."
Poi abbasso lo sguardo verso il lavandino focalizzandolo verso l'oggetto che mi interessa.
Avvicino la mano al rasoio, cingendolo con forza e portandolo di fronte a me per poi appoggiarlo di nuovo sul lavandino. Lo guardo, studiandolo.
Mordo il labbro inferiore, prendo di nuovo il rasoio in mano e lo avvicino alla bocca. Le lame sembrano brillare sotto la debole luce del bagno, mentre il rumore sordo della ventola ci fa da sottofondo musicale e l'atmosfera è resa interessante dall'odore di aria calda mescolato a sapone da doccia e dopobarba.
Non so perché lo sto facendo. Forse è solo mera curiosità, forse sono solo un grosso imbecille ma so che se non lo farò non riuscirò ad essere in pace con me stesso e quindi procedo.
"Sia fatta la mia volontà.." dico a me stesso, chiudendo gli occhi e avvicinando il rasoio alla mia lingua.
All'ospedale mi hanno sistemato in ortopedia. Devo rimanere in osservazione un giorno per aver perso molto sangue e per essermi fatto male cadendo in bagno.
Nella stanza dove mi hanno messo ci sono un ragazzo con un braccio rotto, un signore anziano che dorme spesso, molto spesso, ed un letto vuoto. Io sono vicino alla finestra. Almeno qualcosa va per il verso giusto. Le ore passate qua dentro sono interminabili e non posso nemmeno ovviarle con una buona conversazione visto che ho la bocca fasciata e l'unica alternativa che ho è ascoltare qualcuno o andare nel "salottino" a guardare la tv. Non sarebbe poi neanche un idea malvagia se non fosse che è stata sequestrata dagli anziani e gli unici programmi disponibili sono perfino più noiosi di questo soffitto giallognolo.
Mentre sono intento a giochicchiare con la flebo, e dopo aver provato a premere tutti i bottoni che ho intorno per sapere a cosa servono, ecco che entra una mia vecchia conoscenza.
"Ciao.." Mi saluta entrando a passo leggero nella stanza.
"Heilà!" Le rispondo "Mi chiedevo quando ti saresti fatta viva."
Mi guarda sorpresa annuendo.
"Dunque ti ricordi chi sono.. è già qualcosa."
"Ricordarmi chi sei è una frase impegnativa. So solo di averti già vista e che hai qualcosa a che fare con il motivo per cui sono qui."
"Sei qui perché hai baciato un rasoio." mi dice.
"Già.. è vero.." Annuisco, abbassando lo sguardo verso la coperta. "Ma spiegami una cosa: come fai a saperlo? Voglio dire, io ho detto agli infermieri che ho avuto un piccolo incidente domestico e nella caduta mi sono morso la lingua. Come puoi tu sapere cosa è successo in realtà?"
Le chiedo, guardandola con aria interrogativa e un po' con tono accusatorio.
Sorride.
"Siamo ancora lontani dalla realtà a quanto pare."
"Cioè?" le chiedo.
"Cioè, amico mio, stiamo parlando da una decina di minuti e ancora non ti sei accorto che la tua lingua è a posto e non hai nemmeno più le bende in faccia."
Porto le mani al viso, toccandomi freneticamente.
"Io.. io non.." Balbetto.
"Tu non hai ancora capito niente e non sai nemmeno dove ti trovi. Quanto ancora hai intenzione di fingere? Guardati intorno, non sei in ospedale! Non hai la benché minima idea di dove ti trovi?"
Sposto l'attenzione dai suoi occhi guardandomi intorno. Sono in piedi in mezzo ad un campo erboso. Percepisco chiaramente la nuda terra mista a filamenti più o meno grossolani di radici ed erba premermi sotto le piante dei piedi, l'umido della rugiada li bagna sopra ed il leggero venticello del mattino mi soffia addosso sventolando la maglietta di tre taglie più grande che porto indosso. Faccio qualche passo in direzione di lei che se ne sta immobile a fissarmi, con le braccia incrociate di chi si aspetta qualcosa. I pantaloni iniziano ad inumidirsi verso la base causandomi qualche brivido di freddo quando, nello spostarsi, toccano le mie caviglie.
Dei piccoli animaletti camminano saltellano allegramente sui miei piedi, solleticando i mie sensi, mentre avanzo guardando a terra per cercare di non calpestarli.
Solo quando noto che le sue scarpe sono vicine ai miei piedi mi fermo ed alzo lo sguardo. Le sorrido, piegando la testa di lato e apro la bocca per rivolgerle parola.
Prima che riesca a dire qualcosa, però, lei mi trapassa il petto con una spada affondando la lama fino a metà, restando poi immobile a guardare le sue mani che stringono l'impugnatura.
Inizialmente è solo una forte pressione sul petto, poi il dolore si fa strada improvviso e acuto mandando in tilt il mio cervello. Adesso la sensazione è atroce. Ho un corpo estraneo dentro di me che mi opprime togliendomi il fiato, causandomi fitte dolorose in tutto il corpo che a stento si regge in piedi. In bocca ho il sapore dolce del sangue mescolato con l'aroma del metallo che si fondono insieme creando una sincronia di fredda morte e vita. Il mio corpo in questo momento è il centro dell'universo, dove una spirale di sangue caldo cinge a se una inanimata fredda lama di acciaio cercando di aggredirla o, forse, solo di renderla partecipe in senso positivo alla vita tentando di darle una possibilità rendendola viva e cosciente di se stessa.
Tutto inutile. Un lento piccolo fiume rossastro cola copiosamente sulla lama andando a sporcare le mani alla ragazza che in questo momento ha lasciato l'impugnatura, si è voltata e sta andandosene senza dire niente. Le gambe mi tremano, cedendo sotto il peso del mio corpo ormai stanco. Il sangue ha iniziato a defluire anche dagli angoli della mia bocca disegnandomi una macabra maschera di morte sulla faccia. Gli occhi, da cui sgorgano lacrime di dolore, si fanno lividi rimanendo tuttavia completamente aperti ad osservare il cielo, la testa reclinata all'indietro e le mani stringono a se quella lama inerte ed indifferente alla vita. La ragazza si allontana sempre di più, passo dopo passo, intonando una nenia lenta a voce sommessa che crea una perfetta e terribile atmosfera di decadimento biologico lento e doloroso accompagnato da una dolce ninna nanna di morte.
Sorrido a denti stretti, mugugnando le parole di quella dolce canzone che arriva alle mie orecchie, con il sangue che si ammassa nella bocca ed esplode a tratti uscendo fuori tutto insieme. Abbasso lo sguardo verso la spada, brandendola con forza e sfilando la lama dal petto. La sensazione è anche peggiore di quando è stata inserita.
Vorrei urlare dal dolore o, quantomeno, perdere i sensi e farla finita in fretta ma l'unica cosa che riesco a fare e osservare la lama intrisa del mio sangue gocciolare sulla nuda terra con gli occhi di un pazzo e il sorriso a denti stretti di chi ha perso completamente la ragione ricoperto di sangue. Mi alzo a fatica facendo leva con la spada e muovo qualche passo verso quella megera che mi ha colpito a tradimento.
"N.. Non.. Non oggi.." Parlo a fatica mentre mi muovo trascinando la spada dietro di me. Il cielo sembra mandare segnali di sventura tuonando e minacciando di lasciar cadere il suo carico di acqua sopra di noi mostrandosi nero e lampante. Il vento soffia con forza quasi sorreggendomi.
Sono davanti a lei, adesso. Ci guardiamo negli occhi per alcuni secondi.
"Per.. chè?" Le domando a fatica.
"Perché ti odio. Ti odio con tutte le mie forze. Sei un debole, inutile e ti lasci abbattere dalle prime difficoltà che trovi. Sei egoista e superbo, vanaglorioso bastardo."
Sollevo la spada sopra la mia testa brandendola con tutte e due le mani per poi scagliarla con forza verso di lei.
"AAAAAAAAAAARGH!!!"
Prima che il mio colpo possa arrivare a colpirla si sposta di lato vanificando il mio tentativo di ucciderla e ruota su se stessa in una perfetta meravigliosa piroetta mortale che va a concludersi con un pugnale conficcato nella mia schiena.
Due pugnali.
Tre pugnali.
Quattro.
Cinque.
Lascio andare la spada e cado a terra, in ginocchio.
"Ma dove.." le chiedo con l'ultimo filo di voce che mi è rimasto.
"Dove cavolo le tieni tutte queste armi?"
Poi cado in avanti, con la faccia riversa sull'erba bagnata. Non mi ero accorto che stesse piovendo.
Le gocce mi colpiscono una dopo l'altra, mescolandosi al sangue e alle lacrime, coprendomi come fossero un unico grande lenzuolo ed io fossi semplicemente un bambino sdraiato nella sua culla a dormire, accudito dalla mano benevole di mamma.
Dopo questo chiudo gli occhi ed è solo buio, nulla più.
Capitolo 11
Presa di coscienza
Apro gli occhi ritrovandomi raggomitolato nel letto come un bambino dentro la sacca amniotica. Le ginocchia portate al petto, con le caviglie che si incrociano e la schiena curva a formare un semicerchio che conclude la sua linea sulla testa, ripiegata su se stessa verso il petto dove le mani sembrano cercare qualcosa mentre stringono a se la pelle ed il piccolo ciondolo che si trovano al centro.
Distendo le gambe appoggiandomi di schiena sul letto, contemplo il soffitto riflettendo su cosa dovevo ricordarmi di fare oggi. Ho qualcosa da fare ma non ricordo di cosa si tratta.
Giro la testa di lato, posando lo sguardo sul piccolo armadio che si trova vicino a letto.
"L'armadio!" Sposto le coperte, mi alzo in tutta fretta poggiando i piedi sul pavimento freddo e mi avvicino alla maniglia ma prima che riesca a toccarla mi blocco. Rimango fermo ad osservare la mia mano tremante immobilizzata proprio davanti alla maniglia dell'armadio mentre qualche goccia di sudore si è formata sulla mia fronte. Un mix di terrore e curiosità mi solletica la nuca mentre cerco con tutte le forze di andare fino in fondo e aprire questa stramaledetta porta.
Le dita della mano destra abbracciano la piccola asticella di legno e la stringono forte mentre anche l'altra mano si avvicina per occuparsi dell'altra. Prendo un respiro profondo ed apro le due ante lentamente, senza fermarmi fino a quando l'armadio non è completamente aperto. Alla vista di quello che mi si para davanti rimango sorpreso ma allo stesso non posso fare a meno di sentirmi soddisfatto. Armi, tante, tantissime armi tutte da taglio o da lancio. Sullo sfondo spade di ogni tipo e misura mentre ai lati pugnali di ogni tipo, grandezza o peso oltre a piccoli attrezzi di vario genere e vestiti adattati con tasche e taschini per trasportare il maggior numero di armi.
"Non sei ancora pronto.." Una voce arriva dalla porta della stanza, alla mia sinistra. Non me ne curo e continuo ad osservare questo museo della morte bianca, provando il peso di alcuni pugnali mentre indosso i vestiti che ho trovato qui dentro.
"Mi hai sentito?" Mi chiede con voce ferma, dura, avvicinandosi a me di qualche passo.
Fisso lo sguardo dentro l'armadio.
"Si." Gli rispondo, voltandomi di scatto mentre lancio uno dei pugnali verso di lui che scansa senza troppi problemi, pur rimanendo sorpreso. Lo aggredisco mentre è distratto dal pugnale prendendolo per il collo e lanciandolo contro il muro per ritrovarmi faccia a faccia con lui che adesso ha la lama di un coltello, di un mio coltello, puntata alla gola.
"Dici che adesso sono pronto?" Gli chiedo.
"Non.. non ce la farai.. Lo sai bene. Non puoi uccidere te stess.. aaaagh!"
Un secondo prima che possa finire la frase una lama gli attraversa il petto spuntando dalla parete. Faccio in tempo a lanciarmi indietro prima che possa colpire anche me. È lei, nell'altra stanza. Ha approfittato dei muri di cartongesso per eseguire il suo sporco lavoro senza mostrarsi ma le è andata male. Recupero qualche pugnale finendo di sistemarmi e la spada con cui sento di avere maggiore feeling per poi precipitarmi fuori dalla stanza. Faccio in tempo a vederla mentre si arrampica sul muretto di cinta in giardino per scappare. Si volta a guardarmi e sorride, lasciandosi cadere oltre il muro.
Stringo con forza la fodera della spada nella mia mano, prendo fiato e corro con quanta più velocità possa raggiungere. Scavalco il muretto e con mia grande sorpresa noto che lei si è fermata ad aspettarmi. Sta passeggiando in mezzo alla strada con la spada appoggiata su una spalla ed una mano sul fianco proprio come se niente fosse. Me la prendo comoda a scendere, appoggiando i piedi prima ad una panchina e poi a terra evitando di lanciarmi andando poi a sistemarmi in mezzo alla strada a qualche metro da lei. Siamo in mezzo a una strada principale, circondata da palazzi ed alberi ornamentali ai lati e questo è normale. Peccato che sia un deserto e non ci sia una sola persona o una macchina in giro.
Sguaino la mia Durlindana e la punto verso di lei, che continua a fissarmi sorridendo e masticando una gomma rumorosamente. Un motivo in più per ucciderla come se già che ne fossero pochi.
Poi inizio, stanco di aspettare.
"Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa...!"
Mi lancio verso di lei con furia inaudita agitando la spada, colpendo il vuoto intorno a lei che continua a spostarsi senza degnarsi di rispondere all'attacco o di parare i miei colpi. Potrei offendermi.
Affondo la mia lama in quello che potrebbe essere il suo cuore ma, in realtà, lei è viva e vegeta ed è piegata sulle ginocchia davanti a me per aver scansato il colpo. Sorride ancora, mentre scatta verso di me impugnando l'arma la cui lama mi porta via buona parte di pelle quando si libra verso l'alto accarezzando il mio corpo al suo passaggio. L'aria si riempie di un pulviscolo scarlatto e tutto sembra fermarsi per qualche attimo mentre lei se ne sta ferma a fissarmi, con la lama puntata verso di me che mi ritrovo stregato da quegli occhi attenti e bramosi di nuovo sangue. Indietreggio di qualche passo chinando all'indietro le spalle con una smorfia di dolore sulla bocca serrata, a denti stretti, quasi a voler ricambiare il sorriso. Osservo la mia ferita, abbassando lo sguardo verso il petto, a sinistra. La prima cosa che noto è che si tratta di un taglio profondo quel tanto che basta per farmi sentire dolore ma non per uccidermi. Non so perché mi abbia risparmiato ma è logico pensare che sia così o questa ferita non avrebbe senso. È poco più di un graffio.
Focalizzo di nuovo la mia attenzione su di lei. Un attacco frontale e furioso non è la soluzione migliore. Forse è questo che ha voluto farmi comprendere, si è trattata di una punizione esemplare per essermi comportato come un principiante, certo. Il problema però è che io lo sono, un principiante, anche se a dire la verità non ho nemmeno idea di cosa ci faccia qui ora, con un spada in mano a combattere con una perfetta sconosciuta.
Di colpo mi rendo conto di cosa sta succedendo e abbasso la spada guardandomi intorno.
"Ma che.. andiamo, cosa stiamo facendo?" Le chiedo, ridendo e poggiando la spada a terra.
Per tutta risposta lei china la testa di lato e si lancia su di me, senza un grido, un suono, niente.
Solo il rumore dei passi che si avvicinano a gran velocità.
Recupero la spada in fretta frapponendola tra me e la sua arma. Le due lame si colpiscono producendo un suono metallico secco ed improvviso che dura solo un millesimo di secondo per poi lasciare spazio ad uno stridio sommesso e, a tratti, acuto. Ci ritroviamo faccia a faccia lei, imperturbabile, ed io che stringo i denti nel cercare di tenerla a bada. La sospingo via facendo leva sulle gambe, allontanandola quel tanto che basta per darmi il tempo di riprendere fiato e concentrarmi. Si lancia di nuovo su di me trovandomi pronto a respingere i suoi colpi.
Uno.
Due.
Tre.
Le nostre spade continuano a toccarsi dandosi piccoli baci metallici, in una danza di morte che porta con se l'ineluttabile destino di uno di noi due. (quattro, cinque). Non so come siamo giunti a questo, non so come siamo finiti così e a dirla tutta non so nemmeno (sei!) chi è lei ma so che adesso è tardi per i ripensamenti o per pensare ad altro. (sette, otto, nove). Devo concentrarmi, devo stare attento. Un solo errore e mi ritrovo a suonare l'arpa su una nuvoletta. (dieci,undici, dodici!)
Riesco a deviare un fendente facendo conficcare la sua spada su di un albero sognando già di approfittarne se non fosse che purtroppo il mio tallone colpisce il marciapiede facendomi perdere l'equilibrio. Cado atterrando di schiena.
"Ouch.."
Mi occorre qualche secondo per riprendermi e rotolare di lato velocemente vanificando il suo tentativo di colpirmi mentre sono a terra. Torno in piedi incrociando quasi immediatamente di nuovo la mia spada contro la sua con la differenza sostanziale che questa volta la colpisco al volto con la nuca facendola indietreggiare di qualche passo. La guardo che cerca di riprendere l'equilibrio, calibrando il colpo che sto per sferrarle mentre cammino lentamente verso di lei. Faccio un piccolo scatto puntando i piedi a terra librando un colpo di taglio, in diagonale dal basso verso l'alto alla mia sinistra, con tutte e due le mani.
"Aaaah!" Grida, lasciandosi cadere a terra con una mezza piroetta in direzione della lama, rimasta a mezz'aria ad osservare la scena mentre un filo di sangue scorre sinuoso verso l'alto disegnando un semicerchio accompagnato da una piccola ciocca di capelli neri.
Due gocce di liquido rossastro cadono dalla punta della lama andando a colpire il catrame di cui è formato la strada. Rilasso i muscoli e abbasso la spada, avvicinandomi a lei che se ne sta distesa a terra con il viso riverso sulla strada.
Lascio cadere l'arma, ormai inutile, per poi inginocchiarmi accanto a lei, a quel corpicino che adesso sembra così fragile ed indifeso.
Le sposto i capelli dal viso, quasi accarezzandola, continuando a tenere lo sguardo fisso su di lei. Cerco di girarla con l'intento di prenderla in braccio e portarla via in segno di rispetto. Non posso certo abbandonarla qui.
Prima di farlo però recupero la sua spada rimettendola al suo posto nel fodero, dopodiché sistemo un braccio vicino a lei e con l'altra mano faccio leva sulla spalla opposta a dove mi trovo per "caricarmela" in braccio e portarl..
"AH!"
Una fitta atroce mi prende a lato dello stomaco. Prima ancora di sapere cosa è successo già lo comprendo.
Abbasso lo sguardo ritrovandomi faccia a faccia con lei, maledetta assassina di professione.
"V.. vigliacca.." Le dico, indietreggiando. Sfilo il pugnale e lo lascio cadere a terra. Questo ferita è seria, non come l'altra.
"Sai che non puoi battermi" mi dice " Ma devo farti i miei complimenti. Il colpo che mi hai dato era perfetto. Un centimetro più avanti e mi avresti sicuramente uccisa."
Respiro a fatica ascoltando solo in parte quello che mi sta dicendo.
"Ma guardati. Una ferita da niente e già sei a terra agonizzante." Mi parla, sorridendo ironicamente, poi la sua faccia si fa scura e la voce si abbassa
"Mi fai pena.."
"Devi dirmi chi sei.." le dico, mentre mi rialzo a fatica da terra.
Lei si volta a guardarmi senza lasciar trasparire una sola emozione e parla con voce calma.
"Io non ti devo proprio niente." Poi sguaina la spada tornando verso di me. "Sei tu, che mi devi la vita!" Queste sono le ultime parole che sento prima di vedermela correre incontro brandendo l'arma con tutte e due le mani, gli occhi fissi su di me come la fiera che punta una preda, il respiro calmo di chi sa esattamente cosa fare.
E lo so anch'io.
Mi colpisce con forza, trapassandomi il petto ed alzandomi leggermente da terra. Mentre vedo il mio sangue nebulizzarsi tutto intorno e la lama continuare la sua corsa nel mio corpo non posso fare a meno di pensare che avrei voluto tanto una morte diversa o, quantomeno, avrei voluto provare ad essere padre prima di saltare il baratro.
Quando i miei piedi poggiano di nuovo a terra approfitto di un ultimo secondo di lucidità per afferrarla alla gola, sfilare uno dei pugnali che ho indosso e colpirla con un unico colpo potente, mortalmente preciso e tanto inaspettato da lasciarla sorpresa.
"Non.. non te lo aspettavi.. vero?" Questa è l'ultima domanda che riesco a farle prima di perdere i sensi, accasciandomi sulle sue gambe, ma per un motivo che non capirò mai continuo a sentire chiaramente le sue parole.
"Povero stupido.. Hai solo ucciso te stesso.." Le lacrime le rigano il viso, mentre accarezza la mia testa continuando a parlare. "E non te rendi nemmeno conto.. Oltre.. Oltre a non sapere nemmeno chi sei.."
Questa è l'ultima frase che riesce a pronunciare prima di lasciarsi cadere a terra, stremata, senza vita. Dopodiché le tenebre avvolgono ogni cosa, spegnendo la debole luce rimasta del crepuscolo vitale che ha resistito accanto a lei fino ad ora.
Chiude gli occhi ed è solo buio.
Capitolo 12
Suoni
Bip..
Bip..
Bip..
Un suono ritmico mi riporta alla realtà. Credo sia quella maledetta sveglia.
Non me ne curo, rimanendo disteso sul letto con la faccia rivolta verso il soffitto a contemplare i miei sogni. La stanza è completamente buia, senza nemmeno un filo di luce che possa permettere ai miei occhi di abituarsi e rendersi perlomeno conto delle ombre. Non ho voglia di muovere un solo muscolo, di alzarmi, parlare o desiderare di vedere la realtà.
Bip..
Bip..
Il piccolo suono continua a farmi compagnia (bip..) mentre rifletto sulla mia (bip..) accidia galoppante (bip..) contornata da un nulla assoluto di (bip..) rumori o cose da vedere (bip..). Ci sono tante belle cose (bip..) la fuori, da vedere, toccare (bip..), odorare perché no, persone con cui parlare (bip..), da conoscere e perfino arrivare ad amare.
Bip..
Bip..
Bip..
Alterno momenti di lucidità ad attimi in cui il tempo sembra scorrere così veloce da essere appena percepito. Alcuni rumori si mescolano a caso con il ritmico piccolo suono che continua a farmi compagnia mantenendo i miei pensieri in una specie di trance emotiva e rendendomi incapace di dare un senso a tutto quello che ho intorno, impedendomi anche di dormire profondamente o concentrarmi su qualcosa in particolare.
È una bella sensazione, come se finalmente fossi riuscito ad ottenere la tanto ricercata pace interiore che da parecchio tempo non mi faceva compagnia.
Bip..
Eppure c'è ancora qualcosa che
bip..
qualcosa che non va. Ho un (bip..) qualcosa che (bip..) mi provoca (bip..) un dolore crescente (bip..) al volto (bip..) e (bip..) aumenta (bip..) ogni secondo (bip..) che passa (bip..). Ho caldo(bip..) non (bip..) respiro (bip..) bene (bip..).
Bip bip bip bip bip bip bip bip bipbipbipbipbipbipbipbipbipbipbipbip..
Bip..
Bip..
Bip..
Ecco, ora sto meglio.
È bastato che pensassi a te.
Bip.
Capitolo 13
Specchio
Apro gli occhi.
Mi guardo intorno rendendomi subito conto che mi trovo nella mia stanza. Si, insomma, mia per modo di dire visto che la casa è in affitto. Una luce tenue si affaccia dalla finestra, eludendo i piccoli buchi del rotolante, dando colore alle cose e ristabilendo le distanze dei vari oggetti senza lasciar spazio all'immaginazione. Rimango per qualche minuto a guardare il soffitto, poi scosto la coperta per il caldo e mi porto a sedere sul materasso, con le gambe incrociate, chinando la testa in avanti verso il petto mentre tengo le mani avvinghiate ai piedi, rimanendo dunque in questa posizione per qualche secondo, giusto per dare il tempo al mio cervello di riprendersi. Ho la testa dolorante, come fosse una pignatta presa a bastonate durante un diciottesimo.
Perché un diciottesimo?
Per rendere l'idea della veemenza con cui sono stati inferti i colpi dai presenti.
Alzo la testa e mi guardo intorno cercando di capire con chi sto parlando ma trovo solo il mio riflesso nello specchio dell'armadio ad osservarmi alla mia destra. Stupido specchio che..
“AH!” grido, buttandomi di lato verso sinistra. Sgrano gli occhi per guardare meglio verso lo specchio, dove un secondo fa ho visto me stesso dietro di me che sorridevo come un pazzo mostrando i denti, con gli occhi di un falco che punta la preda.
“Woah..” Cerco di calmarmi convincendomi che forse cinque birre sono più che sufficienti per passare una serata in compagnia, senza strafare e non avere ripercussioni la mattina dopo.
Poi un barlume di lucidità si impossessa di me.
“E se fosse colpa di “Barba”? Di solito è lui che si diverte a metterti aggiunte nelle bevute..” Penso “ E giuro su qualsiasi cosa che se lo ha fatto anche con me gli spezzo le gambe.”
Cerco i vestiti sparsi per la stanza, trovando anche un reggiseno che dubito fortemente essere mio, senza mai guardare lo specchio per non ripetere la scena di prima. Pur di non incrociare lo sguardo con me stesso quando mi trovo davanti all'armadio mi vesto senza voltarmi, dando le spalle allo specchio. Inforco i pantaloni mantenendomi in equilibrio prima su di un piede, poi sull'altro, dopodiché mi chino a raccogliere la maglietta ma mentre faccio per indossarla due mani spuntano da dietro agguantandomi per il petto ed il collo e tirandomi verso l'armadio.
Una sensazione di terrore misto a stupore mi satura i sensi mentre i bracci di qualcuno alle mie spalle si serrano sul mio corpo togliendomi a tratti il respiro ed immobilizzandomi sul freddo vetro alle mie spalle.
“Torna in te!” La figura alle mie spalle mi parla. “Devi tornare in te, maledizione! Non resisto più qui dentro. Quanto hai intenzione di continuare con questa farsa? Quanto?!”
La sua voce è rabbiosa. Per quanto mi sforzi di muovermi sono semi paralizzato dal terrore e non riesco nemmeno a parlare a causa del braccio che mi toglie il fiato.
Rimane in silenzio qualche secondo, tempo in cui io realizzo che quella braccia stanno uscendo direttamente dal vetro. Un brivido mi scorre lungo la schiena ed anche se non ne sono sicuro credo che mi tremino le gambe. Cerco di divincolarmi facendo leva sulle sue mani e solo quando riesco ad abbassare lo sguardo dopo essermi liberato dalla presa al collo noto quanto siano somiglianti.
La figura dietro di me sorride in modo ironico e sprezzante, lasciandomi andare. Cado nel letto davanti a me e, senza perdere tempo, faccio leva sulle gambe per spingermi il più lontano possibile da quel bastardo, rotolando sul letto e finendo dalla parte opposta. Balzo in piedi per fronteggiarlo rimanendo stupido e spaventato. Di fronte a me c'è, anzi, ci sono io.
Rimango paralizzato, portandomi con la schiena verso il muro mentre continuo ad osservarlo con gli occhi increduli di chiunque veda la propria immagine riflessa nello specchio parlargli o, meglio, deriderlo.
“Beh?!” Mi dice “Non è più consuetudine salutare un vecchio amico?”
Gli rispondo con la voce tremante di un bambino spaventato “Chi.. chi sei?”
“Come sarebbe chi sono. Andiamo, sono te. È palese” Mi risponde, voltandosi e camminando verso sinistra per finire nello specchio accanto.
“Cosa vuoi? No, aspetta, ho capito. È colpa di quel bastardo di Barba che mi ha drogato giusto? Giusto..” Cerco di darmi una spiegazione per questa follia cercando di riordinare le idee, guardando per terra con gli occhi spiritati di chi cerca una risposta nei suoi piedi.
“Sbagliato!” Grida non appena smetto di parlare e poi torna a parlare duramente ma senza alzare la voce.
“Tu non sei stato drogato, tu non sei in una candid camera e cristo santo tu non sei nemmeno qui!” Continua a parlare ma non riesco a capire cosa dice perché borbotta portandosi le mani sui fianchi e passeggiando, se così si può dire, nervosamente nello specchio, avanti ed indietro.
“Avvicinati..” Mi dice, facendomi cenno con la mano.
Muovo a fatica i piedi verso di lui che riprende a parlarmi mentre mi avvicino.
“Ascolta, lo so che ci sono stati dei problemi, lo so che è dura e forse è stata per certi versi colpa mia ma non puoi certo addossarmi tutte responsabilità. Ti prego, cerca di capire la mia posizione, convinciti che siamo fatti per stare insieme e fuggiamo da qui.” La sua mano esce dallo specchio, allungandosi verso di me. “Prendi la mia mano e andiamocene.. coraggio.”
Non capisco cosa dice, non so cosa sta succedendo e nemmeno chi o cosa possa essere quello nello specchio, se il mio io interiore che mi sta parlando o l'effetto allucinogeno di qualche ammendante artificiale gentilmente fornitomi contro la mia volontà, eppure mano mano che mi avvicino la sensazione di pace prende il posto della paura, una nuova forza mi pervade facendomi sentire bene, forte, sicuro di me. È una sensazione inebriante che aumenta ancora di più quando allungo la mia mano verso la sua.
“AAAAGH!”
La sensazione scompare, improvvisa, come se mi destassi da un bellissimo sogno. Torno con i piedi per terra guardando davanti a me il suo braccio trapassato dalla lama di una spada ed il suo volto trasformato in una smorfia di dolore mentre cerca, invano, di recuperare il braccio ferito.
“Adesso non puoi scapparmi..”
La voce è familiare. Non appena la sento parlare so già chi mi troverò davanti.
“Ancora tu!” Le dico mentre all'improvviso mi tornano in mente tutte le cose che sono successe prima.
“Ti ho uccisa.. Tu mi hai ucciso..” Le dico, rimanendo a bocca aperta.
“Non è il momento tesoro..” Mi risponde, sfilando la lama dal braccio di.. beh, di me stesso che indietreggio nello specchio e mi volto, cioè, si volta per scappare. Ho la testa che mi scoppia e sono seriamente tentato di affogarmi in una scodella di cioccolato fuso ma non posso farlo per due motivi: il primo è che adesso non ho cioccolato fuso ed il secondo è che ci pensa lei a dilaniare il poco buon senso rimastomi gettandosi dentro lo specchio per inseguire quel.. me!
Cado svenuto per non so quanto. A svegliarmi è il picchiare ritmico dei pugni sulla porta di casa quando tornano gli altri che, ovviamente, non hanno preso le chiavi.
Non appena apro gli occhi mi guardo intorno, controllando immediatamente lo specchio ed aprendo le ante dell'armadio. Niente di niente.
“Già.. che mi aspettavo?..” Dico a me stesso, richiudendolo e avviandomi verso l'entrata.
“Barbaaa.. Barbino, sei tu? Devo chiederti una paio di cose..”
Il sole picchia dritto in faccia mentre un leggero venticello porta un piacevole fresco aromatizzato dalla salsedine. In questo momento io e la sdraio siamo una cosa sola, uniti da una missione comune: perdere tempo.
Passo buona parte della giornata a crogiolarmi al sole, prima sulla sdraio, poi sul telo da mare sapientemente adagiato sulla sabbia ed infine rimanendo a lungo nell'acqua a farmi cullare dalle onde, facendo attenzione a non farmi trascinare via dalla corrente. Non che sia forte, intendiamoci, solo sono io troppo pigro per reagire. Lo sport più faticoso che ho fatto oggi è stato camminare dall'ombrellone al mare e viceversa, facendo tappa in un paio di occasioni alla doccia per togliermi di dosso la patina di sale.
L'acqua calda e mucillaginosa ricorda vagamente il brodo primordiale ma è comunque la cosa più fresca in questa giornata assolata ed anche se i primi passi per entrarci sono una lotta contro il proprio istinto di sopravvivenza dopo pochi minuti ti abitui e ti senti parte integrante di quell'ecosistema fatto di alghe, plastica, qualcosa che credo essere pesci, sabbia e acqua salata entrando in perfetta simbiosi, soprattutto mistica, con tutto ciò che ti circonda almeno fino a quando non ti passa vicino un bambino o non decidi di uscire.
Dopo essermi rinfrescato con un bel bagno torno alla mia cara sdraio per prendere l'ultima mezz'ora di sole prima di tornare a casa. Giusto il tempo di far asciugare il costume e dare occasione al mio corpo di mantenere il suo colore bronzeo.
Dio, quanto amo il mio corpo. Sorrido “Eh eh.. Narcisista maledetto..”
Chiudo gli occhi abbandonando i miei sensi al nobile Morfeo. È proprio una bella giornata.
(Ti amo..) Apro gli occhi portando su la testa e guardandomi intorno con l'aria intontita.
“Che hai?” Mi chiede Max.
“Boh, niente.. Mi chiamavi?” gli rispondo.
“No, per niente.”
“Ah, ok.. Bonanotte..” Gli dico, tornando a dormire.
(Come sta?)
“Chi?” Chiedo.
“”Chi” cosa?” mi risponde Max.
“Eh?!” gli chiedo.
“Ma che hai?” Mi risponde.
Sorrido, stirando le braccia. “Scusa.. Oggi sento le voci..”
(che ore sono?)
Mi alzo in piedi e vado sotto l'ombrellone per cercare la bottiglia di acqua che ci siamo portati dietro. Forse ho preso troppo sole.
(che ne dici di questa? Ti piace?)
Giro la testa di scatto, quasi istintivamente. Nessuno. A quanto pare oggi sento davvero le voci e non posso nemmeno dare la colpa al Barba visto che ha confessato di non essere stato lui ad “insaporirmi” la bevuta. Non può avermi mentito, non dopo quello che gli ho fatto per farmi dire la verità.
(LIBERA!)
“Ah!” Stringo la bottiglia nella mano, irrigidendo tutti i miei muscoli. L'acqua fuoriesce colpendo Max in pieno volto che rimane a guardarmi con gli occhiali da sole indosso, la bocca aperta come per dirmi qualcosa.
Io lo guardo, scuotendo la mano libera mentre cerco di rilassare i muscoli. Lascio la bottiglia senza curarmi di richiuderla e mi avvio verso casa.
Max continua a guardarmi mentre mi allontano, rimanendo seduto sulla sabbia ad asciugarsi il viso con il telo.
(sta bene)
Di nuovo le voci tornano ad affollare la mia mente. Cammino a fatica nella sabbia facendomi anche male con i piccoli sassi che ci sono sulla strada.
Strada?
Sono sulla strada. L'asfalto caldo soffrigge i miei piedi scalzi, perché sono stato così intelligente da lasciare le ciabatte in spiaggia, costringendomi a piccole corsette per raggiungere le zone d'ombra e proseguire lungo di esse.
Buffo però, non mi sono nemmeno reso conto di aver attraversato la pineta.
(ho bisogno di te)
“Chi?..” Mi volto di scatto facendo una domanda al vuoto.
(che musica ti piace?)
Di nuovo, mi giro dalla parte opposta portando una mano alla testa. Il cuore mi batte all'impazzata.
(perché?)
“Cosa?” Chiedo. “Dove sei? Anzi, vattene, lasciami in pace..”
Ora sono terrorizzato.
“Non devi aver paura..”
Rimango immobile ruotando lentamente la testa per poi voltarmi completamente.
“Tu.. Tu sei la causa di tutto, vero?” Le chiedo. Adesso, senza che riesca a comprendere il perché, non provo paura nel averla davanti a me e neppure sentimenti simili. Sono, insomma, stranamente calmo e lucido.
Sorride. “Oh, no.. Non immagini nemmeno quanto sei lontano dalla verità.”
Mi risponde. Ha le mani ricoperte di sangue fino all'avambraccio, con qualche goccia che rompe la monotonia cromatica del vestito. Anche lei non indossa scarpe e i suoi piedi sono ricoperti di terra come se avesse appena corso in un campo arato in una giornata di pioggia. La spada nel fodero, sorretta con la mano sinistra, mentre con la destra di sposta una ciocca di capelli neri dal volto.
“La verità è qui di fronte a me..” Le rispondo, senza avere la benché minima idea di cosa sto dicendo.
“Non sai di cosa parli, dico bene?” Mi risponde.
Abbasso lo sguardo imprecando a bassa voce, poi torno a guardarla negli occhi.
“Ok.. Mi arrendo.. Chi sei?” Le chiedo.
“No..” Mi risponde. “Non funziona così..”
(mi manchi da morire)
La guardo con aria interrogativa. “Sei tu che..”
“Cosa?” Mi chiede, bloccando le mie parole.
“Niente..” Le rispondo. “Ormai mi sono rassegnato.. Accetto di non capirci niente, hai vinto.”
Mi siedo sul marciapiede chinando il capo in avanti. Prendo un legnetto per giocarci un po' facendo dei piccoli cerchietti nella polvere sul ciglio della strada senza curarmi più di quello che accade intorno. La ragazza mi osserva per alcuni minuti dopodiché viene a sedersi vicino a me, poggiando la spada alla sua destra.
“Questa adesso non serve..” Mi dice, avvicinandosi per appoggiare la testa sulla mia spalla.
“Chi sei? Perché quando ci sei tu provo paura o, come in questo caso, senso di pace?” Le chiedo, ruotando leggermente la testa verso di lei. Ha gli occhi di una ragazza quando pensa intensamente a qualcosa ma non trova le parole giuste per dirla e so che potrei rovinare tutto semplicemente chiedendole “a cosa pensi” per sentirmi rispondere “a niente”. Decido di aspettare e torno a giocare con il legnetto.
“Sai.. Ci sono cose difficili da dire.. Ma ancora di più ci sono cose difficili da capire.” Mi dice voltandosi verso di me. La sua voce è pacata, lo sguardo tranquillo.
“Che ne dici.. Che ne dici di cominciare dall'inizio, raccontarmi tutto e lasciar decidere a me se è complicato oppure no?” Le rispondo.
“Si.. Facciamo come vuoi tu.” Mi risponde sorridendo, con mia grande sorpresa. Ha un bel sorriso, di quelli che ti scaldano l'anima, che solo una donna sa fare. Poi continua a parlare “Prima però raccontami una storia!”
“..Una.. Storia?” Le domando, perplesso.
“Si! Di quelle che iniziano con “c'era una volta”..”
“Beh.. ok, dovrei riuscirci. Ci provo..” Le rispondo, alzandomi in piedi per poi porgerle la mano ed aiutarla ad alzarsi.
“Però non qui.. Andiamo da un altra parte.” Dico, facendole cenno di seguirmi.
Camminiamo tenendoci per mano, proprio come una coppietta che passeggia guardando le vetrine dei negozi guardandosi distrattamente in giro, con l'aria trasognante, apatica e soddisfatta con l'unica differenza che noi siamo scalzi, seminudi, con una spada e lei ha le braccia piene di sangue. Sono convinto che se la conoscessi meglio potrei perfino arrivare ad amarla.
Dopo circa una mezz'ora decidiamo di attraversare la strada e saliamo la collinetta che ci divide dalla spiaggia.
Arrivati sulla cima il vento mi accarezza la faccia portando il profumo salato del mare. L'aria è fresca, il sole ha deciso di diminuire la sua forza permettendo di godere a pieno dei suoi caldi raggi ed il frastuono lento e costante delle onde crea la perfetta atmosfera di pace di cui ho bisogno.
“Si, qui mi piace..” Le dico.
“Anche a me..” Mi risponde, avvicinandosi e stringendo il mio braccio a se.
Ci sediamo all'ombra di un albero, lei decide di sdraiarsi e appoggia la sua testa sulla mia gamba. Le accarezzo i capelli, lisciandoli, ottenendo come ringraziamento un bacio sulla mano libera che si è preoccupata di “rubarmi” prendendola fra le sue mani.
Prendo fiato, poggiando la schiena sul ruvido dorso dell'albero alle mie spalle, per riordinare le idee dopodiché inizio con la mia storia, semplicemente.
“C'era una volta..”
Capitolo 14
C'era una volta
Tanto tempo fa, nella contea di Fanfaluppe, viveva una bellissima principessa
(non è banale? - No.. e poi non volevi una storia? Che storia è senza una principessa?) costretta a rimanere in una torre da un sortilegio che le impediva di fuggire, almeno fino a quando non fosse riuscita a sconfiggere i demoni che portavano gli artefici del maleficio. Questo per non poteva farlo, perché i demoni erano distanti dalla torre millanta leghe e solo uno di loro restava, assopito sotto alla torre, per nutrire e qualche volta tener compagnia alla principessa. Si, spesso lei si intratteneva a scambiare qualche parola con uno di loro, perché dopo molti anni aveva compreso che i demoni non erano affatto cattivi ma solo fedeli alla parola data ad un potente stregone che aveva promesso loro qualcosa in cambio dei loro servigi come guardiani delle 6 chiavi.
(Quali chiavi? - Quelle che servivano per aprire la porta.. Vuoi lasciarmi fare o vuoi raccontarla tu? - No, no, va bene. È che devi essere preciso o non ci capisco niente..)
Un giorno di primavera (No, aspetta, non va bene. Ricominciamo)
In una fredda giornata d'inverno capitò nella contea un cavaliere errante che si recava verso Mirifir, alla ricerca di un feudo a cui offrire i propri servigi.
(Un mercenario? - No, direi piuttosto simile ad un samurai.)
Il suo cavallo è nero, enorme, con una lunga criniera che cade alla destra del possente collo. Gli zoccoli affondano nella neve che ricopre la piccola strada sterrata andando via via diramandosi mano mano che si avvicina alla contea.
Lui se ne sta eretto sulla sella con l'aria di una persona appena tornata dall'inferno e pare quasi impassibile al freddo ed alla neve che gli ricopre le spalle nascondendo la sua armatura rosso vermiglio con un candido velo di purezza congelata, lasciando trasparire in alcuni punti piccole strisce di colore acceso che sembrano ferite sul corpo di un gigantesco animale. Le sue mani sono saldamente attaccate alle redini del cavallo, i suoi lunghi capelli castani cadono sulle sue spalle coprendo con il loro movimento sinuoso il collo e parte della schiena, arrivando fino a metà, mentre il lento trascinarsi del cavallo lo fa ondeggiare timidamente in un modo quasi ipnotico. I due appaiono come una cosa sola tanto che la figura del cavaliere rimanda con l'immaginazione alle antiche leggende, tale è la somiglianza ai centauri rappresentati nelle illustrazioni delle cronache di Kultz.
Una volta raggiunta la locanda il cavallo si ferma senza bisogno di indicazioni da parte del cavaliere, proprio come fosse un gesto più e più volte ripetuto dall'animale o, ancora meglio, come se sapesse esattamente di cosa abbisogna in questo momento il suo compagno umano. Il cavaliere toglie i piedi dalle staffe per scendere dalla sella e non appena toccano il selciato di colpo tutta la neve scivola via dall'armatura, liberandolo, e se non fosse alquanto improbabile verrebbe da pensare che sia andata a prostrarsi ai suoi piedi in segno di rispetto.
Adesso il cavaliere, spoglio del mantello bianco, si mostra in tutta la sua cruda magnificenza agli occhi di chi lo vede legare le briglie del proprio animale alla piccola staccionata di fronte alla locanda. Indossa una rossa armatura che sembra risplendere di vita propria a tratti solcata da segni bianchi simili a graffi di un gigantesco animale. Le armi adornano il suo corpo come un mortale albero di natale e solo chi riesca a creargli la necessità di farlo può davvero scoprire quante ne abbia veramente indosso, celate perfino allo sguardo più attento di un mastro d'arme.
(È enorme? - No, non direi. Certo, non è un mingherlino ma ha un corpo normalissimo)
I suoi passi risuonano con un tintinnio metallico sulle pietre del pavimento mentre si avvicina al primo tavolo libero per poi sedersi ed attendere l'arrivo della cameriera.
“Ben ritrovato messere. Gradite sedervi vicino al caminetto per temprarvi?” Gli chiede la cameriera.
“Vi ringrazio ma preferisco rimanere qui, se non arreco disturbo.” Le risponde il cavaliere.
“No, affatto. Vi porto subito da mangiare.” Risponde la cameriera, sorpresa dalla gentilezza dimostratele da un uomo di guerra.
(perché? - Per due motivi: il primo è che la storia la decido io, il secondo è che di solito uno abituato a menare le mani per uccidere la gente non è molto educato o gentile. - Ah.. ok!).
Il cavaliere sfila la pesante ascia dalla sua schiena sistemandola vicino a se insieme alla spada, poggia la schiena alla parete portando le mani sulle ginocchia e chiude gli occhi dopo aver dato una rapida occhiata in giro. I suoi lunghi anni di esperienza in campi di battaglia gli hanno insegnato che non è mai il momento di rilassarsi completamente, nemmeno dentro ad una locanda. È per questo che si è curato di sedersi quasi in disparte, in una zona d'ombra, con le spalle al muro e la porta ben visibile davanti a se. Ai giorni nostri la chiameremmo “deformazione professionale”.
La cameriera si avvicina al grande pentolone dentro al caminetto, tirandolo fuori per riempire di cibo caldo la ciotola da portare al cavaliere assieme ad un po' di vino e pane. Il cavaliere la ringrazia, chiedendole se può sedersi solo qualche secondo al suo tavolo per farle una importante domanda.
“Si dice che a queste parti un maleficio colpisca una donna, relegandola in una torre. È vero?” Domanda il cavaliere.
“Perché volete saperlo?” Risponde la cameriera.
“Vedete, io aspiro a diventare un Cavaliere Bianco ma per farlo devo prima cimentarmi in imprese degne di questo nome. Combattere per le umane cose, futili ammennicoli o fedi diversi non è né nobile né utile alla mia causa e dunque mi dedico esclusivamente a trarre in salvo chi ne abbisogna senza chiedere niente in cambio.”
La cameriera osserva con aria trasognante il cavaliere, domandandosi se veramente potrà essere lui a liberare la giovane donna dal maleficio che la opprime e se veramente il suo desiderio di farlo è spinto da nobili propositi o vile ambizione.
“Voi intendete liberarla e prendervi il merito?” Domanda la cameriera.
“Io intendo liberarla. Non voglio niente in cambio”.
Dopo una notte passata in un comodo letto il cavaliere, seguendo le indicazioni della cameriera, giunge alla torre dove un orrido bestio si desta dal suo sonno e gli corre incontro.
“Fermo! Nessuno può avvicinarsi” Ringhia il demone.
“E perché mai, di grazia?” Domanda il cavaliere.
“In questa torre è racchiusa una principessa di rara bellezza. Se la farai uscire morirà ed io non posso permetterlo.”
Il cavaliere scende da cavallo, avvicinandosi al demone rimasto come incuriosito dalla figura di quest'uomo che non cerca di attaccarlo o fugge terrorizzato alla sua vista come molti prima di lui.
“Ti chiedo perdono per il disturbo ma purtroppo non posso lasciar perdere e andarmene. Se c'è un modo per liberare la principessa ti chiedo, per favore, di rivelarmelo così che io possa cimentarmi in quest'impresa.”
Il demone si gratta la testa, non sapendo come comportarsi. Fino ad oggi è sempre stato così semplice: il cavaliere arriva gridando, lui ruggisce, si combatte ed il cavaliere scappa o muore. Fine.
Guarda incuriosito la piccola figura davanti a lui che si prodiga nel sistemare un cerchio di pietre per accendere un fuoco.
“Chi sei tu? Perché non mi attacchi?” Domanda il gigantesco demone.
“Attaccarti? Perché mai dovrei farlo? Non ve ne è motivo.”
“Certo che c'è! Io sono il guardiano della torre!” Sbotta il bestio.
Il cavaliere alza la testa guardando negli occhi il demone, dicendogli:
“Quando sono arrivato te ne stavi sdraiato su quella che dovrebbe essere la prigione della principessa, mentre lei cantava allegramente nella sua stanza propiziandoti il sonno. Inoltre i tuoi occhi non sono quelli di una persona, scusami, di un demone crudele e sanguinario.”
Il cavaliere fa una pausa per soffiare sulla flebile fiamma che si sta sviluppando, poi riprende a parlare.
“Come ultima cosa, sappi che io non giudico mai qualcuno dall'aspetto o lo attacco senza motivo senza prima aver provato a proferir parola.”
Dopodiché si siede vicino al fuoco domandando al gigante se gradisce una tazza di infuso. Il demone si siede, confuso ma felice di aver trovato qualcuno con cui finalmente parlare tranquillamente senza dover per forza combattere.
“Tu sei diverso.. Chi sei?”
“Sono Trullallao, figlio di Scafandro” risponde il cavaliere.
(Eddai.. ahah dagli un nome da cavaliere – Uffa.. Ok, lo cambio..)
“Sono Khores, figlio di Anelao. Tu come ti chiami?” Risponde il cavaliere.
“Onarius..”
I due conversano amabilmente per buona parte della mattinata, al termine della quale Khores riceve tutte le informazioni di cui ha bisogno dal demone Onarius che, nonostante le divergenze, sembra gradire la sua compagnia.
“Ti ringrazio molto la piacevole conversazione e per le informazioni che hai accettato di fornirmi. Ora posso dedicarmi alla missione.”
“Grazie a te, per aver preferito parlare invece di avvicinarti a spada tratta. L'ho apprezzato moltissimo. Sai, mi sarebbe dispiaciuto mangiarti.”
I cavaliere sorride, guardando la gigantesca figura innanzi a lui.
“Ti saluto amico mio.” Dice il cavaliere, balzando in sella al suo cavallo.
“Ricordati che quando tornerai non ti lascerò avvicinare alla torre.. Dovrai affrontarmi!” Grida il demone al cavaliere, che ferma il cavallo voltandosi verso di lui per rispondere.
“Se così sarà avremo modo di saggiare le nostre rispettive abilità in uno scontro leale.” Finito di parlare sprona il cavallo, galoppando verso ovest alla ricerca degli altri demoni.
(E adesso? - Un po' di pazienza..)
Il cavaliere attraversa in lungo e largo posti fino ad ora a lui sconosciuti, visitando contee, feudi, foreste e persino paludi poco ospitali abitate da ogni sorta di persona o essere umanoide.
(Qui salto tutto, perché è irrilevante. - Ma come? - Tacitti, please..)
Quando, dopo alcuni mesi passati a vagare per le terre di Mirtiras, il cavaliere fa finalmente ritorno alla torre è una mattina di primavera. L'aria è profumata dall'aroma dei fiori e degli alberi da frutto. Tutto intorno l'erba crea un mare verde che si perde a vista d'occhio, intervallato qua e là dai colori accesi dei fiori. Ad accoglierlo non c'è più il demone che gli corre incontro minaccioso ma un vecchio amico che attendeva con impazienza il suo ritorno.
“Se sei qui è perché hai compiuto la tua missione, dico bene?” Domanda il gigante.
“È così, amico mio.”
Detto questo il cavaliere smonta da cavallo avvicinandosi al demone per appoggiare la sua mano sul possente braccio di Onarius, in segno di amicizia.
Il demone pare quasi commosso.
“Sono riuscito a trovare e sconfiggere tutti e cinque i custodi delle chiavi, annullando in parte la maledizione, anche se ciò mi è costato non poco sacrificio.”
“Ti avevo avvertito. Sconfiggendoli ti saresti fatto carico della parte di maleficio che portava ognuno di loro. Solo unendo le sei chiavi e liberando la principessa sarai libero.”
“Se per te va bene, gradirei riposare un poco prima di dare inizio al combattimento. Ho cavalcato per tutta la notte e ho bisogno di stendermi un momento.”
Il gigantesco demone inarca la bocca in quello che potremmo definire un sorriso dicendo al cavaliere:
“Prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno. Sei l’unica persona che mi ha trattato con rispetto e non cercherò di approfittare di un tuo momento di debolezza. Riposa amico mio, combatteremo domani.” Detto questo il demone si allontana, camminando verso la torre. Nel frattempo la principessa, ignara di cosa sta succedendo, canta con voce soave dall’alto della torre cullando con le parole il sonno del cavaliere che si è assopito, sull’erba, all’ombra di una quercia.
Sentendo avvicinare Onarius la principessa si affaccia dal piccolo balcone con l’intenzione di scambiare qualche parola ed avere il pane giornaliero. È allora che lo nota, domandando al demone:
”È lui, Onarius?”
“Si principessa. È lui.”
La principessa ripensa alla parole del suo guardiano, a come le raccontava di un cavaliere venuto in pace a chiedere come fare per liberarla, che non ha chiesto nemmeno quale fosse la ricompensa o quanto il dolore da sopportare. Più di tutto si ricorda di come il demone ne ha parlato evidenziando il rispetto che ha dimostrato al gigante. Solo adesso che lo guarda, completamente assopito, si chiede che tipo di uomo può concedersi di riposare vicino a quello che dovrebbe essere il suo nemico.
Il cavaliere apre gli occhi, voltandosi verso la torre, ed i loro sguardi si incrociano per qualche secondo. Onarius vede la principessa guardare oltre la sua figura dunque si volta incuriosito per sincerarsi di quale sia l’oggetto del desiderio. Quando comprende che sta osservando il cavaliere chiede alla principessa di rientrare e torna a sdraiarsi sotto alla torre, in attesa.
Alla sera i due dividono il pasto sotto alla torre tenendo compagnia alla principessa che consuma la cena seduta sul piccolo balcone.
È lei a rompere il silenzio:
“Ditemi cavaliere, perché volete liberarmi?”
“Perché è il dovere di chiunque si fregi di questo nome.” Risponde immediatamente Khores. Frattanto, il demone, continua a mangiare indifferente alla conversazione.
“Ed è solo questo che vi spinge? Il desiderio di portare a termine un dovere dettato dalla morale cavalleresca? Davvero non c’è altro?” Incalza la principessa.
Il cavaliere lascia il piatto guardando fisso avanti a se come per cercare le parole giuste, dopodiché si porta in piedi alzando il capo e fissando la principessa per dirle con voce ferma ma gentile:
“Prima di oggi il mio unico interesse era compiere la missione ma, adesso, guardandovi e parlando con voi mi rendo conto che forse potrei fare di questa impresa una questione personale dettata del desio di avervi accanto a me, in futuro..”
La principessa arrossisce, portandosi la mano alla bocca ed esclamando un timido “Oh..”.
“Perdonatemi” Continua il cavaliere “se vi dico questo, probabilmente turbandovi, ma mai prima di ora avevo posato lo sguardo su occhi come i vostri..”
“Ma, cavaliere, voi ambite a diventare uno dei Cavalieri Bianchi, non potete..”
“Non posso amare?” Risponde prontamente l’uomo.
“Principessa, state dicendo che dovrei sacrificare la mia felicità solo per fregiarmi di un titolo onorifico?”
La discussione viene interrotta da una poderosa fuoriuscita di aria esofagea da parte del demone che, a quanto pare, gradisce molto la cucina di Khores.
“Voi sapete come inorgoglire un cuoco, amico mio.” Dice sorridendo il cavaliere, poi solleva lo sguardo verso il balcone ma la principessa è già rientrata, forse stanca di quella conversazione.
I due si augurano la buonanotte dirigendosi ognuno nel proprio giaciglio mentre la flebile luce rimasta corre a nascondersi sotto l’orizzonte in fuga dalla notte che incalza o forse, chissà, proprio per permetterle di mostrarsi, in un tacito accordo di equilibrio delle cose.
“Dove non esiste l’uno, non può esserci l’altro..” Pensa il cavaliere, voltandosi a guardare il gigante demone. Il pensiero lo attraversa mentre pone mille domande a se stesso arrivando a chiedersi se sia veramente questa la cosa giusta da fare o se si trovi in condizione di stare per commettere un errore.
Poi si volta, scuotendo lievemente il capo e ammettendo a se stesso che questo non è il momento dei ripensamenti ma di riposare.
“All’aurora avrò le risposte che cerco.” Dice a se stesso il cavaliere, voltandosi e chiudendo gli occhi.
La luce rischiara appena il verde del giardino davanti alla torre quando i due sono già di fronte l’uno all’altro, preparandosi allo scontro.
Il demone non indossa niente, se non i suoi stracci. Le sue armi sono tutto ciò che è relativo al suo stesso corpo come la mole imponente, le zanne e gli artigli. Il cavaliere ha solo indosso la sua armatura ed imbraccia unicamente la sua spada, spogliatosi completamente delle armi, di tutte le armi, celate o no che aveva indosso. I capelli sono legati dietro la nuca, leggermente mossi dalla brezza mattutina.
Senza dire una parola i due si fronteggiano assumendo le pose del combattimento ed iniziano. Semplicemente iniziano.
La disputa continua senza esclusione di colpi per una buona mezz’ora financo che anche la principessa, richiamata dal fragore della lotta, si mostra dalla torre per osservare il combattimento.
La scena riempe i suoi occhi con un misto di terrore e curiosità. I due stanno colpendosi l’un l’altro senza mai fermarsi proprio come fossero peggiori nemici. “Eppure la sera prima parlavano amabilmente, cosa li spinge adesso a comportarsi così” Pensa la principessa, stregata da quel combattimento, destandosi non appena vede il cavaliere ferire il demone con la spada che reagisce colpendolo con un manrovescio.
Il cavaliere, colpito dal poderoso braccio di Onarius, viene sollevato da terra e lanciato verso la torre. Il demone ruggisce lanciandosi verso di lui che si è subito rialzato, dolorante, per gettarsi verso il gigante trascinando la spada.
Quando il demone vibra il suo colpo affondando la sua mano verso di lui, Khores si china a terra schivando e colpendolo ad una gamba. Il gigante perde l’equilibrio cadendo sulle ginocchia, ruggendo con un misto di dolore e rabbia, mentre il cavaliere alle sue spalle affonda la lama nella sua schiena ponendo dunque fine al combattimento.
La principessa che dall’alto della torre ha assistito all'epilogo non ha potuto fare a meno di inorridire alla vista di tutto questo. Nonostante tutto Onarius è l’unico essere vivente che le è sempre stato vicino.
Il cavaliere la osserva chiedendosi perché abbia avuto quella reazione poi si volta verso di lui che guarda con aria triste verso il piccolo balcone ed allora comprende. Il demone se ne sta inginocchiato, facendo grandi respiri, con le braccia buttate a terra e l’aria di qualcuno che si è rassegnato al suo destino.
Khores impugna la spada sfilandola dal corpo di Onarius, dopodiché si porta innanzi a lui dicendogli:
“Demone. Ti faccio dono della vita, perché è ciò che hai di più caro ed in cambio ti chiedo ciò è che di più caro a me.. la sua libertà.” Gli dice, indicando la principessa.
Onarius è confuso. Osserva il cavaliere poggiando la sua mano destra sulla ferita.
“Come.. come sarebbe?” Domanda il demone “Non la vuoi per te?”
“Solo uno sciocco non si sarebbe reso conto della situazione.” Risponde il cavaliere.
“Quale situazione?” Chiede il demone.
Il cavaliere sorride, raccogliendo le sue armi mentre si allontana.
“Tu non sei il suo carceriere e lei non è tua prigioniera. Siete innamorati e forse nemmeno ve ne siete resi conto o volete ammetterlo. Vivete felici.. vivete liberi.”
Detto questo prende le 5 chiavi consegnandole al gigante e si volta per andarsene.
“Cavaliere!.. Khores.. Perché lo fai?”
Si ferma per un momento, poi monta a cavallo e si volta verso di lui rispondendogli:
“Perché è giusto. Addio amico mio, spero di reincontrarti.”
Il demone lo guarda allontanarsi e sparire all’orizzonte, poi si volta avvicinandosi alla torre e dirigendosi verso la piccola porta per porre fine al maleficio ed abbracciare la sua bella, infine.
“Allora.. Che te ne pare?” Le domando, anche se ho idea che non riceverò una risposta. Lei, infatti, si è addormentata con un lieve sorriso sulle labbra cullata dalla mia voce e dalla storia che credo le sia piaciuta.
Socchiudo gli occhi e resto in silenzio, ad osservare il mare con il sole che tramonta alle mie spalle. Un gabbiano passa sopra di me accennando appena il suo grido stridulo ed il mare accarezza lentamente la spiaggia con la sua immensa mano fatta di acqua e schiuma.
È una sensazione bellissima.
Capitolo 15
Bushido
È il silenzio a svegliarmi. Un asettico, indiscutibile strano silenzio unito al fatto che, anziché la sabbia, sotto di me c'è un comodo materasso pulito. Balzo a sedere sul letto guardandomi intorno per capire dome mi trovo. Sono in una stanza di colore verde chiaro, con quattro letti sistemati a coppie di due gli uni di fronte agli altri, proprio come in una stanza di ospedale. Scendo dal lettino e, come prima cosa, controllo le tasche per controllare se manca qualcosa poi tasto la mia schiena.
“Ok, i reni ci sono sempre..” Dico a me stesso.
Esco dalla stanza ritrovandomi in un lungo corridoio dove, alla mia destra, c'è una finestra mentre alla mia sinistra si dilunga per una lunghezza che pare infinita. Cammino verso la finestra con l'idea di guardare fuori e tentare di capire dove mi trovo ma è inutile. Sono in un posto che non conosco anche se devo ammettere di trovarlo familiare. Mi volto e riprendo a camminare questa volta verso il lungo corridoio intervallato da porte aperte che lasciando intravedere lettini vuoti. Passo dopo passo attraverso il corridoio superando un'infinità di stanze vuote fino a raggiungere una specie i spiazzo dove trovo delle scale e gli ascensori. Grandi ascensori, enormi, proprio a voler sottolineare l'importanza di farci entrare una barella.
“Ok, ok, sono in un ospedale.” Il fatto di avere un idea precisa del luogo in cui sono rinchiuso mi solleva prima che mi torni in mente di non sapere perché sono qua o chi mi ci abbia portato.
Un rumore simile ad un fruscio proveniente dal piano di sotto mi distoglie dai pensieri. Scendo lentamente le scale cercando di capire chi o cosa lo stia provocando e man mano che mi avvicino il rumore diventa più nitido facendomi intendere che si tratta di quel suono tipico che fa la televisione quando non riesce a prendere il canale, dando come unica immagine una schermata grigia. Mi avvicino a quella che credo essere la saletta di svago per quelli che possono permettersi di uscire dalle proprie stanze. Intorno a me corridoi vuoti, stanze che continuano a mostrare giacigli inutilizzati e un silenzio mistico accompagnato solo dal continuo fruscio di un programma inesistente mentre tutto sembra avvolto da una penombra stile film horror di serie b. Davanti alla piccola televisione c’è una poltrona con lo schienale alto da cui intravedo solo la capigliatura di una persona che pare fissare il grigio fumoso davanti a lei, estranea a tutto quello che ha intorno.
“Mi scusi..” Provo a richiamare la sua attenzione mentre mi avvicino a piccoli passi girando intorno a questa sedia anacronistica di colore verde che pare ricordare un salotto del rinascimento. Cammino fino a trovarmi di fronte alla tv per trovarmi davanti la figura di un signore anziano che continua ad osservare imperterrito il “nonprogramma” alle mie spalle.
“Vuole che le cambi canale?” Domando, voltandomi ed indicando la tv.
Il vecchio alza gli occhi verso di me, senza rispondere.
Rifaccio la domanda alzando la voce.
“Non sono sordo.” Risponde il vecchio “Stavo solo cercando le parole giuste per farti capire che mi interessa vedere solo questo programma.”
“Ma.. Non si vede niente.. È solo una schermata bianca.”
“È quello che vuoi che sia..” Mi risponde il vecchio.
Mi avvicino a lui con aria interrogativa e apro la bocca per fargli un'altra domanda ma un rumore proveniente dal corridoio distoglie la mia attenzione dalla nostra conversazione.
“Passi..? no.. è qualcos’altro..” Penso. Il rumore viene dal fondo del corridoio, credo sia qualcosa di metallico. Faccio qualche passo per uscire dalla stanza con l’idea di scoprire cosa sia o da dove provenga quel rumore. Quando sono nel centro del corridoio alzo lo sguardo cercando mettere a fuoco la causa del rumore. Scorgo nella penombra una figura che sembra seduta a terra con le gambe incrociate.
Shinng!
Di nuovo quel rumore. È continuo, acuto, ed è come se qualcuno stesse accarezzando del ferro. Cammino verso di lui cercando di capire cosa sta facendo.
Shing!
Abbasso le spalle, chino la testa di lato sospirando.
“Di nuovo tu..” Le dico “Ma quanto ancora pensi di perseguitarmi?”
Shinnng..
Poggia a terra la pietra con cui stava affilando la lama e si alza in piedi, mostrandomela. La spada.
“Che te ne pare? È affilata bene, no?!”
Abbasso lo sguardo verso la lama, allungo la mano verso la mia testa togliendomi un capello per poi passarlo sul filo duella spada. Il capello si taglia in due non appena lo appoggio, senza sforzo alcuno.
“Si, è ben affilata.” Le rispondo.
Sorride soddisfatta, rinfodera la spada e raccoglie le sue cose.
“Andiamo?” Mi domanda.
“Dove?” Le chiedo.
“Seguimi..” Mi risponde quasi sottovoce scattando subito dopo verso la finestra dietro di lei.
CRAAASHH!!!
Un rumore di vetri rotti dilania il silenzio del corridoio. Si è appena lanciata contro la finestra con le ginocchia alzate e le braccia a coprire il viso incurante di cosa sta sotto di lei. Che donna.
Il rumore sembra aver svegliato questo posto che pare animarsi di una vita propria ma prima ancora di capire se sia un bene o un male io sto già correndo verso la finestra per seguire l’unica persona con cui so che non mi annoierò e che ormai considero l’unica cosa reale in tutta questa follia.
Non appena i miei piedi si staccano da terra per saltare la finestra ed il mio corpo si ritrova in alto, senza possibilità di ritornare indietro, la sensazione di vuoto satura ogni mia sensazione per poi lasciare spazio all’adrenalina che scorre come un potente allucinogeno dentro di me facendomi perdere ogni minima parvenza di istinto di sopravvivenza. Guardo la città sotto di me farsi piccola e muoversi lentamente mentre il mio corpo volteggia sfidando la legge di gravità per qualche secondo, prima di precipitare verso il basso con la stessa grazia di una incudine gettata dal tetto di un palazzo.
Seguo con lo sguardo quella pazza a cui ho dato ascolto domandandomi, in un barlume di lucidità, se ho fatto bene a farlo.
La vedo scomparire sott’acqua nel fiume che si trova proprio sotto l’edificio seguita a ruota da me, irrigidito come un baccalà per attenuare la caduta. Prima è un misto di dolore e rumore, poi il silenzio mi avvolge. Rilasso ogni muscolo del mio corpo lasciando che sia l’acqua a cullarmi per qualche secondo, prima di riemergere e prendere fiato. Giro la testa intorno a me per cercarla e rendermi conto di dove andare, dopodiché nuoto fino a riva.
Gattono a fatica sull’erba, sporcandomi completamente i pantaloni, e vado a sdraiarmi vicino a lei per riprendere fiato. Prima di chiudere gli occhi per rilassarmi un momento mi volto a guardarla. Sorride, tenendo gli occhi chiusi mentre il sole le accarezza il viso facendola risplendere come una delle margherite che si trovano intorno a lei.
Poggio la testa sull’erba e un solo pensiero mi passa per la testa:
“Si, ho fatto bene a seguirla..”
Sorseggio la bevuta osservando i suoi vestiti mentre è in fila ad ordinare. Indossa un paio di jeans neri, una maglietta verde e.. beh, basta. Ai piedi non indossa niente come anche sotto la maglietta. Non oso domandarle se ha indosso la biancheria.
Non ho ancora la benché minima idea di chi sia eppure con lei mi sento così tranquillo che non ho intenzione di domandarglielo o, almeno, questo è quello che ho pensato per un momento prima di rendermi conto che sto passando una bellissima giornata con una perfetta estranea conosciuta in un ospedale pazzo prima di lanciarmi dalla finestra nel fiume sottostante e finire a prendere una bibita nel primo locale trovato camminando in una città sconosciuta.
Si, è troppo.
Faccio per alzarmi per andare a chiederle spiegazioni quando un rapinatore fa irruzione nel bar con in mano una pistola mentre grida la classica frase:
“Fermi tutti questa è una rapina!”.
Quello che mi lascia perplesso non è la classicità e la monotonia di una cosa del genere e la mia completa indifferenza a quel tipo tutto trafelato con gli occhi da pazzo e la pistola carica in mano quanto, piuttosto, il fatto che tutti i presenti si limitano a fissarlo in un modo quasi annoiato, proprio come se lo trovassero irrilevante.
Il bandito rimane per qualche secondo davanti l'entrata indeciso sul da farsi, dopodiché si avvicina ad una signora anziana per prenderle la borsetta. E in questo punto che la cosa si fa ancora più interessante. La dolce vecchietta, infatti, vedendo il ladro avvicinarsi poggia la tazza di teh sul tavolo e sorride al bandito mentre, con un gesto fulmineo, gli blocca la mano rapace, piegandogli il polso e costringendolo a chinarsi ginocchia a terra. A quel punto il ladro tenta di colpirla con il calcio della pistola che impugna nella mano sinistra ma il suo tentativo è vanificato dal braccio della signora sapientemente alzato per parare il colpo. La cara vecchietta, a questo punto, colpisce il bandito con un pugno in faccia facendolo cadere a terra e si alza in piedi. Perplesso e adirato si alza da terra avventandosi su di lei che, con tutta calma, assume una posizione da kung-fu. Distolgo lo sguardo per sincerarmi su dove sia finita la mia pazza preferita e noto che ha appena finito di pagare e sta tornando al tavolo. Non si è nemmeno curata di guardare cosa succede.
Il frastuono di una vetrata un frantumi mi fa voltare. La vecchietta ha appena scaraventato il bandito contro la parete di vetro lanciandolo in strada.
Osservo la scena con un espressione di incredulità mista a felicità mentre lei si siede vicino a me.
“Voglio quello che ha preso la signora..” Le dico, voltandomi verso di lei che sorride, porgendomi un pezzo di calda e fumante pizza stracolma di mozzarella. Mangio qualche boccone prima di ricordarmi cosa dovevo fare.
“Ma tu come ti chiami?” Le chiedo, voltandomi verso di lei.
“Che ti importa?! Non è necessario che tu sappia il mio nome..” Mi risponde, prima di addentare un pezzo di pizza.
“No, forse no.. Però ammetterai che è strano parlare con qualcuno senza conoscere il suo nome. Forse inizialmente può essere normale ma dopo qualche ora diventa imbarazzante, non credi?”
“No. Finisci la pizza che si raffredda!”.
Abbasso il capo in muta rassegnazione, senza curarmi della mia pizza che aspetta il contatto con i miei denti mentre lentamente si raffredda indurendosi. Tra qualche minuto potrebbe essere utilizzata come arma ma dubito che qualcuno si spaventerebbe alla vista di un pericolosissimo trancio di pizza.
“Non avrebbe senso.” Mi dice.
Mi guardo intorno. “Cosa “non avrebbe senso”?” Le domando.
“Dirti il mio nome. Non avrebbe senso. Non l'ho mai fatto e quando ci ho provato abbiamo dovuto ricominciare tutto dall'inizio.”
“Ah.. Certo, capisco..”
Sorride. “No, non è vero. Se fosse vero adesso non saresti qui” Mi risponde.
“Sai, ti odio quando parli come se sapessi già tutto.” Le dico.
Si volta a guardarmi incuriosita. “Vorresti dire che ti ricordi di avermi già vista?”
“Si.. insomma, mi sembri una faccia conosciuta. È possibile che ci siamo visti in spiaggia? Mi pare di ricordare che..” Chino la testa in avanti, con la classica espressione di chi sta cercando di mettere a fuoco un concetto. Alzo lo sguardo verso di lei riprendendo a parlare “Ti ho raccontato una storia.. Eravamo in un prato mentre pioveva e.. ti ho uccisa!” Le rispondo, sgranando gli occhi.
“Evidentemente non è così..” Mi risponde.
“No, no ricordo benissimo che..”
“Guardami! Toccami, mi stai parlando, sono reale, sono qui davanti a te.”
“Ma allora tu..”
“Lascia perdere, o ti verrà mal di testa..” Mi dice, sorseggiando la sua bibita e chiudendo la discussione.
Per qualche minuto restiamo in silenzio. Io guardo fuori dalla vetrata mentre lei è immersa nei suoi pensieri e gioca con la lattina.
“Cosa sono io per te?” Mi domanda.
Sospiro, alzando le spalle.
“Beh.. Hai presente quando stai giocando a carte da solo, quando insomma stai facendo un solitario? Ecco, ora hai presente quando qualcuno appena arrivato ti saluta mescolandoti le carte sistemate sul tavolo per attirare malamente la tua attenzione, rivoluzionando tutto e vanificando i tuoi sforzi per ottenere quello che volevi?
Ecco, questo è l'effetto che mi fai. Sei la novità, qualcosa di nuovo ed inaspettato che mi manda ai pazzi cambiando radicalmente la situazione in cui mi trovo, facendomi perdere la calma e la sicurezza raggiunti fino ad adesso anche a costo della felicità, accettando di buon grado quello che è passato, che sta passando e che passerà. Ti odio per questo e allo stesso tempo non posso fare a meno di ringraziarti perché mai prima di ora mi ero sentito così vivo. Sei tutto questo ed allo stesso tempo non sei niente perché non so chi sei, da dove vieni e perché e neppure so o capisco cosa vuoi da me, cosa ti aspetti che faccia, dica o pensi.” Faccio una pausa per riprendere fiato e riordinare le idee.
“Ti giuro che.. è snervante, ecco.” Concludo.
Sorseggio la lattina con lei che mi osserva.
“Se credi che possa farti stare meglio voglio assicurarti che non mi aspetto assolutamente niente da te. Non sono qui per farti pressioni, incasinarti la vita o qualsiasi altra cosa ti sia venuta in mente. Il mio unico interesse è aiutarti, starti vicino, tenerti compagnia e nient'altro. Scusa se a volte sono un po' brusca ma anche per me questa situazione è snervante.”
“Quale situazione?” Le domando.
“Quella in cui ci troviamo adesso.. Insomma, dai, non crederai davvero di aver visto una vecchietta prendere a pugni un rapinatore e scaraventarlo contro la vetrata atata ta ta ra ra ata ta ta ta ta ta ta ta ta ta ta ta.”
La sua voce risuona nella mia testa con un suono quasi metallico, fastidioso, che mi costringe ad alzarmi in piedi tenendomi le mani fra i capelli, quasi come a cercare di attenuare quel cantilena maledetta che sta martellando i miei pensieri.
Il rumore della sedia che cade a terra mi riporta alla realtà. Solo che adesso sono in mezzo ad un prato fiorito. Cerco di mantenere la calma mentre mi incammino verso un piccolo boschetto davanti a me che sembra rompere la monotonia verde del paesaggio con il suo colore brillante. Arrivato a pochi passi capisco che si tratto di alberi di ciliegio disposti in forma circolare come a formare una sfera. Sono curati con una precisione che oserei definire maniacale, come anche l'erba tutta intorno. Ora che ci faccio caso questo sembra un immenso giardino tenuto con estrema cura.
“Tra i fiori il ciliegio, fra gli uomini il guerriero.”
Mi volto di scatto. Alla mie spalle è apparso un vecchietto cinese con dei baffi bianchi lunghissimi. È vestito con una tunica bianca ed un sovra petto di colore blu. In testa ha un gigantesco cappello che mi ricorda tanto un raccoglitore di riso, pur non avendone mai visto uno nemmeno in fotografia.
“Chi sei?” Domando. La voce quasi mi si strozza in gola.
“Io? Nessuno di così importante da avere un nome.”
Sorrido e lascio cadere le braccia.
“Certo.. Giusto, tutti quelli che conosco non contano niente a quanto pare.”
Il vecchio sorride e fa qualche passo verso di me.
“Seguimi” Dice, mentre mi passa vicino. Camminiamo fino ad una fontana da cui sgorga acqua dentro ad un secchio. Lo raccoglie e me lo porge.
“Tieni. Aiutami per favore, sono vecchio e non ho più molte forze.”
Raccolgo il secchio e attendo che si riempia anche il secondo, dopodiché lo seguo di nuovo fino al boschetto dove mi fa cenno di bagnare le radici.
“È tuo.. Mi scusi.. è vostro questo giardino?” Domando.
“No.”
“Posso chiederle a chi appartiene?”
“A nessuno. È solo un giardino.”
“Però è lei ad occuparsene.”
“Lo stiamo facendo entrambi. Non fermarti a quello che vedi, guarda oltre.”
“Saggezza cinese?” Domando, con un filo di ironia.
“Non burlarti di me, ragazzo. Ho abbastanza fiato per prenderti a calci nel sedere se occorre. Questa non è una lezione di vita cinese e neppure una lezione sui suoi usi e costumi. Cerco solo di farti capire che non tutte le cose hanno il senso che sembrano dare. Tu hai visto un giardino ben curato e hai pensato subito che appartenesse a qualcuno ma non hai pensato neppure per un istante che fosse semplicemente quello che è: un giardino fiorito.
Una cosa bella non deve per forza appartenere a qualcuno. Forse che qualcuno possiede la natura? Eppure è bellissima, non trovi?”
Appoggio il secchio a terra.
“Io.. ecco.. non credo di aver capito bene cosa sta cercando di dirmi.”
“Guarda questi ciliegi.” Mi risponde, facendo cenno con il capo. “Sai il significato che hanno nella cultura giapponese?”
“No, non ne ho idea..” Rispondo.
“Devi sapere che al tempo dei samurai, e ancora oggi è così, il ciliegio era la rappresentazione sia della bellezza che della caducità della vita. Guarda i suoi rami rigogliosi ricolmi di fiori. Questo spettacolo che puoi vedere rappresenta la grandiosità con cui il samurai si vedeva riflesso nella propria figura avvolta dall'armatura tenendo presente il fatto che come un temporale improvviso bastava per far cadere tutti i fiori così lui stesso poteva cadere per un colpo di spada infertogli da un nemico. Capisci ora?”
Lo guardo perplesso.
“No.. A dire la verità credo di essere ancora più incasinato. Cioè, il concetto del samurai l'ho capito ma non ho capito cosa vuole dirmi.”
“Non voglio dirti niente, volevo solo conversare.” Risponde l'anziano signore, mentre si incammina di nuovo verso la fontana.
Rimango qualche secondo in piedi a guardarlo con un espressione da ebete prima di raccogliere il secchio e camminare velocemente verso di lui.
“Senta, posso chiederle come faccio per uscire da questo posto?”
“Non puoi sfuggire da te stesso.”
“E.. e questo cosa c'entra? Voglio sapere dove è la strada più vicina.”
Il vecchietto poggia il secchio sotto il getto d'acqua e si volta a fissarmi negli occhi.
“Cerca la risposta dentro di te. Solo così puoi trovare la giusta via.”
“No, no.. Un momento, aspetti. Io non cerco una fuga trascendentale o un viaggio mistico ai confini dell'universo maledizione! Voglio solo tornare a casa, sdraiarmi sul divano e guardare un cartone animato mangiando schifezze, se possibile con una ragazza a tenermi compagnia.” Rispondo malamente all'anziano signore che non sembra curarsene e, anzi, mi sorride indicandomi con la mano qualcosa alla sua destra.
“Vuoi andartene? Combatti dunque, liberati.”
Ed eccola apparire in tutta la sua mortale sensualità. Il vecchio si avvicina a me dandomi una spada, dopodiché si allontana senza dire niente prendendo posto a pochi passi da noi.
“Raccogli la tua arma.” Sbotta lei.
“Ah, certo.. subito.” Le rispondo, prendendo la spada e puntandogliela contro.
“Sai? Ho un profondo desiderio di trapassarti il cuore con questa lama per poi staccarti quella graziosa testolina e farne un portamatite.”
Stringo con forza il manico, concentrando lo sguardo sulla sua persona.
“Ma sono così stanco.” Le dico, puntandomi la spada contro il cuore per poi spingere con forza, trafiggendomi il petto.
Grido, portandomi a sedere nel letto.
“Chi sei tu?! Chi sei! AAAAAAHHH!..” Urlo. Sento dolore da ogni parte del corpo ed il fatto che sia notte non mi aiuta. Non riesco a capire dove mi trovo. Sento delle mani toccarmi.
Grido, lasciandomi travolgere dalla paura finché non cado nel letto svenuto.
Capitolo 16
Sul tetto del mondo
La vedo entrare in casa dall'ingresso principale. Posso immaginarla mentre cammina per i corridoi fino ad entrare in camera mia spostando lentamente la porta senza però riuscire a trovarmi.
Dopo qualche minuto le grido che sono sul tetto. Lei non si fa attendere, raggiungendomi subito senza pensarci due volte. La sento salire la piccola scala di legno, con tutta calma. Fa capolino con la testa, sorridendo, mentre io me ne resto fermo, seduto a fumare una sigaretta mentre guardo il panorama.
“È bello starsene quassù..” Le dico.
Lei si volta annuendo. Estraggo una pistola da sotto la camicia esplodendo due colpi all'altezza del petto. La vedo cadere prima all'indietro, andando a sbattere contro il bordo della botola, dopodiché il suo corpo scompare, inghiottito dalla soffitta.
Appoggio la pistola vicino a me e faccio un tiro di sigaretta.
“Alzati. Torna su..” Dico ad alta voce “Lo so che mi senti..”
Dopo qualche secondo di silenzio sento di nuovo gli scalini cigolare. Lentamente il suo corpo si fa strada nella piccola botola, le braccia distese lungo i fianchi, uscendo completamente in tutta calma per poi venire a sedersi accanto a me.
“Allora.. Che ne dici di finirla qua?” Le chiedo.
“Perché mi hai sparato?” Mi risponde.
Mi volto verso di lei per guardarla negli occhi. “Volevo solo controllare se avevo ragione. Tu non sei reale.”
“Non ti viene in mente che forse indosso un giubbotto antiproiettile, visto che ho a che fare con un pazzo da cui non sai mai cosa aspettarti?” Mi dice.
Mordo il labbro inferiore, fissando il panorama davanti a me.
“Ah, davvero?” Rispondo, alzandomi in piedi e puntandole la pistola alla testa. “Vogliamo vedere che succede se sparo qui allora? Se muori avevi ragione tu altrimenti magari dopo potrai anche dirmi che avevi una parrucca con sotto una calotta di acciaio! Ci stai?!”
Sospira, portando la mano sulla pistola per spostarla e guardarmi dritto negli occhi.
“Cosa sai?” Mi chiede.
“So che tu non sei reale, che tutto questo non è reale.” Le rispondo, aprendo le braccia e guardandomi intorno. “Ogni cosa qui intorno è solo il parto della mia immaginazione o, peggio, della tua. In quel caso allora sarei io ad essere di troppo, non tu.”
“Diciamo che ci sei andato vicino..” Mi dice, sorridendo.
Rimango in silenzio alzando lo sguardo per guardarmi intorno. Porto le mani sui fianchi, dopo aver riposto la pistola, e passo la lingua sul labbro inferiore mentre fisso il vuoto davanti a me pensando a cosa dire. Poi, lentamente, inizio a parlare.
“Ti prego.. Non ce la faccio più. Adesso ho in testa tutto quello che è successo fino ad ora e per ogni cosa ho un finale diverso. È come se avessi vissuto mille vite completamente diverse ma sempre uguali. Ti prego..” Le dico, portandomi in ginocchio “Dimmi cosa sta succedendo..”
Sospira.
“Vieni, facciamo due passi..” Mi risponde, alzandosi. Cammina verso la botola, scende tre scalini e si volta verso di me.
“Probabilmente quello che scoprirai non ti piacerà ma non possiamo farne a meno, giusto?”
La guardo incuriosito rispondendole “Giusto..” Senza nemmeno essere tanto sicuro di aver capito cosa mi ha detto.
Camminiamo per un tempo che sembra non finire mai, in silenzio. Lei è davanti a me, imperturbabile nella sua processione a passo sostenuto mentre io la seguo ad una distanza appena accennata in muta e servile reverenza, allo stesso modo di un cagnolino. Senza far domande, senza perdere tempo, voltandomi appena ogni qualvolta qualcosa attiri la mia attenzione. Intorno a noi la città, intervallata da giardini enormi, mare, sabbia, asfalto, ghiaia. Attraversiamo tutti i paesaggi possibili, con tutti i tipi di suolo immaginabili. In alcuni momenti mi perdo nei miei pensieri senza far caso a dove siamo o dove stiamo andando ma sono quasi certo di aver attraversato anche una chiesa enorme, bellissima e piena di persone. Camminiamo, senza mai fermarci. Camminiamo verso la verità che, spero, finalmente mi sarà concesso di apprendere dando un senso a tutto questo o, al limite, sarà la balaustra da cui lanciarmi verso il vuoto eterno dando comunque un finale a questa maledetta storia.
(mi manchi da impazzire..)
“Cosa?” domando.
Lei si volta con aria interrogativa dicendo “Eh?”
“Hai detto qualcosa?” Le chiedo.
“No, non ho fiatato. Vieni, siamo quasi arrivati.”
Camminiamo ancora per qualche minuto finché non arriviamo davanti ad casolare abbandonato. Lo trovo affascinante nella sua bruttezza. È una di quelle vecchie coloniche che, a tratti, mostra la sua anima in mattoni in quei punti dove l'intonaco e la vernice sono stati vinti dalle intemperie. Intorno una folta erbetta verde la circonda, tenuta a bada dalla ghiaia sparsa tutta intorno alla costruzione come ad impedire a madre natura di raggiungerla e sopraffarla.
Lei avanza sicura, spostando la pesante e vecchia porta che scricchiola rumorosamente. L'interno è forse peggio dell'esterno, con tutta la polvere posata a terra che attende solo di essere sollevata e pezzetti di calce sparsi in giro accompagnati da un contorno di foglie secche e turaccioli di legno di dubbia provenienza.
“Dove siamo?” Domando guardandomi intorno.
“Vieni, è di sopra.” Mi risponde senza nemmeno guardarmi e si avvia verso le scale.
“Ci sono ragni?”
“Ragni?” Adesso mi guarda incuriosita.
“Si, ragni. Hai presente? Hanno più di quattro zampe e una schifosissima bocca piena di peli e braccini.” Le rispondo scrollando le spalle schifato.
“Ti rendi conto di essere una checca, vero?” Mi dice.
La guardo per qualche secondo, poi le passo accanto sculettando fermandomi davanti a lei giusto per dirle “Insensibile! Humpf!” tirando la testa indietro con aria offesa.
Sorride scuotendo la testa e riprende a salire. Arrivato in cima alle scale mi fermo ad aspettarla per il semplice motivo che non ho idea di dove devo andare. Non si cura nemmeno di darmi spiegazioni, semplicemente mi passa accanto andando dritta verso la meta. Ha un buon profumo.
La guardo dirigersi verso la porta in fondo a questo corridoio impolverato. Le sue scarpe lasciano delle impronte ben visibili sul pavimento fatto di assi di legno. La cosa strana è che non sembrano affatto vecchie o cigolanti, come anche i muri. Sono in perfetto ordine, senza nemmeno una sbavatura.
Resto per qualche secondo fermo, indeciso se seguirla o tornare indietro. Non so perché ma ho una sensazione strana addosso, come se incosciamente sapessi già cosa mi attende in fondo al corridoio.
Arrivata a metà strada si volta verso di me.
“Che fai? Vieni?” Mi domanda.
Ora la sensazione è chiara: terrore. Puro e semplice. Sento un brivido corrermi lungo la schiena e le gambe farsi di piombo.
“Si.. Eccomi.” Le rispondo, avvicinandomi lentamente con i piedi che faticano a staccarsi da terra.
Una volta in fondo al corridoio apre la porta alla mia destra e mi fa cenno di seguirla. Mi avvicino alla porta senza entrare, dando istintivamente uno sguardo al corridoio. Qualcosa non va ma non riesco a mettere a fuoco di cosa si tratta e solo dopo essere entrato me ne rendo conto. Le impronte. Sul pavimento ci sono solo ed esclusivamente le mie impronte impresse nella polvere.
“Hey.. Sono qui.” Mi dice.
“Si.. E io sono paperino.” Rispondo.
“Come?”
“Niente, lascia perdere.. Allora, cosa ci facciamo qui?” Domando.
“Guardati intorno, non ti viene in mente niente?”
Alzo gli occhi al soffitto. Mi guardo intorno muovendo il busto e la testa con le mani in tasca e l'espressione di una persona che sta valutando se comprare o no l'appartamento.
“Hmm.. Beh, innanzitutto darei una passata di aspirapolvere e vivacizzerei l'ambiente con delle piante e dei colori un po' più vivaci. Prima però darei una bella festa per finire di rovinarla, per così dire, e soprattutto come mai non ci sono le tue impronte insieme alle mie nel corridoio?” Le domando, voltandomi verso di lei con un sorriso volutamente falso.
Lei abbassa lo sguardo, sorridendo e incrociando le braccia.
“Sei così attento ai particolari.. Eppure non ti sei nemmeno accorto che qua dentro non siamo soli.”
“Lo vedo che non siamo soli.. Ma perché dovrei preoccuparmi di qualcuno sdraiato in un letto con la faccia ricoperta di bende?! Una cosa per volta, prima capisco chi sei te e poi mi dedico a questo tizio che, tra l'altro, porta i miei stessi calzoncini e quindi mi è già molto simpatico.”
Mi fermo a pensare qualche secondo con la faccia di una persona che ha intuito finalmente qualcosa.
“Ma certo!” dico, battendo il pugno sulla mano “Tu non sei reale e nemmeno io lo sono, giusto, ora ricordo. Scusa ma se non mi concentro mi dimentico che siamo dentro al delirio di qualche scriteriato. O comunque, tu lo sei di sicuro mentre io ancora devo capire cosa sono.”
“Continui a negare l'evidenza.” Dice , bloccando il mio monologo. Avrei continuato per ore.
“Quale evidenza? Posso saperlo o fa parte della serie di domande del quiz senza premio?” Rispondo.
Sorride. “È qui che ti sbagli, il premio c'è eccome.”
“E sarebbe?” Le chiedo, curiosando in giro per la stanza. Trovo un libro e lo apro per vedere di cosa parla. Dopo due righe incomprensibili lo chiudo e leggo il titolo: “Mein Kampf”.
Rimango per un attimo bloccato, dopodiché lo rimetto a posto e scorro con l'indice gli altri titoli soffermandomi su una interessante edizione del kamasut..
“Il premio più ambito: la libertà.”
Ah già, c'è anche lei che finalmente si è degnata di rispondermi.
“Sai.. in alcuni momenti, tipo questo, ho una totale lucidità mentale e riesco a ricordare anche quello che non sono sicuro di aver realmente vissuto...”
“E quindi?” Mi domanda.
“Cosa?” Le domando incuriosito.
Si guarda intorno, aggrottando le sopracciglia. “Mi stai prendendo in giro?”
“Perché? Che ho fatto?”
“Stavi esprimendo un concetto e ti sei fermato a metà discorso.”
“Non ho idea di cosa stai parlando..”
Chiude gli occhi, portandosi la mano davanti la faccia per massaggiarsela come si fa quando qualcuno ti fa innervosire.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?” domando.
“No..” risponde “è quello che non hai detto che mi fa inc..”
“Ho bisogno di una doccia” La interrompo.
Si guarda intorno, portando le mani sui fianchi e morde il labbro superiore. “Certo, ok. Andiamo”.
La seguo. Ha un bel sedere.
Capitolo 17
La fine dell'inizio
Esco dalla doccia e mi avvio verso il salotto, senza curarmi del fatto che sto bagnando il pavimento. In fondo siamo tornati a casa mia. Si, insomma, all'appartamento.
Mi tolgo l'asciugamano di dosso e lo appendo sul braccio di uno dei miei amici che sto utilizzando come attaccapanni. È ormai passata una settimana da quando mi ha portato in quella casa abbandonata e sto finalmente iniziando a capirci qualcosa. “Lei” mi ha spiegato dove ci troviamo, una sorta di limbo astrale o cagate simili, e cosa ci facciamo. Aspettiamo. Semplicemente stiamo aspettando ma cosa, chi, come e perché non mi è dato saperlo come anche non posso sapere il suo nome.
“Non sei ancora pronto” continua a ripetermi. Ogni volta che le chiedo qualcosa di più specifico questa è l'unica risposta che ricevo.
“non sei ancora pronta”, invece, dico io alla pasta mentre guardo la pentola quando tocca a me cucinare. Ormai ci scherzo su e lei sembra prenderla bene, visto che mi sorride. Ha davvero un bel sorriso, caldo, solare, dolce.
“BRUCIA!” grido, tirando via la mano che stavo inzuppando nell'acqua bollente. Così imparo a distrarmi mentre giro la pasta.
Dopo aver mangiato riprendiamo a parlare. Parliamo così tanto, adesso, che rimpiango quando semplicemente ci prendevamo a colpi di spada. Si, perché anche quello fa parte del “corso di riabilitazione” come lo chiamo io. Lei lo chiama viaggio interiore. Quello che ancora non capisco è cosa vuole da me e se per caso non ci troviamo dentro un “Matrix” o qualcosa del genere. Ho anche provato a chiederglielo ma indovinate cosa mi ha risposto?
Esatto: “non sei ancora pronto..”
Fanculo.
Mentre camminiamo per il paese approfitto di un attimo di tregua dalla lezione per chiederle se è la prima volta che trattiamo l'argomento o se già altre volte lo abbiamo affrontato.
Lei sospira, evidenziando chiaramente che non è la prima volta.
“No, in effetti no” mi risponde “Sono già stati fatti molti tentativi che.. diciamo che non hanno prodotto risultati”
“Hanno peggiorato le cose?” domando.
“No, per niente. Si è trattato solo di ricominciare tutto da capo”
Aggrotto le sopracciglia e mi volto verso di lei.
“Cioè, vuoi dire che se qualcosa va storto io dovrò ricominciare tutto dall'inizio?
“Esatto. Ma non preoccuparti tanto non ricorderai niente di tutto quello che ti è capitato fino ad ora”
“wow..” rimango stupito “una sorta di “50 volte il primo bacio”” le dico.
“cioè?”
“Ma tu non guardi mai i film?”
“No, non mi interessano”
“Cosa ti interessa?”
“Vivere”
THUM!
“AH!...” mi accascio a terra, stringendomi il petto con la mano.
“Cos'hai?” mi domanda, chinandosi verso di me.
“Niente.. Niente una specie di.. non lo so..” Le rispondo, alzandomi. Mi guardo intorno con aria interrogativa, poi riprendo a camminare.
“Ci siamo quasi.:” Mi dice.
“Si, è qui dietro. Ce la faccio, tranquilla” le rispondo sorridendo.
“Di che parli?”
“Della spiaggia. Non è qui dietro?”
“No, cos'hai capito, parlavo del motivo per cui sei qui. Ci siamo quasi, stai per raggiungere la verità”.
“Te lo immagini..”
“Cosa?” mi domanda
“Cosa che cosa?”
“Cosa devo immaginarmi?”
“No, è un modo di dire, come “che sarà mai”..” le rispondo.
“Ah.. ok..”
Con un ultimo piccolo sforzo superiamo la collinetta e andiamo a sederci su dei teli da mare posizionati al centro della spiaggia che sembrano proprio aspettare noi. Restiamo per qualche minuto in silenzio, ad osservare il mare davanti a noi. È una bella giornata, ne troppo calda ne troppo fredda. L'ideale per starsene tranquillamente seduti in spiaggia.
“È belle qui, vero?” mi domanda.
“Già..” le rispondo, anche se in realtà sono quasi annoiato e preferirei andarmene.
Restiamo lì così, ognuno immerso nei suoi pensieri, per qualche altro minuto finché un particolare in mezzo al mare cattura la mia attenzione. Un piccolo puntino nero che si avvicina lentamente verso di noi, seguito da alcuni nubi nere che oscurano il cielo intorno a quella che pare la figura di un uomo a bordo di una zattera.
“Cos'è quello?” domando, senza ricevere risposta.
“Hoi, dico a..” Mi volto vero di lei ma non è più vicina a me. Mi guardo intorno, alzandomi in piedi, dopodiché torno ad osservare il mare. Il vento mi arriva dritto in faccia, costringendomi a coprirla con le braccia. I vestiti sembrano vele spiegate durante una tempesta. È un vento tiepido, potente. Le onde iniziano ad ingrossarsi e le nubi si fanno sempre più vicine, dando l'impressione che la madre di tutte le tempeste stia per abbattersi sulla città. Quando finalmente il vento si placa leggermente riesco a scorgere la figura dell'uomo che si trova quasi a riva. Carnagione chiara, “sporcata” dal sole, indossa un paio di jeans scuri lisi, strappati in alcuni punti e un giaccone di pelle nero completamente rovinato. I capelli lunghi sono in completa balia del vento che li costringe a tendersi per seguire il suo corso, alla stregua di una bandiera. Man mano che si avvicina riesco a notare nuovi particolari e, incuriosito, decido di avvicinarmi a riva. La zattera su cui poggia i piedi nudi altro non è che una “tavola” di tronchi tenuti l'uno vicino all'altro da dei piccoli fili di stoffa ed un piccolo palo su di un lato su cui poggiarsi. Nient'altro.
Il particolare che più mi colpisce, quando finalmente riesco a scorgerlo bene in viso, è la benda che ha sull'occhio. Con un'ultima onda la zattera giunge a riva. I pesanti tronchi strusciano rumorosamente sulla sabbia bagnata mentre lui continua a starsene in piedi, tranquillo, ad aspettare. Solo quando il suo mezzo di trasporto è completamente fermo ed il mare sembra essersi ritirato decide di lasciar andare il piccolo palo per scendere. I suoi piedi affondano sulla sabbia semi bagnata. Si guarda intorno, annuendo e portandosi le mani ai fianchi, poi mi osserva a lungo con il suo occhio facendo anche qualche passo verso di me.
“Sai chi sono io?” mi domanda.
“Non lo so.. un punkabbestia?”
Rimane qualche secondo ad osservarmi, poi sorride, annuendo ed indicandomi ripetutamente con l'indice.
“Tu.. Tu, ragazzo mio, sei proprio forte” Dice, dopodiché si volta allontanandosi.
“Dove te ne vai?” Gli domando.
“Se non sai chi sono è inutile che resti qua. Tanto vale che faccia due passi. Ci becchiamo in giro”.
“No aspetta!” Gli corro dietro e lo accompagno nella sua passeggiata, anche se devo dire che non sembra gradire la mia compagnia. Cerco per una decina di volte di parlare con lui ma ottengo solo mugugni o risposte estremamente brevi, quindi desisto accontentandomi di avere compagnia.
Non so perché lo seguo ma ho come l'impressione di essere vicino alla verità. E poi, in fin dei conti, è sempre meglio che starsene da soli da qualche parte.
“Come hai fatto a prendere il mare con quella barchetta?” Gli domando.
“L'ho messa in acqua, galleggiava e quindi ci sono salito. Il resto lo ha fatto la corrente” Taglia corto lui.
“Non sei di molte parole, ho capito. C'è qualcosa di cui hai piacere di parlare o dobbiamo continuare a camminare senza una meta in una città deserta rimanendo obbligatoriamente in silenzio?”
Si ferma, voltandosi verso di me.
“Se siamo qui è solo colpa tua” Mi dice, stringendo i denti e avvicinandosi alla mia faccia “quindi, per Quetzacoalt, smettila di parlare perché mi infastidisci o giuro che ti faccio saltare tutti i denti.”
Finisce di parlare e si volta, riprendendo a camminare.
Lo seguo.
I palazzi deserti intorno a noi, gli indumenti e le coperte stesi ad asciugare che sventolano solitari, le macchine ferme e solo il vento a dare un senso di vita alla città deserta.
Sbuffo annoiato domandano al ciclope dove sono finiti tutti, senza aspettarmi risposta.
“Solo tu puoi saperlo.”
“Io?” Domando.
“Si, tu. Ma non posso dirti di più o rovino tutto. Posso solo dirti che devi arrivarci da solo. Ora lasciami pace, sparisci.” Conclude.
Lo guardo allontanarsi, combattendo l'istinto di corrergli dietro. Faccio per voltarmi per tornare sui miei passi e lo sguardo mi cade su di una vetrina o, per meglio dire, sul riflesso. Osservo il mio volto incuriosito. Non ricordo di averlo mai fatto prima di adesso. La mia faccia è identica a quella dell'uomo con cui ho passato l'intera giornata rischiando di farmi prendere a pugni. Differenzio da lui solo per alcuni particolari che riguardano l'abbigliamento e la benda sull'occhio. Rimango per un secondo perplesso davanti a quella vetrina, avvicinando le mani al volto per valutarne l'effettiva reale esistenza. Allungo la mano dietro la testa scoprendo di essere differente anche per quanto riguarda la capigliatura, che risulta essere molto più curata della sua.
“Capisci ora?”
Una voce mi spunta alle spalle. Lancio un grido isterico, scatto su me stesso e mi volto mimando una posizione di difesa da karateka professionista, per poi trovarmi davanti a.. già, a chi? Alla solita ragazza, diciamo.
Sorride guardandomi con aria sorpresa.
“Hai deciso di farmi venire un infarto?” Le domando.
“No, ti chiedo scusa. Credevo ti fossi accorto di me” Risponde.
“Si, certo. Io sono quello che tutta sa e tutto vede. Ma perché avete tutti questa convinzione? Che cosa volete da me? E lui chi è, il mio gemello perduto? E perché mi odia?”.
Sorride, rimanendo a guardarmi.
“Rispondi” Le dico.
Continua a sorridere, rimanendo immobile.
La colpisco con un pugno. Si sgretola diventando un cumulo di sabbia e la cosa più strana e che tutto questo non mi sorprende.
Calpesto la piccola montagnetta davanti a me e inizio a camminare. Cammino fino a perdere il senso del tempo, girovagando per la città in ogni sua strada, vicolo o scala. In un paio di occasioni incrocio il bendato. Ci passiamo vicino senza degnarci di uno sguardo e continuiamo a camminare. Alcune volte mi capita di alzare lo sguardo verso i palazzi e scorgo alle finestre la figura di lei che mi osserva. Prima in una, poi in più di una. L'apice lo raggiungo quando, trovandomi davanti un palazzo con sei finestre la scorgo in ognuna di esse. Arrivato a questo punto decido di dirigermi verso la spiaggia.
La vedo avvicinarsi mentre ruoto su me stesso, con le braccia in alto. È sera. C'è una bella luce che va via via scemando. La sabbia sui piedi mi da una bella sensazione, contornata dal lento fruscio delle onde che mi permette di pensare con lucidità.
“Cosa fai?” Mi domanda. Ha un aria timida, con le mani in tasca e lo sguardo basso.
“L'elicottero.” Rispondo.
“Cioè?”
“sono un elicottero”
“Come mai sei un elicottero?” mi domanda.
“Perché mi girano le pale. Non le vedi?” rispondo.
Sorride, annuendo. “Capisco..”
“Ma cosa vuoi capire.. Esisti solo perché io lo voglio.” Le dico, guardandola negli occhi.
“Tu, tutto questo, esistete solo perché io lo voglio e con un semplice schiocco di dita io ho il completo controllo di ogni cosa. Posso decidere di far sparire tutto o di renderlo interessante. Sta a guardare.”
Le indico la città, dopodiché schiocco le dita ed ecco che di colpo si anima di persone, del traffico tipico di una città di mare in estate, di bancarelle. Persino la spiaggia adesso è piena di ombrelloni, sdraio e persone che passeggiano. Lei si guarda intorno spaventata ma non credo lo sia per quello che ho appena fatto quanto, piuttosto, per il fatto che ho compreso di poterlo fare.
Un altro schiocco e tutto torna come prima, deserto e tranquillo.
“Così possiamo parlare con più calma.” Le dico. “Vuoi un altra dimostrazione di quello che posso fare?”
“So cosa puoi fare” Mi risponde.
“Bene, almeno non perdiamo tempo. Vorrei che mi dicessi dove siamo, per favore”
“Non posso dirtelo” Mi risponde.
“Perché?” domando.
“Non so come spiegartelo, è complicato..”
“Capisco..”
Schiocco le dita, facendole prendere fuoco.
Grida, implorandomi di smettere, e non perché ha paura di morire ma perché sa di non poterlo fare. Questa agonia potrebbe durare in eterno e lei continuerebbe a vivere, divorata dalle fiamme.
Schiocco le dita.
“Hai cinque minuti per riprenderti, poi farò di peggio. Voglio delle risposte o rischio di impazzire. E dato che tu sei l'unica che può aiutarmi..”
“Sei uno sciocco..” Mi interrompe lei “se vuoi delle risposte perché non fai le domande a te stesso? Perché non desideri di avere delle risposte?”
Le sue parole mi lasciano perplesso, poi continua.
“Te lo dico io, perché.. Perché hai paura. Perché dentro di te conosci già la risposta. È la paura di ciò che sei a tenerti qui, a farti comportare da quel vigliacco che sei!” Grida.
Schiocco le dita, facendola sparire.
Ho bisogno di pensare.
“È inutile.. puoi anche farmi sparire ma so come tornare. Non puoi fuggire dalla verità.”
La sua voce mi raggiunge. Mi guardo intorno, sotto, in alto. Niente. È solo una voce.
Uno schiocco di dita ed è buio.
Totale, completo, buio.
Capitolo 18
Ergo sum
Apro gli occhi. La spiaggia deserta davanti a me e poco più in la un immensa distesa d'acqua. Il vento mi accarezza la faccia, appoggiata sulle braccia che restano immobili, intrecciate, sorrette dalle ginocchia mentre me ne resto qui seduto a valutare la situazione.
“Perché sono qui?” domando a me stesso.
“Io non dovrei essere qui. Tutto questo non è reale.. non lo è per niente..”
“Chi sei” Una voce mi arriva alle spalle.
“Come?” domando, voltandomi appena. So già di chi si tratta. Siamo solo in due in questo delirio.
“La domanda giusta da farsi è chi sei. Devi chiederlo a te stesso e riuscire a darti una risposta” Mi dice.
“Chi sono? Io so benissimo chi sono. Sono io!”
“Io? Che intendi con “io”? Sai dirmi il tuo nome?”
Apro la bocca per rispondere ma rimango in silenzio. Guardo a terra, a cercare una risposta, assumendo un aria interrogativa.
“Io.. Io non lo so..” Ammetto.
“Ripensa alla tua vita. Cosa ti viene in mente?” Mi domanda.
“Io.. Non lo so, voglio dire, l'unica cosa che ricordo è di essermi trovato qui in vacanza con i miei amici. È l'ultima cosa che ricordo” Rispondo.
“Già. Adesso pensa a cosa hai fatto prima di venire qui. Cerca di ricordare. Da dove vieni?”
“Vengo da.. AH!” Grido, buttandomi a terra. La testa sembra scoppiarmi. La stringo forte fra le mani per alcuni secondi, dopodiché il dolore cessa, così come era venuto. Mi alzo in piedi, rabbioso. Stringo i pugni guardando a terra per qualche secondo per poi alzare lo sguardo al cielo e gridare con quanto fiato ho in corpo. Mi sfogo puntando la mano verso un palazzo. Stringo il pugno e le mura si piegano come un foglio di carta, sgretolandosi. Quando riparo la mano quello che resta del palazzo crolla sollevando un polverone che cerca di raggiungermi a grande velocità. Lo respingo con un semplice gesto della mano.
Chino la testa, passo una mano fra i capelli.
“Sono stanco..” Ammetto. “Direi che è ora di tornare.”
Mi guarda con un misto di stupore e felicità.
“Si” mi dice “direi che è proprio ora.”
Giro lo sguardo su di lei e prima che riesca a parlare delle grida che vengono dalla strada mi distraggono. Si tratta del tizio bendato.
“Dove sei, bastardo!”
Credo ce l'abbia con me.
Si avvicina a passi veloci, infuriato e continuando a gridare che vuole risolvere la cosa a modo suo. Non appena si trova a due passi da me schiocco le dita facendo apparire una bottiglia di vetro enorme, abbastanza grande da rinchiudercelo dentro. Lo vedo prima perplesso, poi sempre più infuriato a tal punto da provare a romperla tirando pugni avanti a se, infine rassegnato. Scuote la testa portando le mani sui fianchi, voltandosi e borbottando qualcosa. Nel frattempo lei si è avvicinata, poggiando la mano sul vetro. Lui si volta, lentamente, fissandola a lungo. Io li osservo, facendo anche qualche passo indietro. Lui si avvicina sua volta al vetro, poggiando la mano davanti a quella di lei. Chino la testa di lato cercando di dare un senso a questa cosa, dopodiché schiocco le dita facendo scomparire la bottiglia. Le due mani finiscono con il toccarsi ed una luce immensa si sprigiona da questo “cinque” magico. Chiudo gli occhi e copro il volto con il braccio, rischiando di cadere perché sospinto via da una raffica di vento improvvisa. Quando li riapro trovo davanti a me una sola persona che mi appare come la fusione dei due. Sempre il solito bendato, ma questa volta vestito con qualcosa che toglie l'aria da becchino di biker e gli conferisce un aspetto un po' più umano. Persino i capelli adesso sembrano più curati e non ha più il volto segnato dalla rabbia.
Lo osservo a lungo, cercando di capire cosa è successo. Si avvicina a piccoli passi a me. Muovo il braccio per scaraventarlo via ma questa volta sembra non funzionare. Schiocco allora le dita. Niente. A quanto pare ho perso i miei “poteri” e adesso sono costretto ad affrontarlo.
“Non devi aver paura di me” Mi dice “Non ti farò del male e, se volessi fartene, non potresti fare assolutamente niente”.
Sorrido. Scatto verso di lui colpendolo con forza al volto. L'unico risultato che ottengo e di rischiare una frattura scomposta alla mano mentre lui sembra non aver minimamente risentito del colpo.
“Ti odio..” Gli dico, dolorante.
“Perché?” Mi domanda.
“Non c'è un motivo. Ti odio e basta”
“Devi smetterla di odiare. Non ti serve a niente, non te ne sei ancora reso conto? È ora di crescere ragazzo”
“Piantala!” Grido, lanciandomi di nuovo verso di lui che prende il mio braccio, girandomelo intorno al collo per immobilizzarmi. Mentre cerco di divincolarmi appoggia la sua mano alla mia testa. Non ho idea di cosa abbia fatto ma le gambe cedono facendomi cadere a terra sfinito. La sabbia sotto di me attenua la caduta.
“È inutile che cerchi di resisterci. Prima o poi dovrai accettare la realtà che non puoi fare a meno di noi e sarai costretto a riunirti anche tu”
“Riunirmi con chi?” Domando. Ho il fiatone e i muscoli indolenziti.
“Con noi. Con la tua rabbia e la tua memoria. O credi di poter sopravvivere solo con le belle parole?”
“Ma cosa stai dicendo? Chi sei, maledetto? Lasciami in pace..”
“È questo il punto” mi dice, prendendomi per il collo e alzandomi da terra. Sembra molto più grande rispetto a prima. La sua mano avvolge quasi completamente il mio collo e mi alza senza fatica. “Non sono io a dover lasciare in pace te, ma tu a dovertene andare. Sei tu l'elemento di disturbo.”
Conclude così, dopodiché mi lascia andare. Cado di nuovo a terra, in ginocchio. Riesco a rialzarmi a fatica.
“Vuoi che me ne vada?” Chiedo “E sia.. ti accontento..”
Schiocco le dita.
Prendo coscienza di me fluttuando nel vuoto assoluto. Non so quanto tempo è passato. Non ho il coraggio di aprire gli occhi, preferisco non sapere dove sono. Intorno a me il silenzio più assoluto.
“Ho fame..” Dico a me stesso.
Provo a “nuotare” verso una qualsiasi direzione e ho anche l'impressione di muovermi ma non so dire con certezza se mi sono effettivamente spostato.
Forse dovrei aprire gli occhi.
“Naah.. Non servirebbe.”
(apri gli occhi)
Una voce mi risuona in testa. “Chi sei?” Domando.
(non è importante. Chiediti chi sei tu)
“Ancora? Ma com'è che ogni volta che chiedo il nome a qualcuno l'unica risposta è questa?”
La sua voce è pacata e continua a risuonare nella mia testa con la stessa cantilena.
(apri gli occhi)
(non aver paura)
(ricorda chi sei)
Ricordare chi sono, ricordare da dove vengo, perché e come. Niente di più facile, cominciamo: come mi chiamo? Risposta: non ne ho idea.
(pensa)
“A cosa?”
(pensa a cosa vuoi)
“Pace. Voglio essere lasciato in pace. Voglio silenzio. Voglio che tutto questo finisca. Voglio sapere chi sono, maledizione..”
(dì il tuo nome)
“Non lo so..”
(si che lo sai. Dillo)
“Io non..”
(DILLO!)
Tuona la voce.
Il nulla intorno a me sembra crollare su se stesso, trascinando anche il mio corpo nell'abisso in cui si sta dirigendo. Ruoto su me stesso fino a perdere i sensi. L'oblio torna ad avvolgermi.
No.
È qualcosa di diverso. Non più buio ma luce. Vedo la luce. Intensa, fastidiosa, meravigliosa luce che mi attira a se. Cerco di planare verso di essa, con la consapevolezza di apparire come una zanzara attratta da una trappola elettrica. La luce si fa sempre più vicina mentre io raggiungo poco a poco la piena consapevolezza di ciò che sono e del luogo in cui mi trovo. Io non sono altro che me stesso dentro al mio io interiore in un viaggio mistico alla ricerca della tranquillità. È la paura ad avermi spinto a chiudermi dentro una prigione fatta di menzogne e sogni. Tutta questa avventura è stata solo un placebo. Sento la rabbia salire dentro di me e i pensieri si fanno via via più confusi ed allo stesso tempo chiari. Adesso so, so perché sono qui, anche se ignoro da quanto tempo e chi sono.
O forse no, forse ho solo paura di ammetterlo.
Ma perché? Chi sono io? Come mi chiamo?
Come mi chiamo..
Il mio nome..
Capitolo 19
Fine
Apro l'occhio.
“Il mio nome è Matteo” Sussurro. Dopodiché respiro a pieni polmoni maledicendo la vita. Non riesco a credere di essere ancora vivo finché non sento un dolore lancinante provenire dal mio occhio sinistro.
“Il dolore.. Il dolore è la miglior prova che sono vivo..” Ammetto a me stesso. Un filo di bava cola dalla bocca. Giro la testa di lato, dalla parte della faccia non coperta dalle bende. C'è qualcuno che sta dormendo su una sedia accanto a me. Qualcuno che veglia su di me. È una cosa che ha del grottesco, tuttavia non posso non esserne lusingato. Torno a guardare il soffitto.
“Il mio nome è Matteo” Sussurro ancora una volta con quel poco di voce rauca che riesco a far uscire dalla bocca e, d'istinto, guardo le mie mani. Almeno questa volta non ho le manette. Poi chiudo l'occhio ed è di nuovo buio ma finalmente so che riuscirò a non perdermi.